Corriere della Sera, 10 maggio 2024
L’uomo che vive con un chip nel cervello
Sono passati 100 giorni da quando Noland Arbaugh vive con uno degli impianti cerebrali di Neuralink (l’azienda di Elon Musk che si occupa di interfacce cervello-computer, ndr ) nel cervello. Noland è il primo paziente al mondo a usare questo chip, chiamato Link , per utilizzare dispositivi digitali solo grazie alla mente. L’uomo, 29 anni, è tetraplegico da otto a causa di un incidente avvenuto durante un tuffo e a gennaio è stato operato al Barrow Neurological Institute di Phoenix, dove gli è stato impiantato il chip.
Si tratta di un minuscolo impianto formato da una capsula esterna «biocompatibile» (quella che contiene il chip e che viene materialmente installata nel cervello), una batteria, il chip e una parte di elettronica per tradurre i segnali cerebrali e trasmetterli ai dispositivi, a sua volta composta da 64 fili, 1.024 elettrodi e una batteria wireless. Link è stato creato per permettere a chi non ha più mobilità di tornare ad avere un’indipendenza, almeno per quanto riguarda il controllo e l’utilizzo di dispositivi tech come pc o laptop. Poco dopo l’intervento, infatti, Noland era stato filmato per circa 10 minuti mentre muoveva il mouse del suo computer per giocare a scacchi, solo con l’uso del cervello.
Ieri, a poco più di tre mesi dall’operazione, Musk ha postato sul suo account X un comunicato di Neuralink con gli aggiornamenti sui progressi dello studio Prime, di cui Noland è il primo partecipante. «Sono stati 100 giorni di successo», ha scritto Mr.Tesla, ricevendo oltre 67 mila «cuori» e oltre 8 mila repost dai suoi follower. Nel testo si racconta la giornata-tipo del paziente zero: durante la settimana, Noland partecipa a sessioni di ricerca per un massimo di 8 ore al giorno. Nei fine settimana, invece, usa Link fino a oltre 10 ore, anche per scopi ricreativi, come giocare al pc e fare dirette streaming. Tutti dati che vengono utilizzati dai ricercatori per monitorare il funzionamento del chip, che l’azienda ha iniziato a sviluppare nel 2016.
Come ogni primo test, non tutto è andato alla perfezione: nelle settimane successive all’intervento, per esempio, alcuni fili «si sono ritirati dal cervello, determinando una netta diminuzione del numero di elettrodi efficaci —si legge ancora nel comunicato —. Ciò ha portato a una riduzione dei valori Bps (Bit per secondo, ndr). In risposta a questo cambiamento, abbiamo modificato l’algoritmo di registrazione per renderlo più sensibile ai segnali della popolazione neurale, migliorato le tecniche per tradurre questi segnali in movimenti del cursore anche l’interfaccia utente che ha portato a un conseguente miglioramento generale dello strumento». Anche Noland ha raccontato come è cambiata la sua vita. «Link mi permette di vivere secondo i miei tempi, senza bisogno di avere qualcuno». Prima utilizzava uno stick per tablet che doveva essergli posizionato in bocca da un operatore sanitario. Inoltre, spiega ancora l’uomo, «mi ha aiutato a riconnettermi con il mondo, coi miei amici e la mia famiglia. Mi ha dato la possibilità di fare di nuovo le cose da solo, senza bisogno» degli altri «a tutte le ore del giorno e della notte». La cosa più comoda? «Ora posso sdraiarmi nel mio letto e usare Link quando voglio».