Il Messaggero, 11 maggio 2024
Intervista a Marcello Pera
Professor Pera, dopo la censura alla Roccella, ieri un vero e proprio assalto al convegno in via della Conciliazione. Perché la natalità fa così paura?
«Non credo sia la natalità il problema. Qualsiasi riunione che coinvolgesse il governo sarebbe stata presa di mira. Viviamo in un clima di forte contrapposizione che fa un po’ paura. È come se la società fosse esplosa in tanti pezzi, e non solo in due schieramenti che non si riconoscono, e ciò è pericoloso. Nel caso Roccella c’è un’aggravante. È una donna, è credente, professa un’etica che non è quella corrente e pubblicamente ammessa».
Si vanno a colpire gli eretici, come la censura ha sempre fatto nella nostra storia?
«Non viene accettato chi non si adegua all’etica corrente, che è quella del lasciare fare qualsiasi cosa a tutti, quella della libertà individuale portata fino all’estremo limite. Il metro di giudizio di questi gruppi di intolleranti è diventato solo sè stessi. Considerano soltanto le proprie idee da imporre. C’è in corso un tentativo di imposizione di sè contro gli altri. La negazione dell’altro è anti-democrazia. Questi atti sono sopraffazioni mascherate da libertà di pensiero. Ma chi crede veramente nella libertà di pensiero ascolta e poi semmai protesta. La povera Roccella neppure è stata ascoltata. Se prima era l’autorità che censurava, ora che l’autorità non c’è più perché è stata spazzata via come principio sull’onda del 68, sono i gruppi che censurano e le censure prolificano e si moltiplicano».
Il mio interesse deve silenziare il tuo?
«Il meccanismo è questo. Le mie pretese scambiate per diritto devono prevalere su tutto, senza discussione. Finirà con una grande guerra in cui tutti censurano tutti. In questo contesto della logica particolaristica e individuale, non può esserci autorità che tenga. E infatti l’autorità proprio non c’è. E insieme all’autorità scompare la nazione e la società. Perché i diritti o presunti tali non sono più della società ma, appunto, dei gruppi. Il collettivo femminista finirà per censurare il collettivo Lgbt. E mi fa molta impressione vedere tutti questi collettivi che si definiscono anti-fascisti e invece sono soltanto minoranze che cercano d’imporre la dittatura propria. Il dramma di questo è che gli attori sono diventati micro-attori, ed è scomparsa la dimensione collettiva anche se questi gruppi si fanno chiamare collettivi. Non lo sono affatto. Essendoci solo i gruppi, il presupposto è che un gruppo è contro l’altro e così si perde la cornice nazionale».
Questo vale anche per i partiti?
«Sono particolarmente colpito dal Pd che vuole usare la festa della Repubblica, cioè la festa di tutti, come festa contro il premierato, contro il fantomatico fascismo in arrivo, contro il governo. Snaturare propagandisticamente questa ricorrenza, appropriarsene per salire di un punticino nelle elezioni europee, vuol dire non avere capito che la contrapposizione di una parte contro un’altra porta alla sconfitta di tutti. Il 2 giugno come pretesto di politica contingente mi pare una novità su cui occorrerebbe ragionare da subito con estremo allarme. È la fine delle identità collettive. E così facendo scompare quella cornice che si chiama Italia».
Ci si sofferma sulle possibili analogie tra le attuali proteste studentesche e quelle del 68: lei ne vede qualcuna?
«Vedo molte differenze. Prendiamo il movimento femminista del 68 e delle fasi successive. Era il movimento di tutte le donne. Ora c’è il movimento delle donne single, delle donne madri, delle donne dell’utero in affitto, delle donne gender, delle donne omosessuali. Si è parcellizzato il movimento femminista. Il 68 è stato un momento di protesta collettiva e nazionale. Queste di oggi sono proteste che guardano a se stesse, proteste ombelicali. Se esistesse oggi un movimento di tutte le donne, avrebbe difeso la Roccella. Ma nessuno dei vari femminismi in vigore la riconosce come una di loro, è mia e non è tua, e quindi sceglie di schierarsi al suo fianco. E gli intellettuali non difendono Roccella non solo per antipatia ideologica, ma perché ragionano in una logica di piccolo interesse personale e di gruppo. Devo promuovere il mio libro, se sto dalla parte della ministra perdo un’infinità di copie. A questo ci siamo ridotti. E quando una società comincia a disgregarsi così, l’esito può essere qualsiasi. Nel disconoscimento reciproco tra gruppi, che cosa ci rimane? Solo la violenza. Perciò è assurdo che soltanto il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio abbiano portato solidarietà a Roccella. Per il resto, è il tutto contro tutti. Questa realtà spaventosa è quella che rende la festa del 2 giugno priva di senso, la svuota, la fa diventare un arcaismo inservibile se non per attaccarsi meglio e ancora di più».
Lei sta dicendo dall’inizio che il cosiddetto dirittismo sta portando a una svalutazione dei diritti. È così?
«Io dico anche che, quando non riconosci più come grande questione nazionale per esempio la denatalità, ti rimane o l’interesse della mamma che vuole acquistare il bambino o l’interesse dell’omosessuale che vuole adottare un bambino o altri interessi privati di questo tipo. Con la famiglia accade la stessa cosa. Non c’è un movimento per la famiglia. C’è la famiglia per gli omosessuali maschi, quella per le omosessuali femmine, la famiglia delle madri eterosessuali che vogliono acquistare il bambino e via così. In questa situazione, un movimento per la famiglia non può nascere più. E quindi s’impongono in noi le domande tragiche: qual è l’interesse collettivo della società, il cemento che ci fa riconoscere tutti come appartenenti alla stessa comunità, cioè all’Italia?».
La società-non società dei desideri provati: questo siamo?
«Proprio questo. La domanda per esempio di chi vuole avere un utero in affitto è: che male faccio a te? I soggetti, in questa domanda, sono io e te. E non si dice e non si pensa che male faccio alla società. Una società formata di io, io, io, io, non è una società. È un aggregato. E a me questa cosa sgomenta».
Non la sgomenta anche che, alla Rai e nel resto del Paese, sta tornando il fascismo, almeno secondo tanti intellettuali?
«Sono convinto che il fascismo non stia tornando, perché sennò gli intellettuali sarebbero già tutti iscritti al fascio. Purtroppo per loro, il regime liberticida non ci sarà e le vendite dei loro libri resteranno scarse. Pensi al caso Scurati».
La censura subita in Rai?
«No. Scrisse il primo volume della biografia di Mussolini e lo trovarono talvolta perfino apologetico nei confronti del Duce, oltre che sprezzante verso la sinistra che non aveva capito nulla del nascente fascismo. E allora nei volumi successivi, per avere più successo, per migliorarsi al botteghino, ha cambiato registro: si è sintonizzato su un altro tipo di storiografia e ha scritto quei libri alla maniera di un qualsiasi poligrafo politicamente corretto. Le copie non bastano ancora, evidentemente, e lui deve alzare gli incassi dimostrando di essere una vittima del fascismo».