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 2024  maggio 13 Lunedì calendario

Codice della strada, cosa cambia

L’automobile è diventata il primo predatore dell’uomo, e non per colpa dell’auto. In Italia ogni tre ore più di una persona muore a causa di incidenti stradali. Nel 2022 le vittime infatti sono state 3.159, in più 223 mila feriti, di cui 16.875 con lesioni gravi. E le stime sul 2023 non cambiano. Si perde la vita soprattutto sulle strade extraurbane (48,5%), nei centri urbani (42,2%), e per ultime arrivano le autostrade (9,3%) dove, guarda caso, vigilano sia gli autovelox che i Tutor. Solo quest’ultimo, dal 1999 a oggi, ha ridotto la mortalità del 75%. I luoghi in cui avviene il maggior numero di incidenti per tutte le cause sono i centri urbani: il 73%. Il costo sociale: 18 miliardi di euro.
La stretta su alcol e drogaMaggiore sicurezza dunque, e il governo Meloni, per mano del ministro dei Trasporti Matteo Salvini, ha prodotto il disegno di legge che riforma il Codice della strada: approvato alla Camera il 27 marzo è ora in discussione al Senato. Vediamo cosa cambia.
Oltre alle sanzioni già previste per la guida in stato di ebbrezza, in caso di ebbrezza grave l’automobilista dovrà obbligatoriamente installare l’alcolock per un periodo variabile da 2 a 3 anni. Si tratta di un sistema elettronico che blocca il motore se c’è una goccia d’alcol in corpo. Per la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti si modifica l’articolo 187. Oggi per contestare questo reato occorre dimostrare lo stato di alterazione psicofisica del conducente al momento del controllo. Se al Senato non ci saranno modifiche basterà la positività al test antidroga, che non si supera se hai assunto sostanze qualche giorno prima, perché nel sangue rimane traccia, e tanto basta.
Telefono e monopattiniIl disegno di legge alza giustamente il tiro contro chi guida con il telefono in mano. Già oggi si rischia una multa da 165 a 660 euro più una decurtazione di 5 punti dalla patente e la sospensione in caso di recidiva entro due anni. La riforma alza la sanzione e la sospensione può arrivare fino a 120 giorni: ai 90 che possono dare i prefetti si aggiungono altri 30 giorni di «mini sospensione» che possono comminare le forze dell’ordine se ti fermano in strada, hai meno di 20 punti sulla patente e provochi un incidente. Tuttavia cogliere qualcuno in flagrante al cellulare è molto difficile perché non è previsto l’utilizzo di dispositivi elettronici come aveva richiesto l’Anci. Restano solo le rilevazioni visive dirette degli agenti con il fermo, o i controlli post incidente.
La «mini sospensione» vale anche per altri illeciti come divieto di sorpasso non rispettato, circolazione contromano, violazioni sulla precedenza, il rispetto dei semafori, l’uso di cinture/seggiolini, la sosta in luoghi pericolosi. Anche in questi casi l’efficacia della deterrenza è limitata perché si applica solo se l’agente di polizia ti coglie sul fatto, e si rivolge a una piccola platea: solo il 2% degli automobilisti ha meno di 20 punti sulla patente. Invece per chi circola contromano e causa uno scontro con vittime, lesioni personali gravi o gravissime, verrà aggiunta la confisca del mezzo.
Per i monopattini elettrici ci sarà obbligo di targa, assicurazione Rc, tutti dovranno indossare il casco e potranno circolare solo in città.
Eccesso di velocità e neopatentatiIl problema in Italia è drammatico perché gli scontri stradali sono la prima causa di morte sotto i 29 anni. Oggi un neopatentato può guidare per il primo anno poco più di un’utilitaria con potenza limitata ai 55 kW/t. Ebbene, con la riforma potrà salire da subito, e per tre anni, su un’auto più potente da 75 kW/t. Inoltre, l’impianto della riforma è particolarmente morbido contro l’eccesso di velocità: se si commettono più violazioni in un’ora, nello stesso tratto di strada di competenza dello stesso ente, si pagherà una sola multa aumentata di un terzo. Per esempio: se si andrà da Milano a Bologna a 169 km/h costanti sarà emesso un unico verbale da 230 euro, che si riduce a 161 pagando entro 5 giorni. Il rischio imposto agli altri utenti della strada non ha un costo. Una norma palesemente anti-tutor.
Ma il più grave ostacolo all’utilizzo degli strumenti elettronici di controllo ha un’origine diversa. La versione iniziale del Ddl conteneva il seguente testo: «I dispositivi per l’accertamento delle infrazioni possono essere anche solo approvati e non omologati, nelle more dell’emanazione di un regolamento specifico». Questa disposizione è stata eliminata nel testo uscito dalla commissione Trasporti. Il 19 aprile i giudici della Cassazione hanno stabilito la non validità della sanzione se l’apparecchio grazie al quale è stata rilevata l’infrazione era stato «approvato» ma «non omologato». Nel 2020 il Mit aveva ritenuto le due cose perfettamente equiparabili sotto l’aspetto del corretto funzionamento, ma ora, in teoria, tutti coloro che riceveranno multe per eccesso di velocità potranno sommergere i Comuni di ricorsi e rifiutarsi di pagare. Un problema che poteva essere evitato se quel testo fosse approdato alla Camera.
Meno «autonomia» ai ComuniA breve entrerà in vigore il «decreto autovelox» del Mit che fisserà altri paletti. Intanto va chiarita l’accusa ai Comuni che li installano per fare cassa: tutti gli autovelox sono autorizzati da un decreto del prefetto e motivati dalla necessità di ridurre la velocità su tratti dove si sono verificati incidenti mortali. Nelle 14 aree metropolitane più grandi hanno prodotto un incasso di 73,3 milioni di euro, e come vengono impiegati lo spiega Luigi Altamura, comandante della Polizia locale di Verona e referente Anci: «Il 50% degli incassi va in manutenzione delle strade, nell’illuminazione pubblica, nel potenziamento dei controlli e a progetti di educazione stradale». Con il nuovo decreto gli autovelox potranno essere posizionati se viene documentata l’impossibilità per gli agenti, in quel tratto, di fermare sul posto i mezzi. In più, a seconda del tipo di strade, non si potranno installare dove il limite di velocità «sia inferiore di oltre 20 km/h rispetto a quello massimo generalizzato». Tradotto significa che nelle strade extraurbane dove il limite è a 110 non si potrà fare rilevamento automatico sotto i 90 km/h, e sulle provinciali dove il limite è a 90, non si potrà abbassare sotto i 70km/h. Tutti gli autovelox che non rispondono a questi criteri dovranno essere rimossi o spenti. In città invece sono vietati dove i limiti sono inferiori a 50 km/h. Significa che se il Comune vuol far rispettare il limite di legge di 30km/h davanti a scuole o ospedali, deve mandare la pattuglia sul posto.
Addio zone 30Per istituire nuove zone 30 (come a Bologna) i Comuni dovranno motivarle al Mit. È noto che gli effetti di tutti gli incidenti, provocati da tutte le diverse cause, sono aggravati dalla velocità, e per questo tutte le città europee stanno estendendo da anni le aree con limite a 30 km/h. I report sono pubblici e documentano che le vittime della strada si sono dimezzate, il traffico non ha subito rallentamenti e l’inquinamento acustico è sceso. Sono numerosi gli studi che mostrano le conseguenze dell’impatto veicolo-pedone o ciclista o centauro a partire da quelli dell’Oms. Un guidatore con perfette condizioni di mezzo e di asfalto, in caso di ostacolo improvviso, se va a 30 km/h impiega 13 metri per arrestare l’auto. A 50 km/h servono 28 metri. La letalità causata da un frontale con un pedone a 30 km/h è del 5%, a 50km/h è del 70%. Sta di fatto che l’estensione di questi limiti in città è osteggiata in tutti i modi. I rilevamenti automatici pure, sia in città che fuori.
Chi dovrà far rispettare il Codice è la Polizia stradale, a cui mancano 3.200 agenti; e i carabinieri e la Polizia Municipale, entrambi sottorganico di 12 mila unità. Alla fine le regole dettate dal decreto sembrano suggerire che il non rispetto dei limiti sia da considerarsi un comportamento da comprendere più che da sanzionare.