Il Messaggero, 11 maggio 2024
Quando l’agenda delle nazioni muove il mondo
È un manuale di realismo politico. E ce n’è assai bisogno. Perché nel disordine globale, nel grande caos dei conflitti caldi e delle nuove guerre fredde, la pubblicistica, gli osservatori, la pubblica opinione interessata tendono a inseguire l’inessenziale, a farsi distrarre dalla superficie e dai giochi delle varie propagande che sviano e confondono. Anche le cosiddette élites politiche – non sempre all’altezza del disordine mondiale che richiederebbe un surplus di competenze e di lucidità – finiscono avvolte facilmente nella bolla universale in cui è difficile discernere e capire. Il libro dell’ambasciatore Giampiero Massolo con Francesco Bechis – il primo è presidente dell’Ispi, già coordinatore dei servizi segreti italiani e segretario generale della Farnesina, il secondo è giornalista del Messaggero – non si poteva che intitolare insomma Realpolitik (editore Solferino).
LA TESI
Perché la tesi, oltre che suggestiva, è controcorrente. Ed è questa: è l’interesse nazionale degli Stati il motore che muove il mondo. E proprio per questo, solo per fare qualche esempio, c’è un forte motivo d’interessi nazionali per cui gli Accordi di Abramo, che la strage del 7 ottobre ha cercato di cancellare, in qualche modo si faranno. Ed è interesse nazionale dell’Iran, che adesso si è portati a credere pronta a scatenare l’inferno, non fare la guerra a Israele. Stesso discorso, Trump o non Trump, in arrivo, vale per il conflitto in Ucraina. E ancora: l’antagonismo tra America e Cina aumenterà. Ma quanto conviene ai vari interessi nazionali esasperarlo?
Messo così il discorso, l’affermarsi del realismo politico dovrebbe spingerci ad essere un po’ più ottimisti di quanto siamo rispetto ai destini del mondo. Quanto all’Italia, le minacce del disordine globale riguardano in pieno anche noi. «Con realismo – scrivono Massolo e Bechis – dobbiamo definire il nostro interesse nazionale, partendo da una collocazione chiara. Per l’Italia la scelta occidentale non ha alternative: siamo con l’Europa, con gli Stati Uniti, con la Nato». Ovvero, l’ambiguità che spesso in passato ci ha caratterizzato avrebbe adesso un prezzo troppo alto, e cozzerebbe con l’interesse nazionale. Nel mare in tempesta non possiamo permetterci di non avere la bussola giusta. Specialmente – e questa è una parte avvincente di Realpolitik – in una fase in cui si moltiplicano le minacce alla sicurezza. La questione dell’intelligence, come potenziarla come adattarla e reinventarla in presenza della rivoluzione tecnologica che va velocissima e chi resta indietro è perduto, è una di quelle che gli autori molto opportunamente indicano come cruciale, e su cui guai ad avere approcci non pragmatici, poco lucidi, scarsamente realpolitici.
L’INCOGNITA
E ancora: se vince Trump? È la domanda conclusiva del libro. Ci eravamo abituati a delegare all’America il ruolo di potenza regolatrice del mondo ma così già adesso non è più e con The Donald, se arriverà alla Casa Bianca, probabilmente lo sarà ancora di meno. In questo caso, «il mondo incerto si farebbe ancora più incerto». E per quanto ci riguarda molto da vicino, cioè nei rapporti tra Usa e Europa: «Niente sconti, poca transazionalità, poca considerazione dell’Ue, più enfasi sui rapporti internazionali». I cambiamenti, con Trump al potere, potrebbero riguardare – in riferimento alle guerre – forse più Kiev che Gaza. Ovvero salirà la pressione sugli ucraini per arrivare a una forma di accomodamento: «Una tregua congelata, un qualche tavolo negoziale, molto più difficilmente un accordo di pace». Magari, ipotizzano con buoni motivi Massolo e Bechis, «sarebbe l’ora di uno scambio proprio in stile Trump: tu smetti di combattere, mi sollevi dall’onore di sostenerti materialmente, e io ti garantisco da lontano, sul piano politico, spingendo gli europei a farsene carico». C’è da attendersi poi, sul Medio Oriente, che Trump spinga per la ripresa degli Accordi di Abramo, di cui lui stesso è stato il tessitore e che è la via per una normalizzazione dei rapporti tra Israele e Paesi arabi moderati in funzione anti-iraniana. Allo stesso tempo, è convinzione degli autori di Realpolitik, «potrà aumentare la pressione sull’Iran, scommettendo che un conflitto globale non sia nell’interesse degli ayatollah».
LE CONCLUSIONI
Tutto il volume dunque non fa che avvertirci, dalle premesse alle conclusioni, che nel mondo c’è un ordine superato senza che sia chiaro ancora quale sarà quello successivi. Ma qui ci si sforza di immaginarlo, e per questo il racconto di Realpolitik è molto dinamico, assolutamente aperto, in un continuo gioco di decostruzioni e ricostruzioni. Con al centro, l’Europa: ossia la grande incompiuta che non può più cullarsi nell’illusione di esserci e non esserci. Sul piano della difesa e della sicurezza, per esempio, al di là dei discorsi di rito in concreto i progressi non si vedono quasi. Quanto alla necessità di diventare attrice più forte e decisiva, la strada indicata è la seguente: «Un misto di metodo comunitario e intergovernativo, un’Europa a diverse velocità nei fatti ma con una direzione chiara, rispettosa delle peculiarità e dei diversi tempi nazionali. Senza che il dissenso di uno blocchi il progresso degli altri. Ma senza che il progresso di tutti annichilisca i singoli interessi nazionali». Sempre lì torniamo e sempre da lì partiamo: gli interessi nazionali. Che non significano nazionalismo, suvvia!, ma attengono a qualcosa di forte: alla possibilità, per l’Italia se sarà capace di concentrarsi su se stessa in un quadro più ampio e interconnesso, di contare davvero e non di risulta o passivamente nel nuovo ordine mondiale da riscrivere tutti insieme e un autore forte possiamo essere noi.