Corriere della Sera, 12 maggio 2024
La fortuna di Napoli
È l’eterno presente di Napoli, la sua quasi unica capacità di vivere nella contemporaneità di tutti i tempi, in quello attuale, in quello passato e in quello che verrà. Il lotto sembrava una cosa antica, da foto Alinari, in bianco e nero; o al massimo un pretesto per dare un po’ di folklore in pasto alla banalità dei flussi turistici. E invece qualcuno entra in una tabaccheria del centro storico, fa una giocata di due euro, indovina sei numeri ed ecco cosa succede. Lui, lei, loro – chissà – vincono più di 100 milioni, una cifra blu, la nona più alta nella storia recente e l’intera città non si sente affatto esclusa, anzi, partecipa e si consola entrando in quella dimensione magica in cui c’è di tutto. E dunque anche le favole di Giambattista Basile, i racconti di Matilde Serao, le commedie di Eduardo, le fantasie di Anna Maria Ortese, la filosofia prêt-à-porter di Bellavista-De Crescenzo e gli accordi in sesta, i più struggenti, di Pino Daniele.
E tutti citano, ricordano e intanto pensano al futuro, pragmaticamente investendo sul mito della città baciata dal sole, dal mare e ora anche dalla buona sorte. A cominciare dal proprietario della tabaccheria fortunata, che rivela un particolare indicativo: che sono ancora più di 800 al giorno, solo al suo sportello, le puntate sui novanta numeri; e che lui ha già commissionato una nuova insegna dedicata ai cento milioni della vincita. Turisti avvertiti, e al diavolo il calcolo delle probabilità. Tanto più che a Napoli il lotto fu introdotto nel 1682, quando per lungo tempo ai giocatori fu permesso di puntare solo sull’«estratto», l’ambo e il terno, ritenendo troppo rischiose per la cassa pubblica la quaterna e la cinquina.
La tabaccheria vincente si chiama «Bella ‘Mbriana» ed è un indiscutibile segno del destino. La Bella ‘Mbriana è lo spirito benefico che protegge e ispira (volendo, anche i numeri del lotto) di cui racconta Basile. L’antagonista quotidiana del Munaciello, il fantasma dispettoso di cui allude Ortese. È anche quella dei versi di ieri e di oggi. «T’aggio visto crescere e canta’/T’aggio visto ridere e pazzia’» canta Pino Daniele.
Eppoi, dove è stato venduto il biglietto? Anche i luoghi non hanno nulla di casuale. Siamo in pieno centro storico, a ridosso dei Quartieri Spagnoli e della Pignasecca, tra i «bassi» trasparenti, cioè senza intimità, che imbarazzavano Italo Calvino e le pizzetterie e i B&b che ne hanno occupato gli spazi; dove l’antico e l’attuale si tengono, tra piazza Dante e via Toledo; a un passo e mezzo dal balcone di Palazzo Doria d’Angri da cui si affacciò Garibaldi per dare il benservito ai Borbone e il bentrovato al popolo napoletano, e a due dal murale dedicato a Maradona.
«Napoli milionaria», titola il Mattino. E questo è il sogno condiviso. Ma c’è sempre più di un rischio ad abbandonarsi all’euforia. Prima ancora di «Napoli milionaria», dove perfino dopo la liberazione dal nazifascismo c’era ancora una «nuttata» da passare, Eduardo aveva scritto un altro capolavoro, «Non ti pago». Ed è questo, oggi, il testo più attuale. Protagonista è Ferdinando Quagliuolo, quasi l’erede di Shylock, gestore di una biglietteria del lotto, ossessionato dai sogni rivelatori, sempre pronto a rialzare la posta.
E la forza dei numeri rivelati, dei numeri milionari? Qui la parola spetta di rigore a Bellavista. L’episodio è quello di don Gaetano, il cialtrone che «dà i numeri». Un giorno li sbaglia e c’è chi vuole menarlo. Aveva sognato Sant’Antonio e San Pasquale, che rispettivamente fanno 13 e 17, che insieme fanno 30. Ed invece era uscito il 48. Come giustificarsi? Semplice. Don Gaetano ribadisce il suo sogno. Aveva raccontato che per mettersi sotto braccio a San Pasquale, Sant’Antonio si era girato. Dunque, non 13 ma 31. E 31 più 17 fa 48, non 30. È così che tutto si tiene. E se uno ci crede ci crede.