Corriere della Sera, 10 maggio 2024
Matteo Cozzani
GENOVA Se il mondo fosse come il quarto piano del palazzo della Regione, la crisi dell’editoria sarebbe risolta da un pezzo. Con le spalle all’ingresso, nel corridoio di destra che porta alla segretaria generale, regno dei dirigenti tecnici «nativi» dell’ente, lo chiamano Bel Ami al pesto, il piccolo Gatsby, Robin Hood al contrario, oltre che naturalmente Rasputin, per tacere dei nomignoli impubblicabili. A sinistra, verso l’ufficio del presidente e quelli della sua squadra, della quale è stato per due anni l’allenatore, a malincuore, lette le carte della procura, cominciano a evocarlo talvolta come una sorta di dottor Jekyll. Ma soprattutto, come «il nostro cavallo di Troia». Perché la valanga giudiziaria che rischia di travolgere il pigmalione Giuseppe Toti e il suo presunto sistema di potere è stata senza dubbio innescata dall’indagine dei pubblici ministeri della Spezia sul suo conto.
Il dispiegamento di tanta erudizione storica e letteraria e di altrettanto astio nei confronti di un sol uomo dice molto anche della sua importanza in questa storia. Oltre che dell’ostilità mai sopita dei dirigenti regionali che fanno capo alla segreteria generale, la struttura preesistente che negli ultimi anni si è sentita messa in disparte dal nutrito staff di «esterni», come li chiamano ora, creato dal governatore. «Io? Mai stato a Genova». Quando era sindaco di Portovenere, intratteneva i turisti dipingendosi come il ragazzo di casa, anche se ovviamente era una bugia. L’ingegnere Matteo Cozzani non era esattamente un povero provinciale che sognava di scalare la buona società del capoluogo ligure. Nel 2013, al tempo della sua prima elezione nel paese dove è nato, girava in Porsche decappottabile con tanto di Miss Padania al suo fianco. Imprenditore di successo come il padre, con in più la passione per la politica, concepita fin da subito come uno strumento per fare business.
Quando diventa il più giovane sindaco d’Italia, ha già lasciato Forza Italia e il Pdl per decidere che civico è bello. Vince con il suo nome impresso su uno sfondo arancione, colore e idea che poi anni dopo passerà a Toti. Si conoscono nel 2015, quando Cozzani lancia la piscina naturale tra la spiaggia di Portovenere e l’isola Palmaria, che raduna centinaia di persone a mollo su materassino con dj al lavoro su piattaforma galleggiante. Il neopresidente della Liguria prende nota. Quell’iniziativa pop gli piace molto. Regione e Comune diventano partner nel progetto che intende trasformare Palmaria nella Capri della Liguria. Senza sapere all’epoca che sarà proprio quella la causa iniziale delle loro comuni sventure.
Gli esordi in politica
Girava in Porsche con Miss Padania al fianco, diventò il sindaco più giovane d’Italia
Cozzani diventa totiano e Toti diventa cozzaniano, come si racconta oggi per definire la simbiosi tra le due figure. Il sindaco nel frattempo rieletto diventa coordinatore della lista del presidente alle regionali del 2020, e subito dopo suo capo di gabinetto, ruolo e figura inedite nella storia della Regione Liguria. I fedelissimi della prima ora sono costretti a traslocare, mentre il nuovo arrivato diventa una sorta di plenipotenziario, a discapito della segreteria regionale. «Adesso chiamo la soprintendente e la spettino». Siamo nell’ottobre del 2021, e una funzionaria spezzina solleva qualche timido dubbio sul fatto la definizione di «interventi leggeri di riqualificazione» promossa da una delibera di giunta scritta da Cozzani per Palmaria, dichiarata patrimonio Unesco dal 1997, mal si concilia con il progetto degli imprenditori milanesi Mirko e Raffaele Paletti che prevede abbattimento e ricostruzione di un edificio, 33 cabine in muratura, 8 piscine. Una frase riassume il credo del nuovo potente ligure. «Cioè, dobbiamo difendere la gente che investe, non farla prendere a calci in bocca». La difesa della libera impresa prevede anche il coinvolgimento di suo fratello Filippo per la gestione del nascituro stabilimento balneare, almeno secondo la procura spezzina, che si mette all’ascolto, rilevando anche la fattispecie del voto di scambio commesso a Genova.
E si apre il vaso di Pandora, tanto per rimanere al passo con le citazioni. Per lui, e per Toti. Le accuse più scabrose nei confronti del suo delfino, che riguardano il voto di scambio con l’aggravante mafiosa. «Quelli mi squartano», dice per via di alcune sue promesse disattese a proposito di due fratelli indicati dai magistrati come referenti di un clan criminale. E quando si tratta invece di convincere una candidata a partecipare a una loro cena, le spiega che sono «come la mortadella, poca spesa molta resa, dieci giorni dopo le elezioni blocchi il numero, grazie e arrivederci». Passaggi che secondo il giudice rivelano consapevolezza sulla vera identità delle persone con le quali Cozzani sta trattando pacchetti di voti, e che si sovrappongono a una gestione della cosa pubblica «del tutto spregiudicata, oltre che personalistica». Poche ore dopo gli arresti, il segretario generale, «viste le notizie apprese», ha fatto chiudere gli uffici della presidenza, quelli del capo di gabinetto e del loro staff. Ingresso vietato a tutti, tranne che a lui. La vecchia struttura si riprende gli spazi perduti. Grazie al Rasputin di Portovenere, diventato cavallo di Troia a sua insaputa.