La Stampa, 10 maggio 2024
Biografia di Fabio Gallia
Fabio Gallia, il banchiere piemontese scomparso martedì a soli sessant’anni, è stato uno dei migliori nel suo campo in Europa. Martedì si era appena alzato e aveva intrapreso la sua oretta quotidiana di ginnastica a casa sua a Roma, quando si è sentito male. Inizialmente non ha dato molta importanza al senso di malessere che provava: in testa aveva gli impegni di giornata, l’aereo che lo aspettava per Parigi, dove aveva trovato lavoro per Centerview Partners, il gruppo bancario a dimensione mondiale che lo aveva chiamato due anni fa, i vari spostamenti della settimana e finalmente il ritorno a casa per il prossimo week end. Poi ha avvertito qualcosa di strano, come un sapore di sangue in bocca e s’è preoccupato. Ha chiamato un’ambulanza che stranamente è giunta poco dopo. Ma mentre aspettava, e quando è uscito di casa, ha solo cercato di rasserenare le persone che aveva intorno, la moglie Annalisa, il portiere dello stabile di via della Mercede dove abitava: «Tranquilli. Ci vediamo più tardi». Così è uscito ignaro del destino terribile che lo aspettava e se lo è portato via poche ore dopo, malgrado un intervento in extremis all’aorta dei medici del San Camillo, la più qualificata equipe di cardiochirurgia della Capitale.
Nei suoi quasi quarant’anni di lavoro senza mai risparmiarsi, Gallia ha rappresentato l’esempio tipico di come l’Italia possa ancora formare soggetti assai qualificati e poi lasciarseli sfuggire per mancanza concreta di sbocchi professionali.
Nato ad Alessandria, Fabio si era laureato in economia a Torino (un’altra laurea, ad honorem, gliel’aveva conferita La Sapienza, nella Capitale), aveva cominciato in società di consulenza da Accenture ad Ersel, era stato subito notato e chiamato a Roma da Cesare Geronzi, il banchiere romano molto potente e noto nei primi anni del secolo per la sua idea di “banca di sistema”, al servizio, cioè, dei governi, ora di D’Alema, ora di Berlusconi. Ma Geronzi era stato anche capace di formare attorno a se una schiera di giovani, subito proiettati in grandi responsabilità, come la costruzione del secondo gruppo bancario italiano, Capitalia e poi Unicredit.
Tra loro c’era Gallia, presto emerso per qualità personali, non solo tecniche, tipicamente piemontesi: prudenza e insieme ambizione, riflessività, orizzonte internazionale. L’elenco degli incarichi attribuitigli negli Anni Novanta e Duemila è così lungo che vale indicare solo i principali: vicedirettore e poi condirettore del gruppo Capitalia, amministratore delegato della Banca di Roma, presidente del comitato controllo di Capitalia Vita Assicurazioni (in questo inaugurando la connessione, allora una novità, tra banca e assicurazione), membro del consiglio d’amministrazione di Borsa Italiana, Cavaliere del Lavoro. Finché, nel 2007, a chiamarlo sono i francesi di Bnp Paribas per affidargli la guida, come amministratore delegato, della Banca Nazionale del Lavoro, da tempo passata in mani straniere.
È in quel periodo che cominciammo a vederci, periodicamente, e a stringere un’amicizia un po’ strana, come appunto può essere quella tra un banchiere e un giornalista. Ci eravamo incontrati in casa di amici comuni, ripromettendoci di trovare ancora modo di conversare faccia a faccia. Così era stato. Parlavamo soprattutto – ne parlava lui, in modo per me affascinante – dei cambiamenti dell’economia globale. E a un certo punto ricadevamo – quando toccava a me – nelle angustie della politica nazionale. Era poi seguito un allargamento familiare della frequentazione, fino alla decisione di trascorrere insieme, in tranquillità, la notte di Natale. Fabio era uno straordinario interlocutore dei ragazzi, i miei e i suoi. Un allenatore, un “coach” che sapeva proiettarli sempre verso nuovi obiettivi, scolastici, universitari e di lavoro. Sarà anche per questo se tutti loro sono andati a vivere, studiare e lavorare all’estero. Ed era stato in una di queste occasioni che avevamo festeggiato, nel 2015, il passaggio di Fabio dalla banca francese alla Cassa Depositi e Prestiti italiana.
Chiamato direttamente da Renzi, allora premier, che conosceva appena, Fabio si era seduto sullo scranno più alto di un gruppo che teoricamente, solo teoricamente, il governo pensava di adoperare come braccio finanziario della propria politica economica, con larghi margini di autonomia del manager chiamato a dirigerlo; ma nei fatti intendeva usare come tappabuchi delle numerose falle che si aprivano nella carena della vecchia imbarcazione Italia. Su questa contraddizione si era subito aperto il dissenso tra Gallia e Renzi. Il primo, già in quegli anni, era attratto dalle potenzialità del mercato digitale e non a caso si era focalizzato sul laboratorio rappresentato dalla Silicon Valley in Usa; il secondo chiamava spesso solo considerando la Cassa uno sportello bancario del governo aperto a tutte le ore, cosa che, evidentemente, Gallia non poteva accettare. La rottura, dopo un certo numero di esempi di resistenza su casi grandi e piccoli di default e di imprese decotte da salvare, era stata su uno dei tanti inutili tentativi di salvataggio dell’Alitalia: soldi purtroppo gettati al vento, che Fabio si era rifiutato di erogare.
Di qui, dopo la caduta (per tutt’altre ragioni, com’è noto) del governo Renzi, l’uscita di Gallia nel 2018 dalla Cassa e il suo trasferimento nel 2020 a Fincantieri come direttore generale. Con l’impegno di Bono, l’amministratore delegato da vent’anni, di cedergli il posto alla prima scadenza. Un nuovo mestiere («Qui si fanno cose», sorrideva, con il suo abituale entusiasmo per le novità) e una promessa che non fu mantenuta per un altro cambio di governo e per la rimozione e la successiva scomparsa dell’anziano ad. Ma Fabio non ebbe neppure il tempo di guardarsi attorno e fu chiamato da Centerview Partners, che aveva fatto suonare la sirena per lui irresistibile del business internazionale.
Era cominciata così la sua terza vita, tra Parigi, dove aveva preso casa, Milano, Roma, la campagna in Maremma, dove arrivava distrutto a fine settimana, per riposarsi un po’. Ed era diventato più difficile vederlo, riprendere la consuetudine delle conversazioni, ascoltarlo mentre suonava la chitarra, altra sua grande passione, o assistere alle acrobazie che di tanto in tanto faceva, per sfogare la tensione, su una moto da cross. Per questo, anche per questo, la piccola folla di amici, di tutte le età, venuti da mezza Europa ieri mattina ai funerali nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma, era piena di rimpianti. Perché è incredibile che una persona speciale come Fabio se ne sia andato così presto, così all’improvviso. E mancherà, mancherà a tutti. —