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 2024  maggio 12 Domenica calendario

Collezionava foto osé frequentava bordelli ma non accettava il disordine dei sensi

Forse anche Kafka sarebbe rimasto di stucco di fronte ai tre grossi volumi della sua biografia, che per anni hanno impegnato lo scrittore e critico Reiner Stach, pubblicati ora dal Saggiatore nell’ottima versione di Mauro Nervi. Una vita priva di grandi eventi fluisce in centinaia e centinaia di pagine acquisendo nuove prospettive e una più intensa complicità grazie a numerose fonti inedite, tra diari, testimonianze e lettere familiari. Ma poi l’orizzonte si allarga al contesto sociale e alla situazione storica di Praga e della Mitteleuropa in cui si muove il giovane Franz, funzionario dell’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro del regno di Boemia, per il quale la scrittura rappresenta lo spazio dell’esilio e della colpa.
Stach non procede in modo cronologico: il suo primo volume del 2002, Kafka. Gli anni delle decisioni, affronta il periodo 1910-1915, in qualche modo il centro dell’esistenza dello scrittore che dietro la maschera del burocrate nasconde i suoi incubi letterari e il suo humour noir. Nascono in quel periodo, e spesso di notte, racconti fondamentali come La metamorfosi e La condanna con la figura del padre, “un patriarca invasato” come lo definì il critico Walter Benjamin, di cui dà ampia e sofferta testimonianza la Lettera del novembre 1919, così come i romanzi incompiuti America e Il processo, la più seducente rappresentazione dell’assurdo in cui è proiettato l’uomo moderno, un Sisifo i cui sforzi restano vani. Ma quelli sono anche gli anni dell’amore straziante per Felice Bauer, da cui si separa nel 1917, del suo rapporto con l’ebraismo e dei primi riconoscimenti letterari.
Nel corso del suo lavoro, da cui nasce nel 2008 il secondo volume Gli anni della consapevolezza (1916-1924), Stach scopre reperti di ogni genere: episodi e testimonianze che offrono l’immagine di uno scrittore poco conosciuto, frequentatore di bordelli, collezionista di foto osé, seduto in giostra tra ragazzine vocianti o fra gli appassionati di aeroplani. Esilarante è anche la scena della pubblica lettura del racconto Nella colonia penale in una galleria di Monaco, dove gli astanti cadono in deliquio o fuggono ascoltando le sevizie procurate da uno strano macchinario programmato per uccidere in dodici ore.
Solo nel terzo volume, I primi anni (1883-1911), pubblicato più tardi, nel 2014, nella speranza, purtroppo vana, di poter accedere ai diari e alle annotazioni dell’amico dello scrittore praghese Max Brod, Stach evoca gli anni di formazione e il problematico rapporto con i genitori. Il serio e intenso lavoro di documentazione è alleggerito dal tocco quasi letterario della scrittura, tanto che qualcuno ha parlato di una “biografia romanzata” perché talvolta viene meno la necessaria distanza biografica. Tuttavia un’opera monumentale come questa stimola il lettore ad un grande viaggio attraverso il mondo kafkiano, come in modo più circoscritto ci aveva proposto, a suo tempo, l’editore Klaus Wagenbach con il volume Kafka. Una battaglia per l’esistenza (Saggiatore), in cui l’esistenza dello scrittore praghese s’identificava unicamente con la letteratura. Come ricerca, testimonianza, affermazione contro le sconfitte della vita, luogo di colpa e attesa di redenzione. Dietro si cela un infinito desiderio di libertà che conduce a una sorta di “pietrificazione” e gli fa scrivere nel Diario: «Meglio mettere il paraocchi e percorrere la mia strada fino all’estremo».
Del resto anche i rapporti sentimentali sono vissuti in modo patologico. Sia il fidanzamento con Felice Bauer che la passione verso la giornalista Milena Jesenska definita “un fuoco vivo” o il legame, negli ultimi mesi della sua vita a Berlino, con la protettiva ebrea polacca Dora Diamant non sono che tappe verso una solitudine annichilente. Egli sembra incapace di accettare il disordine e l’ebbrezza dei sensi, un po’ come la figura di Amalia nel romanzo Il castello che con il suo rifiuto causerà disgrazie a tutta la famiglia.
Proprio in quest’ultima opera che ha come protagonista l’agrimensore K., lo scrittore fa una pungente caricatura del mondo borghese e dei suoi apparati così come ne Il processo critica ampiamente il potere e la burocrazia forense. Nelle sue pagine la società umana è un accumulo di sovrastrutture: il tribunale, le gerarchie, il mondo chiuso della legge costruiscono ovunque barriere come quelle che dovrebbe superare il messaggero nel racconto Il messaggio dell’imperatore. È un mondo abitato da strane figure dell’estraneità: da Karl Rossmann a Joseph K., dal cacciatore Gracco, eterno vagabondo fra la terra e il regno dei morti, fino al surreale Gregor Samsa, trasformatosi in insetto ne La metamorfosi e ormai alieno a ogni realtà familiare. Tutte immagini simbiotiche del grande scrittore Kafka che si era estraniato dalla vita, come scrisse qualcuno, per sognarla in modo diverso: come un’utopia libertaria che non invecchia mai. —