La Stampa, 10 maggio 2024
Intervista a Giuseppe Conte
Secondo Giuseppe Conte in Italia «si stanno creando le condizioni per una nuova diffusa Tangentopoli». Il presidente del Movimento 5 stelle, in queste ore impegnato in campagna elettorale a Torino, è nei panni di quello che “l’aveva detto”, visto che «già a dicembre avevo lanciato l’allarme sulla questione morale, di fronte a evidenti segnali di compenetrazione tra politica e affari». Il problema, spiega l’ex premier, è «una degenerazione della classe dirigente: dalla Liguria alla Puglia, dal Piemonte alla Sicilia la politica si lascia corrompere, incline alla compravendita dei voti e si rende permeabile alle infiltrazioni mafiose».
Il punto è come si reagisce di fronte a tutto questo, no?
«Siamo a un bivio, se come politici non riusciremo a esprimere un sussulto di dignità, a trovare anticorpi efficaci e ad affrontare con rigore questa degenerazione, finiremo solo col prendercela con la magistratura, lamentandoci dell’invadenza dei pm nella sfera politica. E una politica incapace di rigenerarsi tenta di spuntare le armi ai magistrati, limitando i loro poteri investigativi».
È quello che sta facendo il governo Meloni?
«A destra hanno avuto una reazione corporativa ed è gravissimo che anche il ministro Nordio sia intervenuto a caldo per censurare i magistrati di Genova, senza nemmeno avere conoscenza dei dettagli dell’inchiesta. Ma basta guardare le riforme che portano avanti, dalla separazione della carriere alla discrezionalità dell’azione penale, dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alla depenalizzazione del traffico di influenze, fino alla limitazione delle intercettazioni. Vogliono ampliare gli spazi di impunità e asservire la magistratura alla politica».
E per ora offrono copertura a Toti, che non si dimette…
«Sono ridicoli, come può rimanere al governo di una Regione un presidente agli arresti domiciliari? Che immagine diamo delle nostre istituzioni? Del resto, anche la ministra Santanché è ancora lì, va a rappresentare all’estero il made in Italy, nonostante sia accusata di aver usato in modo fraudolento i fondi del Covid. Senza dimenticare che Meloni ha fatto dimettere Sgarbi per le inchieste a suo carico e poi lo ha candidato al Parlamento europeo, così da garantirgli l’immunità».
Ha citato la riforma della giustizia, che si accompagna al premierato e all’autonomia differenziata, contro cui il Pd è pronto a scendere in piazza a Roma il 2 giugno: scelta opportuna? Possibile una vostra partecipazione?
«Noi abbiamo preferito dislocare le nostre manifestazioni da Nord a Sud, ritengo complicata una piazza unitaria proprio mentre siamo impegnati negli ultimi giorni di campagna elettorale. In ogni caso, ritengo sbagliato ridurre la festa della Repubblica, che è di tutti, a una giornata di parte. Avremo altre occasioni con le forze di opposizione per manifestare contro queste riforme scellerate, denunciando l’avventurismo costituzionale del governo e la rottura della coesione nazionale».
Stesso discorso sulla difesa della sanità pubblica: sosterrete la legge presentata dal Pd, a prima firma Schlein, per aumentare la spesa sanitaria e sbloccare le assunzioni di medici e infermieri?
«Alla Camera c’è da mesi anche una nostra proposta di legge che punta a salvaguardare il servizio sanitario nazionale: bisogna investire di più e su questo siamo d’accordo. Ma noi siamo convinti che non si possa fare un vero salto di qualità se non buttiamo fuori la politica dalla sanità, introducendo misure che impediscano di trasformare i presidi sanitari in luoghi sfruttati dai partiti per alimentare il proprio consenso e il diritto costituzionale alle cure in un favore concesso in cambio di qualcosa».
Con il Pd ultimamente ci sono stati molti attriti, a partire da Bari, ma alla fine siete alleati in quasi tutti i capoluoghi di provincia e in molte città al voto a giugno. Stare insieme è necessario…
«È la dimostrazione della nostra linearità e chiarezza: quando possiamo andare in coalizione non ci sottraiamo mai, lo facciamo solo quando non c’è una piena convergenza programmatica oppure in contesti inquinati dal malaffare».
Alle Europee teme di perdere terreno? Siete sempre andati peggio rispetto alle elezioni politiche e c’è chi la critica per aver composto liste deboli.
«Avrei avuto altri nomi noti da inserire, che si erano proposti, non le dirò chi. Ma noi non costruiamo le liste mettendo dentro gli acchiappavoti. A differenza di altri, non abbiamo aperto a sensibilità distanti dalla nostra linea politica, che magari possono allargarti il consenso, ma ti compromettono a livello di coerenza».
Ogni riferimento a Strada o Tarquinio nel Pd è puramente voluto?
«Vale anche per Vannacci nella Lega, ad esempio. Noi abbiamo fatto una scelta diversa: poche personalità esterne che ci danno un valore aggiunto, come Antoci, Morace, Tridico, Biggeri. Ma saranno i nostri principi e valori a guidarci in Europa. Chi vota M5s sa per quali obiettivi vota: saremo costruttori di pace e ci batteremo per il lavoro dignitoso, contro il precariato, per la transizione ecologica. Questa coerenza ha un costo, me ne rendo conto, ma noi concepiamo così la politica».
Intanto, Giorgia Meloni ed Elly Schlein si preparano al loro duello tv, lei con quale avversario vorrebbe farlo?
«Vedremo l’ordalia mediatica su chi delle due verrà laureata per la migliore performance, poi io potrei misurarmi con la vincente».
Non sarebbe male nemmeno un suo duello contro il ministro Giorgetti, che ha paragonato il Superbonus al disastro del Vajont…
«Se così fosse, lui ne sarebbe il principale responsabile, visto che sono tre anni che il Superbonus lo sta gestendo lui, prima come ministro dello Sviluppo economico di Draghi e ora come ministro dell’Economia di Meloni. Se ritiene questa misura una tragedia, dovrebbe avere il pudore di dimettersi immediatamente, visto che ha firmato sei provvedimenti che ne hanno esteso l’ambito applicativo. Ricordo che il Superbonus è stato avviato in piena pandemia per far ripartire il Paese, ma io l’ho potuto governare solo per i primi sei mesi, poi ci ha pensato Giorgetti. Il quale, insieme a Meloni, ci sta portando verso lo zero virgola di crescita».
Cosa pensa di quello che sta avvenendo in Rai? Voi 5 stelle avevate dato ai nuovi vertici un’apertura di credito, con l’astensione del vostro consigliere in Cda. Quindi?
«Quindi, fermo restando che la legge del 2015, che assoggetta la governance Rai al governo di turno, non l’abbiamo scritta noi, ribadisco che siamo e saremo sempre contro la censura e contro qualsiasi ipotesi di compressione della libertà di informazione. Questo governo si sta rivelando intollerante al dissenso, non solo per quanto riguarda la stampa, ma anche sull’espressione in generale, vedi le manganellate agli studenti o l’ostracismo verso gli intellettuali non allineati»