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 2024  maggio 10 Venerdì calendario

Intervista a Fabrizio Ferri

«Cerco sempre l’emozione, altrimenti non posso scattare». Questa l’unica regola di Fabrizio Ferri, fotografo di fama mondiale, creativo per indole, nato a Roma nel 1952, ma una vita a correre da un volo all’altro, con una casa a New York come porto sicuro.
Nel corso della sua carriera ha fotografato tutti:da Naomi Campbell a Monica Bellucci, da Isabella Rossellini a Julia Roberts, passando per Madonna, Sting, Charlize Theron, Helena Christensen, Sophia Loren, per citarne alcuni.
Davvero ogni scatto è stato un’emozione?
«Sì, e quando non lo era ho fatto in modo che lo fosse».
Con chi?
«Dovevo fotografare Naomi Campbell. Avevano pensato di abbigliarla con un completo da uomo: una pessima idea.
Così, le proposi di scattarla nuda, ma doveva essere qualcosa di diverso e per spiegarle quello che volevo mi misi in posa io, con esiti poco affascinanti e l’ilarità generale, soprattutto sua.
La risata scardinò quella corazza che hanno le donne importanti, consapevoli di sé e che lasciano poco margine di intervento. Quella professionalità fu scalfita e lo scatto fu un successo».
E con Monica Bellucci com’è andata?
«L’ho immortalata più volte, anche quando era incinta. E mi ha molto gratificato che mi abbia scelto per un momento così intimo e importante. Voleva apparire come una donna che cresceva in sé una vita, non mostrando la pancia come fosse un carrarmato, come fanno, ahimè, in molte. È simpaticissima. Le proposi di farsi riprendere coperta di caviale e la sua prima risposta fu: “Ma poi ce lo mangiamo!"».
Tra le sue amiche di sempre c’è anche Isabella Rossellini... «Era il 1974 e la incontrai a un sit-in a Roma. Fui colpito dal suo volto, ma non avevo con me la macchina fotografica. Le chiesi di farmi da modella in futuro e, poi, quando Vogue Uk mi ingaggiò per un servizio per i gioielli Bulgari mandai gli scatti con lei. Per me era semplicemente Isabella, ma dal giornale mi chiamarono e mi dissero che avevo pescato la figlia di Ingrid Bergman. Ci sentiamo spessissimo».
Donne bellissime e affascinanti. Non nascono mai storie? «Capita che ci si trovi a prendere cinque aerei a settimana e in paesi lontani. Sei frullato dai fusi e senti la solitudine. Sul set si crea emozione e condivisione e tutte le top sono estremamente empatiche, altrimenti non sarebbero tali. Tutto ciò può risolversi in un abbraccio bellissimo, basato né sull’attrazione fisica e nemmeno sull’amore».
In questo frullatore della moda come è capitato?
«Era il 1970 e facevo il reporter di costume politico. Passavo più tempo a cercare di vendere le foto che a farle, così pensai che nella moda, invece, ti chiedevano gli scatti e pagavano anche le spese. Andai in edicola, presi una copia di Vogue, guardai l’indirizzo della redazione e restituii la rivista. Un momento dopo ero su un treno per Milano e mi presentai lì senza appuntamento e con un book dove la maggior parte dei ritratti vedevano come protagonisti operai o casalinghe, ma con un’appendice londinese, che, alla fine, convinse il direttore artistico di allora, che, nonostante l’iniziale diffidenza, mi ingaggiò subito».
Com’è cambiato il mondo del fashion?
«La moda ha visto il nascere dei social e la crisi dell’editoria e non sapeva più come raccontarsi. Poi, c’è stato l’avvento del fast fashion, che ha evidenziato che molta della moda alta in realtà era fast fashion, ma con prezzi di lusso. È stato un giocattolo che si è rotto ed è cambiato lo sguardo dei consumatori. In più il settore, ormai, è in mano alle operazioni finanziarie, che sono indipendenti dalle vendite, e che mi rendono difficile capire su cosa sono basati questi imperi».
E poi adesso si può essere tutti fotografi...
«Gli smartphone permettono di avere foto perfette, tutti le possono fare, ma non tutti possono emozionare. Amo i cambiamenti, sono stato il primo, nel 1995 a usare professionalmente il digitale e oggi utilizzo l’intelligenza artificiale, rendendomi conto che è davvero intelligente, che ti riconosce e propone solo qualcosa nel tuo stile. Però non si può insegnare a fotografare, si impara solo sbagliando e non essendoci più gli errori si rischia di non trovare la propria strada».
Come fa a mettere a nudo chi ha davanti?
«Essendo limpido, spogliandomi a mia volta».
Nessun incidente di percorso?
«Uso la luce e non amo la post produzione. Lo feci con Julia Roberts, perché la camicia che indossava era un po’ stretta e lo scollo cadeva male. La ritoccai e nacque una discussione infinita perchè per lei e la sua agente lo avevo fatto per cancellare un neo che ha sul décolleté».