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 2024  maggio 11 Sabato calendario

La Nato e il piano per Kiev

La Nato sta preparando una specie di polizza anti-Trump. Una manovra in tre mosse per garantire che il sostegno militare all’Ucraina non verrebbe meno, qualora l’ex presidente dovesse tornare alla Casa Bianca.
Naturalmente nessuno a Bruxelles, nella sede dell’Alleanza atlantica, definirebbe in questo modo il piano chiamato Mission Ukraine, che verrà presentato ufficialmente nel vertice dei capi di Stato e di governo, in programma a Washington dal 9 all’11 luglio prossimi. Il senso politico è chiaro e, per altro, largamente condiviso tra i leader dell’Alleanza: i 32 Paesi membri continueranno ad appoggiare la resistenza ucraina «fino a quando sarà necessario». Vale a dire fino a quando Vladimir Putin capirà che non potrà vincere la guerra che ha scatenato il 24 febbraio del 2022.
Sono propositi che stridono con le ultime notizie in arrivo dal fronte. Ieri Volodymyr Zelensky ha fatto sapere che i russi stanno cercando di sfondare la linea della difesa a Kharkiv, la seconda città del Paese. I combattimenti sono «brutali». Le forze armate ucraine stanno centellinando i colpi dell’artiglieria. Come è ormai arcinoto, questo è il problema numero uno per Kiev: ottenere altre armi, altre munizioni il più presto possibile. Joe Biden ha promesso che cominceranno ad affluire a breve. Il 24 aprile scorso il presidente ha firmato il provvedimento che destina circa 60,8 miliardi di dollari a Kiev.
Q uesti soldi dovrebbero bastare a puntellare l’esercito ucraino fino al termine del 2024. Ma dopo che cosa succederà? Non sappiamo se davvero Putin punti sulla vittoria di Donald Trump che in campagna elettorale sta promettendo l’interruzione degli aiuti militari a Zelensky. Si può, invece, verificare con relativa facilità quanto questo scenario preoccupi Biden, il partito democratico americano, i governi europei, in particolare quelli dell’Est e, naturalmente, gli ucraini.
Ecco allora che la Nato si sta adoperando per assumere un ruolo più centrale nel conflitto, introducendo meccanismi strutturali in grado di operare anche nel medio e lungo termine, scavallando, quindi, le scadenze elettorali e l’eventuale cambio di Amministrazione a Washington. Con un limite finora considerato invalicabile dagli Usa e dalla maggior parte degli Stati europei: resta escluso l’invio di soldati dell’Alleanza sui campi di battaglia.
Il primo passo, allora, riguarda proprio la copertura finanziaria. La Nato istituirà un fondo per assicurare un flusso di denaro prestabilito e costante nel tempo, da investire in armi e munizioni per l’Ucraina. In questo modo si dovrebbero evitare quelle incertezze e quei ritardi nella consegna delle armi che oggi stanno costando pesanti perdite di militari e di civili all’Ucraina. Donald Trump, una volta entrato nello Studio Ovale, si troverebbe di fronte a un fatto compiuto, a risorse stanziate nel luglio del 2024 e destinate a essere spese in un arco di tempo «pluriennale», come il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato a Zelensky, il 29 aprile scorso, in un incontro a Kiev.
La seconda idea è trasferire direttamente sotto il controllo del quartiere generale della Nato, a Bruxelles, il coordinamento degli oltre 50 Paesi che finora hanno partecipato al cosiddetto «Gruppo di contatto», periodicamente convocato nella base americana di Ramstein, in Germania, dal segretario alla Difesa, Lloyd Austin. Ancora una volta l’obiettivo è duplice: semplificare la «colletta» delle forniture belliche, che dipendono al 99% dai partner dell’Alleanza; gestire le riunioni in modo più corale, evitando di dipendere completamente da un eventuale ministro trumpiano.
Infine il terzo passaggio: attribuire più deleghe operative, e quindi più poteri, al generale americano Christopher Cavoli, a capo del Comando supremo delle potenze alleate in Europa («Shape» in inglese). Da una parte, quindi, viene un po’ diluito il ruolo politico del Pentagono; dall’altra si rafforza la leadership militare di un generale indicato dall’Amministrazione Biden e che è anche il comandante di tutte le forze armate statunitensi di stanza in Europa. Per essere chiari: Cavoli guiderà le operazioni militari sul terreno, deciderà se e come mobilitare le forze di reazione rapida, circa 300 mila soldati pronti al combattimento.
Certo, in teoria, Trump, sempre nel caso venisse eletto, potrebbe provare a smantellare tutta questa impalcatura. Ma sarebbe molto complicato e non solo dal punto di vista politico. In un colpo solo il neo presidente dovrebbe reclamare fondi americani già impegnati; sconfessare i vertici dell’Alleanza atlantica; entrare in collisione con le alte gerarchie militari, nonché con l’industria bellica degli Stati Uniti, di gran lunga prima beneficiaria degli investimenti della Nato in missili, cannoni, carri armati e così via.
Non basta. Stando alle dichiarazioni pubbliche di Stoltenberg, nel vertice di Washington, i 32 soci fisseranno un percorso definito per l’ingresso dell’Ucraina nel club atlantico. Si procederà da subito accelerando l’integrazione, o, come dicono i militari, «l’interoperabilità», tra le forze armate di Kiev e quelle della Nato.
Tutte decisioni che, al di là del «fattore Trump», inevitabilmente condizioneranno la natura di un possibile negoziato con la Russia, togliendo dal tavolo delle trattative l’ipotesi di un’Ucraina neutrale. I governi della Nato vogliono attrezzarsi per far fronte a una guerra che, prevedono, a torto o a ragione, durerà ancora a lungo.