La Stampa, 10 maggio 2024
Intervista ad Annalena Benini
«I ragazzi hanno il diritto di esprimere le proprie idee. E gli adulti hanno il dovere di ascoltare un mondo che è diverso dal loro». Al suo debutto da direttrice del Salone del libro, il più grande di sempre e, sottolinea lei, anche il più “femminista”, Annalena Benini, intervistata dalla vicedirettrice de La Stampa Annalisa Cuzzocrea, invita ragazzi e ragazze a seguire l’esempio di Salman Rushdie. Dello scrittore di Versetti satanici che oggi, a quasi due anni dall’attentato negli Stati Uniti, torna tra il suo pubblico per presentare Coltello. «Non ha cambiato niente della sua vita», sottolinea Benini. «E io credo che, come dice Salman Rushdie, non ci si debba porre il problema della non libertà di parola e di pensiero: bisogna andare avanti e fare, dire, pensare come sempre».
Un Salone pieno di persone. Cosa pensa di questo primo giorno?
«Sono molto felice, lo ero già ieri perché l’ho visto crescere fisicamente e ne ho avvertito, come ogni anno, la magia. Vedere tanti giovani entusiasti che hanno voglia di raccontare, parlare e ascoltare è emozionante».
La lectio magistralis di Elizabeth Strout è finita con una standing ovation e un calore che forse neanche lei si aspettava. È un Salone femminile o addirittura femminista?
«È un Salone sicuramente femminista, come potrebbe essere altrimenti? Abbiamo la voglia, il desiderio e la volontà di raccontare e celebrare il cammino luminoso e accidentato delle donne. Cominciare con Elizabeth Strout è stato un regalo: ha fatto una lezione di grande generosità sulla scrittura, ha dato molto di sé ed è entrata immediatamente in intimità con gli spettatori, una caratteristica femminile».
La mostra fotografica Non solo Signorine parla di donne poco raccontate, quelle che le nostre figlie non vedono rappresentate sui libri di storia o letteratura. Qualcosa di tutto questo sta cambiando?
«Sì, ma abbiamo il preciso compito, insieme alle nostre figlie, di cambiare le cose sempre di più. Credo che sia un dovere riconoscere qualcosa che è il contrario dell’invisibilità, ma è anche un grande piacere scoprire quanto le donne abbiano lavorato in posizioni spiazzati rispetto al loro essere donne. In mostra c’è una fotografia che ritrae una ragazza meccanico sotto un’automobile ed è una bellissima immagine da restituire».
Com’è stato preparare questo Salone in un clima bollente tra polemiche, censure e problemi con la libertà di espressione?
«È stato semplice, ho lavorato insieme a una squadra di persone brave e appassionate, in totale libertà. Abbiamo ospite Salman Rushdie, per la prima volta in Italia dopo l’attentato del 2022, un grande scrittore che ha subito un attacco proprio durante un incontro pubblico, mentre parlava della necessità di sostenere gli scrittori perseguitati. Ha rischiato la vita e adesso viene qui a Torino, di nuovo in un incontro pubblico, a raccontarci quello che è successo. Mi sembra il messaggio più importante che il Salone potesse dare contro l’odio e la paura».
In tempi in cui la guerra è arrivata anche nel dibattito pubblico, è più difficile fare in modo che opinioni diverse si incontrino?
«È sicuramente complicato, è una questione di delicatezza: bisogna fare attenzione a quello che è la pretestuosità della polemica. Ma credo che, come scrive Rushdie, non ci si debba porre il problema della non libertà di parola e di pensiero. Naturalmente, ci vuole anche una capacità di ascolto degli altri per far sì che l’incontro non si trasformi in uno scontro».
Sono settimane di proteste in università sulla questione mediorientale. Noi dipingiamo una generazione arrabbiata, incapace di vivere la complessità e schiava di slogan sbagliati e inutili. Cosa pensa di quello che sta accadendo nei luoghi di cultura, come gli atenei?
«I ragazzi hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni, gli adulti hanno il dovere di ascoltare un mondo che è diverso dal loro, in cui vengono usati strumenti diversi da quelli che abbiamo sempre utilizzato e che credevamo fossero i migliori del mondo. Penso che una maggiore capacità di ascolto vada richiesta a tutti».
Anche il riconoscimento di un ruolo, che non è solo passivo, potrebbe essere la lezione dal Salone nella vita civile del Paese?
«Sono convinta che sia così: è importante fare il Salone e tanti altri progetti culturali più che per i giovani, con i giovani, insieme a loro. I ragazzi e le ragazze hanno voglia di esserci ed è giusto che ci siano. Non un sapere che cade dall’alto, ma qualcosa da condividere in un incontro».
Qual è la sua vita immaginaria?
«È un modo esistenziale e sentimentale di stare al mondo: mi appassiono ai fatti della vita reale sempre attraverso le storie delle altre persone. Ascoltavo Elizabeth Strout parlare della curiosità per i mondi degli altri, nell’impossibilità di entrare nella loro testa. Ecco, nella mia vita immaginaria c’è molto piacere nel mettermi nei panni che non sono i miei e nel cercare di capire qualcosa di più di me attraverso gli altri». —