Corriere della Sera, 10 maggio 2024
Intervista a Spalletti
Montaione L’uomo che sussurra ai cavalli (e anche alle anatre, agli alpaca e agli asinelli) se ne sta dentro questo mondo così «nature» sulle colline senesi in cui sta in pace con sé stesso, si isola, prova a trovare la rotta giusta per regalarsi un Europeo da favola. L’uomo che dovrà gestire i sogni di questa estate naif, che gli apparterrà per intero, sotto l’egida di commissario tecnico, porta con sé la propria idea di vita, lontana dalle luci psichedeliche del calcio, ramificata invece in una esistenza contadina, in cui viene spontaneo separare il grano dal loglio. L’uomo, Luciano Spalletti, che sta di fronte al c.t. Luciano Spalletti, è un manager moderno e trasversale, che sa perfettamente cosa chiedere ai suoi giocatori e cosa alla veterinaria che gli sta di fronte («come sta l’asinello Chucky, faccia tutte le analisi del caso»): e così, nello stesso istante, nel mood un po’ fiabesco della sua «Rimessa», c’è una palla che contiene la dimensione di un visionario senza confini. La sua Europa non ha recinti culturali, religiosi e sociali. Si fa portavoce di questo messaggio ad uno dei 12 tavoli tematici del Mondiale della Fraternità organizzato dalla Fondazione Vaticana e intitolato «Be Human». Come si tiene unito uno spogliatoio dove insistono culture e religioni diverse?
«Connettendosi sulla stessa lunghezza d’onda, tutti uguali in un contesto dove dobbiamo darci forza l’uno con l’altro. Convincerci a vicenda di essere forti, motivati e sempre sul pezzo. Lo sport è essenzialmente integrazione, l’esempio può e deve partire anche da noi. La diversità è un valore, ci fa crescere. Ci forma, ci apre gli orizzonti».
Dice spesso siamo tutti fratelli: cosa intende?
«Lo dico ai miei calciatori: davanti allo spogliatoio c’è un salvadanaio virtuale dove ognuno mette ciò che ha e può dare. Recuperare una palla persa può valere quanto un gol. Così si vince, così nascono i rapporti. Ricordo il viso felice di Totti, quando ero alla Roma e con tutta la squadra andammo da lui in ospedale».
Poi ci ha litigato, però.
«Quando ci siamo rivisti dopo anni, ci siamo abbracciati. Io le persone le guardo negli occhi, nella postura. Le assicuro ci siamo ritrovati, le basi del nostro rapporto sono forti».
La maglia della Nazionale, cosa ha in più rispetto a tutte le altre?
«È la più bella e più importante del mondo, la prima pelle per un calciatore. Bisogna indossarla con orgoglio e convinzione. Con dignità e umanità. Nella nostra Nazionale tutti devono essere sullo stesso piano, che nessuno si senta potente. Partiamo tutti dalle sconfitte passate, sono quelle che formano. La vittoria è bella, ti fa figo ma se resta fine a sé stessa diventa un vizio. Dalla depressione di una batosta si rinasce».
L’Italia può realmente competere con le big europee. Inghilterra, Francia, Germania?
«Dobbiamo farlo ma bisogna lavorarci ancora. Quello che abbiamo fatto vedere finora non è sufficiente. Abbiamo qualità tecniche e anche umane e sia chiaro: contano alla stessa maniera».
Scamacca è rinato, c’entrano i suoi rimbrotti sui videogiochi?
«Il merito è di Gasperini che lo allena, se in qualche modo l’ho sollecitato ad avere una reazione sono contento, il mio fine è questo. La tecnologia è importante ma va contestualizzata. Bisogna stare connessi tra di noi, anche nei tempi morti. Sono i dettagli che fanno la differenza, sempre. Quei dieci giorni in cui staremo insieme prima di partire saranno i più importanti».
Convocherà in quei giorni i numeri 10 Baggio, Antognoni, Totti, Del Piero...
Il salvadanaio virtuale
In una squadra i giocatori devono convincersi di essere forti e sempre sul pezzo: recuperare una palla persa vale quanto un gol
«Ci aggiunga anche Rivera, e lo faccio per me. Lui è il 10 dei miei tempi… Ci daranno la loro esperienza, racconteranno i loro trofei. Ci stimoleranno».
La squadra italiana che più le è piaciuta.
«A parte l’Inter che ha vinto meritatamente lo scudetto, il Bologna. Mi riporta al Napoli. Bel gioco e nel gruppo si respira amicizia, fratellanza. È così che si vince, anche».
Il Milan rinuncerà a Pioli, giusto secondo lei?
«Pioli è un ottimo allenatore e soprattutto uomo con grandi qualità umane, ha spessore. Ha fatto bene al Milan in questi tre anni. Nelle dinamiche interne non entro».
Cosa è successo invece al Napoli?
«Tre allenatori in genere non si cambiano neanche in cinque anni. Come si fa in pochi mesi ad assimilare tante cose da uomini che hanno metodi e caratteri diversi. I giocatori, talvolta, devono essere confortati, convinti di essere forti. Basta un nulla per demotivarsi. Ragazzi giovani come Zirkzee, Kvara per esempio vanno coltivati, difesi e sostenuti ogni giorno».
Di Lorenzo, Raspadori, Meret: li convoca con la stessa convinzione?
«Io valuto complessivamente, non la stagione o gli ultimi mesi».
Quanto conta la fortuna nel calcio?
Tanto, arriva se te la meriti. Se sai coglierla. Il Real Madrid in finale di Champions è una dimostrazione. Carlo è stato fortunato contro il Bayern, qualche svista arbitrale c’è stata. Ma non toglie nulla alla vittoria, ci hanno creduto»
La sua fortuna più grande?
«Mamma e moglie. Senza la loro forza non sarei andato da nessuna parte».
Inter, Napoli e Pioli...
L’Inter ha meritato, dal Bologna bel gioco e amicizia. Il Napoli? Tre tecnici non si cambiano nemmeno in 5 anni Pioli? Ottimo allenatore
Il dolore...
«Ho perso mio fratello Marcello, una roccia. E mio padre Carlo, ancora più forte. Null’altro può scalfirmi». Spalletti osserva mamma Ilva, 91 anni, gli occhi vispi e un sorriso grande. «Com’è?», le dice. E lei: «Bene, Luciano». Poi va a vedere la vigna: «Basta un temporale per rovinare una stagione». L’uomo, il c.t. e il contadino.