Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 13 Lunedì calendario

Intervista al Forrester di Beautiful

Da 37 anni è il patriarca di una delle famiglie più conosciute della tv, protagonista di una soap, Beautiful, tanto longeva da diventare una sorta di vita parallela. Eppure, fuori dal set, la vita per John McCook è stata decisamente diversa rispetto a quella del suo Eric Forrester.
Se per il potente stilista, padre di Ridge, il problema più urgente spesso è stato capire di chi fosse innamorato, per l’attore, che a giugno compirà 80 anni, tutto si è rivelato molto più complesso e doloroso. Suo figlio, Jake, 43 anni, soffre di schizofrenia. Una malattia assolutamente invalidante, diagnosticata con un ritardo di anni, vissuti da lui e da tutta la famiglia come un inferno in cui ogni giorno, tra depressione, dipendenze e paranoie, è diverso dall’altro.
McCook non ne aveva mai parlato. Ma ora il figlio, assieme a sua madre, Laurette, ha pubblicato un libro (disponibile su Amazon), The Cliffs of Schizophrenia: A Mother and Son Perspective, in cui ripercorre il suo travaglio. Un modo per essere d’aiuto agli altri, che ora l’attore, noto in tutto il mondo (Beautiful è vista ogni giorno da oltre 35 milioni di persone), vuole supportare.
Come mai nel libro non è incluso il suo punto di vista, quello di un padre?
«Fin dal principio questo è stato un progetto di Jake e di sua madre e l’ho rispettato e ne sono fiero. Io posso solo aiutare a farlo conoscere, anche se loro due non hanno certo bisogno di me».
Come ha vissuto la malattia di suo figlio?
«Prima che davvero riuscissi a capire di cosa si trattasse è dovuto passare un po’ di tempo, lo ammetto. Un padre, molte volte, non capisce subito come stanno le cose. Io, di fronte a certi comportamenti di mio figlio, iniziavo a dire: perché fai questo? Perché fai quello? Comportati così, cosa c’è che non va in te. Insomma, un padre deve essere educato per poter capire che molte delle cose che vede sono sintomi. E invece con mio figlio, all’inizio, ho avuto una reazione molto primitiva».
E poi?
«Ho dovuto imparare a comprendere come relazionarmi con qualcosa di completamente nuovo».
Come mai solo ora avete deciso di parlarne?
«È importante alzare il velo e tenere aperta una discussione su certi temi, anche per far sentire meno sole altre persone che stanno attraversando tutto questo».
Alzare il velo
È importante alzare
il velo su certi temi,
anche per far sentire meno sole altre persone
«Beautiful» spesso ha affrontato dei problemi sociali. Potrebbe essere un’idea raccontare anche una malattia come quella di suo figlio in una soap?
«Sarebbe una grande sfida. Rappresentare al cinema o in tv le difficoltà di chi ha problemi mentali in un modo corretto sarebbe molto utile, ma per ora lo si fa sempre e solo attraverso cliché».
Molte persone pensano di conoscerla per via del suo ruolo. Ma ora che ha scelto di condividere anche questo aspetto della sua vita, pensa che il pubblico cambierà percezione di lei?
«La gente è abituata a vederti per pochi minuti al giorno pensando di sapere chi sei. Di conseguenza quando si viene a conoscenza di alcuni aspetti della vita privata degli attori, o dei cantanti, c’è chi resta sorpreso, a volte anche turbato. È il motivo per cui di solito è un bene tenere la propria vita privata tale».
Ha raccontato quello che stava vivendo ai suoi colleghi?
«Ci conosciamo tutti ma non sappiamo tutto di tutti. Con qualcuno ho condiviso alcune cose, come Thorsten Kaye (che nella soap ha sostituito Ronn Moss diventando il «nuovo» Ridge, ndr), che è un mio caro amico. Ma lo vedo solo al lavoro, non vive nemmeno a Los Angeles... Quando si lavora da tanto tempo assieme si è soliti dire che il lavoro è come una famiglia. È vero, ma quel “come” fa la differenza. La mia famiglia c’è ed è un’altra. Sul set ci vogliamo bene, ma è una cosa diversa».
Con Laurette è sposato dal 1980.
«Conoscerla è la cosa migliore che sia mai successa nella mia vita. È eccezionale, un riferimento per me e per tutti noi. Così forte e coraggiosa ma anche straordinariamente amorevole».
Cosa la rende più orgoglioso di suo figlio?
«Che sia stato in grado di scrivere questo libro. E in generale sono orgoglioso di lui per ogni sua conquista».