la Repubblica, 11 maggio 2024
Intervista a Fabio Fazio
Ha guadagnato punti in famiglia portando ai figli interisti le magliette autografate da Lautaro Martinez.
«C’è stata un minimo di discussione su chi dovesse avere quella nerazzurra, ha vinto Caterina, Michele l’ha ceduta per cavalleria», racconta sorridendo Fabio Fazio, che domenica chiude con grande successo la prima stagione di Che tempo che fasul Nove. Oltre 2 milioni di spettatori, 11% di share, picchi che con Chiara Ferragni hanno sfiorato i 4 milioni e il 18% di share. La prova che la tv è cambiata, il numero del canale non conta più, il pubblico sceglie e sa cosa vuole. Sessanta anni il 30 novembre, dopo 40 anni di Rai, Fazio ha voltato pagina.
Ironizza sulla sua vita, lavoro-casa, casa-lavoro. I suoi figli sono fan?
«Non mi vedono, non hanno la percezione di me conduttore in tv.
Nel senso che non parlo mai di lavoro davanti a loro, a casa faccio il padre.
Studiano, fanno le loro cose. Michele è fan di Luciana, è venuto e conoscerla e ha voluto incontrare Mahmood. Mia figlia venne alle prove dei Måneskin. Finisce qui».
“Che tempo che fa”, dall’esordio il 15 ottobre sul Nove a oggi, ha avuto risultati da record. Se lo aspettava?
«All’inizio non era detto niente, quello che è successo è una grande impresa. Non me lo aspettavo, facevo i conti con gli ascolti della rete, il 5, 6% di share, dati che potevano essere accettabili. Li abbiamo superati, è stato un anno bellissimo, ma siamo ancora all’inizio del cammino e bisogna sperare di mantenere il risultato. Il punto di forza del programma è Luciana Littizzetto».
Ogni domenica commentate la politica, si respira aria di libertà.
«Io la definirei aria di contemporaneità, valore per certi versi superiore. Per me coincidono i due termini, la libertà è la possibilità di essere contemporanei quindi di adeguarsi al momento, è il contrario di reprimersi».
Il caso Scurati, gli scioperi sabotati: cosa pensa di quello che sta accadendo in Rai?
«Sono uno di quelli non compatibili con la nuova narrazione. Ricordo sempre che il mio contratto non fu rinnovato da chi c’era prima e da chi è arrivato. Da quanti anni si dice che la Rai deve trovare un’autonomia dalla politica? Da sempre. Invece è connessa, ed è sempre più complicato. Al di là della politica, la televisione bisogna saperla fare. Nonè una cosa semplice, è un lavoro d’ingegno e si rischia di fare errori. I limiti sono già oggettivi in ciascuno di noi, si figuri partendo con i paletti.
A distruggere ci vuole un secondo».
Riceve telefonate dai politici?
«Grazie a Dio nessuna. Ma non le ricevevo neanche prima».
Mai, neanche quando era in Rai?
«La Rai ha molte regole a cui attenersi ed è molto più sensibile alle proteste. Forse le ricevevano altri».
Con altri personaggi è finito nella cartellonistica elettorale di Meloni con gli sfottò di Atreju: “Anche se lui ci rimane male tu scrivi Giorgia”.
Che effetto le ha fatto?
«È una cosa molto sgradevole, nel senso che quando si indica una persona fisica, un cittadino comune addirittura come avversario, come simbolo, ovviamente non è tranquillizzante. Del resto sono abituato, negli anni scorsi il ministro degli Interni (Matteo Salvini) nei telegiornali, nelle piazze, sui giornali, mi aveva pubblicamente ricordato più di 120 volte, quindi il modo è sempre lo stesso. Pazienza. I comportamenti di solito qualificano quelli che li mettono in atto».
Ha portato con sé la lezione dei suoi maestri, il direttore di Rai 3 Angelo Guglielmi (“In tv, tutto è cultura, tranne la cultura”, quindi il dono della leggerezza per i temi importanti), di Bruno Voglino e di Enrico Vaime?
«Credo che un mio pregio sia quello di saper ascoltare e assorbire, mi sono portato via tutto quello che potevo. Ci sono persone che ti danno strumenti con cui fai tv e vai anche a fare la spesa. La lezione è quella di non essere mai banale, di non accontentarsi e di fare le cose al meglio, rispettando il pubblico e pensando che sia meglio di te».
L’ospite che l’ha preoccupata di più è stato il Papa?
«Papa Francesco è fuori quota. Uno dei tanti pregi che ha, è quello di mettere a proprio agio le persone, ogni volta ho avuto dimostrazioni incredibili. Ti preoccupi quando devi affrontare situazioni in cui c’è il dolore: penso al caso Aldrovandi, alla storia di Giulio Regeni, di Giulia Cecchettin, di Franco Di Mare.
Situazioni che vanno di là della tv».
Chi ha invitato più volte e non è mai voluto venire?
«Giorgio Armani. Lo invito da anni. Al di là del successo planetario, ha una storia umana meravigliosa,esemplare, che mi piacerebbe venisse a raccontare».
Rimpianto o recriminazioni per l’intervista a Chiara Ferragni?
«Non credo che si potesse fare diversamente. Mi interessava ancora capire come la più grande influencer, una domatrice dei social, abbia potuto commettere una leggerezza così grande. È l’aspetto che umanamente mi incuriosisce di più.
Se ci sono profili di responsabilità non sono io a stabilirlo. Non ci si poteva aspettare che avrebbe fatto un’ammissione di colpa o un’autoassoluzione. E l’accanimento continuo mi sembra eccessivo».
Ha sentito Amadeus?
«L’ho sentito all’indomani della comunicazione del suo passaggio e ci siamo detti: “Vediamoci a cena”.
Tutto ciò che accende il Nove è benvenuto».
Come vede Mediaset e Rai rispetto alla galassia Warner Bros Discovery?
«Sono imparagonabili. Mediaset e Rai sono realtà equivalenti che esistono, Nove è un altro mondo: come correre la Formula 1 con una utilitaria. Il nostro è un mondo pionieristico, artigianale, ed è un’altra corsa: c’è un grande futuro da costruire, è l’impresa più entusiasmante. Lo spettatore ha una consapevolezza diversa, non esiste più l’affezione a un canale, le linee editoriali si sono talmente annacquate da non essere riconoscibili».
Discovery è il terzo polo?
«Sono 30 anni che parliamo del terzo polo, i ghiacci si sono sciolti e sto polo non c’è più, con i ghiacci sciolti uno va a cercarsi l’iceberg dove lo trova.
Quest’anno oltre aChe tempo che faho vissuto la meravigliosa serata dal Teatro Parioli per Maurizio Costanzo. Un regalo di Maria De Filippi, che è un terzo polo pure lei».
Un consiglio non richiesto alla Rai per Sanremo?
«Ma proprio mai. Al massimo posso dare consigli sui ristoranti».
Se dovesse fare un bilancio?
«Posso solo essere grato. Dirò una frase che sembra romanzesca: “Anche quello che ti è mancato fa parte di quello che hai avuto”, i pieni e i vuoti sono fatti di quello che siamo fatti. Di più non potevo avere. Se fai una vita come la mia – a 20 anni conducevo L’orecchiocchio – lì per lì sei euforico e 40 anni dopo ti puoi permettere il lusso, avendo raggiunto un certo benessere, di aver rinunciato alla spensieratezza e alla giovinezza. Non può che essere così».