Corriere della Sera, 12 maggio 2024
Class action contro il papa
«Eminenza Reverendissima, le condizioni di lavoro ledono la dignità e la salute di ciascun lavoratore. È evidente la mala gestio, che sarebbe ancora più grave se fosse frutto della sola logica di ottenere maggiori guadagni». L’istanza ha in calce il timbro dell’avvocata Laura Sgrò, la stessa che è riuscita a far riaprire l’inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi. È a lei che si sono rivolti 49 dipendenti dei Musei vaticani – 47 custodi, un restauratore e un addetto al bookshop (su 700 totali) —, che oggi minacciano un passo senza precedenti: portare in tribunale il Vaticano, se non verranno cambiate alcune regole fondamentali che disciplinano il lavoro all’interno della Santa sede. La prima «class action» di cui si ha notizia tra le mura di San Pietro.
Il cardinaleA quanto apprende il Corriere, l’atto è stato notificato nei giorni scorsi al cardinale Fernando Vèrgez Alzaga, presidente del Governatorato, l’organismo che esercita il potere esecutivo nella città-Stato e da cui dipendono anche i lavoratori dei Musei. Tecnicamente è il primo passo prima del tentativo di conciliazione obbligatorio, per il quale alla controparte vengono dati trenta giorni di tempo; pena l’apertura di un vero e proprio procedimento giudiziale. Ma al di là dei formalismi, quello che emerge è un durissimo atto di accusa nei confronti del Vaticano-datore di lavoro; che non solo suscita interrogativi sul rispetto di diritti e tutele altrove già ampiamente acquisiti (e per altro cari allo stesso Francesco, come da suoi recenti interventi); ma, in seconda battuta, pone dubbi sulla sicurezza di una delle più importanti e visitate istituzioni culturali al mondo.
«Discriminazioni»Cosa denunciano i 49 dipendenti (tutti italiani e residenti a Roma)? Ciò che colpisce è l’assenza di alcune norme basilari che regolano di solito il diritto del lavoro. In caso di malattia, per esempio, non sono previste fasce orarie per le visite fiscali: «Bisogna restare a casa nell’arco dell’intera giornata». «Quando un lavoratore si trova in malattia – si legge nell’atto —, quest’ultima si trasforma in un vero e proprio obbligo di dimora». La visita può arrivare in qualsiasi momento. Si riportano casi di dipendenti sanzionati mentre si trovavano dal medico. «Restare a disposizione del datore di lavoro oltre l’orario è una violazione della dignità e della libertà personale». Ci sarebbe un vulnus anche per quanto riguarda il lavoro straordinario: in base al Rescritto «Ex Audentia SS.mi» del 28 agosto 2015, ora «viene pagato meno di quello ordinario». «Dopo sei ore passate in piedi, si deve continuare a prestare la propria opera percependo una retribuzione inferiore – si legge —. E il datore di lavoro abusa di questo strumento». Non ci sarebbero criteri, inoltre, per l’assegnazione dei livelli e delle classi di merito legate all’anzianità. «Sono patrimonio assoluto del capo-responsabile che li utilizza a proprio piacimento. Regna la discriminazione assoluta, un perenne stato di caos». Viene avanzato il sospetto, invece, che nella valutazione dei dipendenti «influisca negativamente il fatto che il lavoratore assista un proprio familiare affetto da grave e conclamata infermità». Si accusa: «Chi si occupa dei propri familiari ammalati viene penalizzato».
Il «debito ore»Si arriva ad un nodo cruciale: la mancanza di ammortizzatori sociali. «In Vaticano non esiste cassa integrazione, non ci sono misure di sostegno del reddito in caso di crisi o fasi di totale disoccupazione». Una lacuna che non si era mai fatta sentire, finché non è arrivato il Covid. A novembre 2023 Francesco, con un motu proprio, aveva imposto la sospensione dello scatto di anzianità per il biennio 2021-2023. E c’erano state proteste. Si scopre però che la Direzione dei musei e dei Beni culturali, nell’ottobre 2021, aveva addirittura emanato un «Avviso debito d’ore» per i dipendenti rimasti forzatamente a casa durante la pandemia, che ha determinato su ciascuno «un monte ore negativo». Per ripagarlo viene trattenuta una somma dalla busta paga «fino all’esaurimento del debito». Una misura abnorme.
«Opere a rischio»Oltre a quelle strettamente legate al rapporto di impiego, l’istanza pone questioni anche sulla sicurezza dell’ambiente di lavoro dei 49 dipendenti pronti a fare causa: i Musei vaticani. Intanto, i «ricorrenti» fanno sapere che non viene riconosciuta loro «l’indennità di rischio sanitario, biologico e fisico», nonostante «il contatto diretto con migliaia di persone». Ma non solo, si sostiene che «nei Musei vaticani transitino quotidianamente tra le 25 mila e le 30 mila persone, nonostante il tetto massimo di ingressi sia di 24 mila al giorno. Già di per sé un’enormità rispetto alle possibilità».
Ma la lista è lunga: dalle uscite di sicurezza («appena due agibili»); alle «sale senza climatizzazione» che in estate provocano «seri malori» («il primo soccorso è in carico ai custodi») e che mettono a rischio la «conservazione delle opere»; passando per «il numero esiguo di gendarmi («uno solo all’ingresso»), circostanza che «ha creato problemi con i custodi talvolta aggrediti dai visitatori molesti». A lungo, i dipendenti avrebbero provato singolarmente a trovare un accordo; ma di fronte ci sarebbe stato un muro. Fino all’ultima coraggiosa mossa collettiva. «Il Papa parla di diritti, noi siamo considerati semplice merce». Il Corriere ieri ha cercato più volte la direttrice dei Musei Barbara Jatta. In serata un messaggio: «Scriva e rispondo». Cui non è seguito altro. Ma, c’è da scommetterci, siamo solo all’inizio.