Corriere della Sera, 11 maggio 2024
La premier e il bis
Dieci giugno: se Palazzo Chigi volesse riequilibrare i rapporti di forza nel governo in base al voto, dovrebbe attenersi a un vademecum.
È una sorta di «istruzioni per l’uso» predisposto dal Quirinale, che da tempo ha avvertito la presidente del Consiglio sulle modalità di gestione per eventuali cambi di ministri. Un conto sarebbe la sostituzione di un rappresentante dell’esecutivo. E allora si procederebbe senza intaccare la continuità del gabinetto. Se però questa scelta producesse un effetto domino nella squadra, anche solo per lo spostamento da un dicastero all’altro di alcuni suoi componenti, allora la premier dovrebbe passare dalle Camere per chiedere una nuova fiducia.
Meloni ha tutto chiaro. Il punto è che lei non intende fare il bis. Nella sua testa c’è l’ambizione di «realizzare un record», che non è riuscito nemmeno a Berlusconi. È vero che il Cavaliere durò un’intera legislatura dal 2001 al 2006, ma allora gli alleati gli imposero un rimpasto che interruppe il Berlusconi II e portò al Berlusconi III. Ma sarebbe un errore immaginare che l’intento della premier sia legato al primato di durata. L’obiettivo che si cela dietro questo tentativo è politico e va oltre il tema (scontato) della stabilità.
Se il risultato delle Europee dovesse confermare i dati dei sondaggi, «Giorgia» vedrebbe rafforzata la sua leadership nel Paese e nel centrodestra in un quadro nazionale sempre più bipolarizzato. Resistere alla tentazione di aumentare la rappresentanza di FdI nel governo le garantirebbe un forte dividendo al cospetto degli alleati. Bloccherebbe per esempio le richieste di riequilibrio di Forza Italia, nel caso in cui riuscisse a sorpassare la Lega. E blindando Matteo Salvini nel suo ruolo di vicepremier, lo farebbe di fatto «prigioniero», tenendo contemporaneamente l’esecutivo al riparo dagli scossoni interni nel Carroccio.
Perciò a Meloni non conviene aprire il vaso di Pandora del rimpasto. Si ficcherebbe in un ginepraio e dovrebbe distogliere la sua attenzione dalla vera insidia che le si parerà davanti. Dal dieci giugno partirà infatti nel Palazzo la «stagione della caccia», e lei sarà la volpe che i leader delle opposizioni – chiamati a organizzarsi – vorranno portare in pellicceria. Non avere problemi nella coalizione, le consentirebbe quindi di gestire il timing fino alle Politiche.
Ecco il vero crocevia su cui dovrà prendere una decisione: il «record» a cui ambisce è traguardato alla fine naturale della legislatura o all’eventuale referendum sulla riforma costituzionale? Finora il progetto del «premierato» è parso più una mossa elettorale. Servirà del tempo per capire se davvero Meloni vorrà andare fino in fondo, se il testo presentato in Parlamento sarà poi sostituito da un «foglio bianco» su cui scrivere l’intesa con una parte dell’opposizione. Altrimenti il referendum si trasformerebbe in una sfida da «una contro tutti». Cioè in un azzardo.
A riconoscerlo sono esponenti vicini alla premier, che usano retoricamente una serie di domande. «Giorgia» può rischiare di mettere a repentaglio in un voto da «o la va o la spacca» il sistema di relazioni internazionali costruito da quando sta a Palazzo Chigi? Il ruolo crescente che avrà in Europa? La presa sulla pubblica opinione che non ha subìto logoramento, nonostante fosse fisiologico dopo due anni di governo? Così si capisce cosa c’è dietro l’idea di non toccare nulla. «Se potesse, non farebbe il bis. Poi bisognerà vedere la dura realtà delle cose», dice un’autorevole personalità di FdI. Che non smette di fare scongiuri.