il Giornale, 11 maggio 2024
Se la democrazia è in vendita servono prove e non solo parole
A chiacchierare sono tutti bravi. Al bancone del bar o in coda al supermercato, ne sparano di ogni. Alcune sono così grosse da far ridere. Ma la destrezza sta proprio in questo: non valicare il limite che spinge l’interlocutore a mandarti a quel paese. Alcuni, vista la perizia nella chiacchiera, l’hanno trasformata in professione. I migliori vengono addirittura invitati in tv. E, se come capita vanno a braccetto col conduttore, manco per sogno che questo gli chieda uno straccio di prova di quanto cianciano. Ora, noi non crediamo che Roberto Saviano sia uno della risma di quelli appena descritti. Epperò ci dia una mano a fare in modo che nemmeno gli italiani finiscano per crederlo. Perché le dichiarazioni rilasciate a PiazzaPulita, parlando dell’inchiesta che ha travolto Toti, hanno fatto rizzare i peli sulle braccia dei telespettatori che lo stavano ascoltando e di quelli che l’indomani ne hanno letto sui giornali. Quella italiana, parafrasando il pensiero dello scrittore, è una democrazia fondata sul voto di scambio politico-mafioso. «Nel 1980 ha detto funzionava così: un voto, un lavoro». Oggi c’è un prezzario. Saviano lo conosce bene: 50 euro alle politiche, 20 alle amministrative. Un pacchetto di 40mila voti, per intenderci, costa 250mila euro. Ma, badate bene, i prezzi risentono di oscillazioni. Ci sono stati due casi in cui i clan hanno dovuto sborsare di più: ai tempi degli 80 euro di Renzi e col reddito di cittadinanza. «Il valore era schizzato perché si otteneva un vantaggio votando in quella direzione». Ora, appunto, noi non pensiamo che Saviano sia un chiacchierone. Ci faccia però un favore: esca dalla tv, vada in procura, fornisca le prove di questo mercimonio e salvi la democrazia. Altrimenti qualcuno penserà che siano solo panzane da bar.