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 2024  maggio 10 Venerdì calendario

Tutti i segreti del romanzo storico


Marcello Simoni e Matteo Strukul sono fra gli scrittori di romanzi storici di maggiore successo in Italia. Saranno al Salone del libro oggi alle 16 (Sala Viola dell’Oval con Raffaello Avanzini), per presentare i loro nuovi libri (La taverna degli assassini per Simoni e La cripta di Venezia per Strukul), ma soprattutto per raccontare al lettore che cosa comporta cimentarsi in questo tipo di narrativa che, peraltro, in Italia non è praticatissima, con la grande eccezione delle saghe familiari appena tornate di moda. Abbiamo avuto la possibilità di parlare con loro in anticipo e di farci raccontare il loro modo di lavorare e il loro «canone degli autori».
Simoni, Strukul quali sono i vostri modelli letterari?
Strukul: «non si può fare romanzo storico in Italia senza partire da Manzoni e I promessi sposi... Sicuramente per restare in Italia e spostarsi su scrittori più recenti non si può prescindere da Eco e da Sebastiano Vassalli, un autore che amo soprattutto per La chimera. Tra i viventi stimo molto Melania Mazzucco, penso a La lunga attesa dell’angelo e L’architettrice. Poi c’è tutta la parte dei classici. Il mio personaggio femminile principale de La cripta di Venezia deve sicuramente molto alla Carmen di Prosper Mérimée e alla Esmeralda di Victor Hugo in Notre-Dame de Paris. Quella letteratura ottocentesca per me è la pietra angolare. Anche gli scritti teatrali di quell’epoca mi interessano. Io sono legato al romanzo d’avventura e gotico, poi mi identificano con il thriller storico, ma sono più legato al romanzo d’avventura».
Simoni: «Ho una formazione simile a quella di Strukul, anche da lettore prima che da scrittore. Non avrei mai pensato di scrivere romanzi storici. Mi piacevano il gotico e l’horror. Se dovessi dire un altro dei modelli che sono stati importanti nella mia formazione di scrittore di romanzi storici, anche se è un po’ sorprendente citerei la fantascienza. Perché le strutture di trama ricredono lo stesso tipo di credibilità e di dettagli. La creazione dello sfondo richiede la stessa cura. Quindi per me sono fondamentali Asimov o Valerio Evangelisti con il suo fantagotico. E se penso allo stile devo dire che Ken Follet per me resta un esempio fondamentale di come far entrare il lettore nella pagina».
Ecco, la costruzione della storia e dei dettagli è l’aspetto più complesso per uno scrittore, perché un conto è costruire il contesto macrostorico, ma se devo descrivere una cucina del un stanza da letto del Quattrocento diventa complicato...
Simoni: «C’è una letteratura utile per studiare anche il quotidiano. Certo, resta la parte più complicata capire come fosse vestita la madre badessa. Quando stavo scrivendo L’abbazia dei cento peccati dovevo ricostruire il lavoro di un pittore intento a fare un affresco. Ho tormentato un mio vecchio professore di storia dell’arte e letto un sacco di saggi. Ci sono comunque dei vuoti da riempire dove il saggio non arriva. Come fare? Mi ha aiutato in questo l’archeologia sperimentale... La narrativa consente, osando nel campo del probabile, di aprire un mondo dove la saggistica non può arrivare. Io ho un modello di scrittura filmica nella descrizione degli ambienti, così mi dicono, in realtà io penso ai fumetti, perché spesso li disegno».
Strukul: «Io ho un modello molto teatrale nella costruzione degli ambienti. In linea generale la penso come Marcello. Solo due note a margine. Una è il tema dei canoni morali. Io spesso ho al centro della narrazione un grande protagonista noto. Allora in quel caso devo lavorare moltissimo sui suoi testi noti e sulla sua biografia. Se parlo di Michelangelo per forza devo usare l’epistolario e le rime, usare la loro voce. Mi serve l’elemento coevo. Altro elemento fondamentale è la pittura. Soprattutto nei miei romanzi su Canaletto, ma anche in generale. I quadri sono pieni di informazioni d’ambiente. Però va evitato l’eccesso di precisione, perché un romanzo non è un saggio. Se uno vuole approfondire, può usare le note che mettiamo sia io che Marcello».
Simoni: «Il romanzo non va appesantito oltre misura. Ha ragione Strukul. Non deve essere un compitino. Anche io uso la bibliografia finale alla stessa maniera».
Nei vostri lavori che presentate qui al Salone, La taverna degli assassini e La cripta di Venezia (editi da Newton Compton), avete scelto una ambientazione settecentesca. È forse un periodo meno indagato dal romanzo storico italiano?
Strukul: «Non sono molto frequentati anche altri periodi, gli autori di romanzi storici in Italia sono aumentati, ma restano una minoranza, predominano gli autori stranieri. In Italia c’è una grande propensione a occuparsi del Novecento e ci sono periodi che sembrano figli di un dio minore. Il Settecento e soprattutto l’Ottocento. Per quanto riguarda il Settecento, da parte mia e del mio editore, Raffaello Avanzini, c’era anche la volontà di andare a scandagliare la Venezia esteticamente più bella e ricca di geni. Quando puoi giocare con Canaletto e Casanova... Ecco come è nata questa serie».
Simoni: «Io sono arrivato al Settecento quasi per caso, inventando il personaggio di Vitale Federici, e mi sono divertito perché potevo usare le armi da fuoco, dopo tutto quel Medioevo (ride ndr). Mi ha consentito di fare dei romanzi veloci, pieni di deduzione e razionalità. È un periodo storico difficile non tanto per la documentazione, quanto per rendere al lettore un’ambientazione e un modo di pensare lontani dai luoghi comuni lasciatici dai libri di scuola. Comunque è vero: quando parli ad esempio di Ottocento gli editori si spaventano, gli viene in mente qualcosa che somiglia ai vecchi mobili della nonna...».
Ultima domanda. Fare romanzi storici costringe a un grosso sforzo linguistico. Non potete far parlare i personaggi come parlavano davvero, ma rischiate sempre di attualizzare troppo la lingua. Dove sta l’equilibrio?
Simoni: «Sia io sia Strukul facciamo un esperimento molto simile a quello che fa Edmond Rostand con Cyrano de Bergerac. Io potrei forse scrivere un romanzo in latino medievale, ma sarebbe poco utile. Invece costruisco una creatura linguistica che dia la sensazione del passato. Non è filologico, è un gioco di prestigio, devo dare un’impressione. Si deve cercare un equilibrio immersivo e divertente, deve esserci una eco. Ci si riesce conoscendo bene le fonti».
Strukul: «Aggiungo che il linguaggio è anticato, lo arrugginisco un po’, come fa un rigattiere su un pezzo non originale... L’operazione del falsario letterario è questo. E mi permetto di dire che bisogna dare merito ai traduttori. Alcuni fra loro che hanno tradotto autori antichi mi hanno fornito un sacco di spunti».