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 2024  maggio 09 Giovedì calendario

Uniti dal divorzio

C’era una volta un Paese in cui il dissenso non era censurato, in cui le contestazioni verso i membri del governo non erano bollate come censura, in cui le vite delle persone avevano un peso specifico nell’agenda politica. Quel Paese, nel giro di un decennio, dal 1968 al 1978, fu capace di trasformarsi, di modernizzarsi, di aprirsi alle istanze e a i diritti di quelli che prima non ne avevano. Nel 1970 viene varata la legge sul divorzio, nel 1974 i Decreti delegati aprono la scuola alla partecipazione di studenti e genitori, nel 1974 la stessa legge sul divorzio viene sottoposta a referendum abrogativo ma rimane in vigore, nel 1975 viene modificato il diritto di famiglia in modo da equiparare il ruolo del padre e marito a quello della moglie e madre, nel 1977 vengono abolite le classi differenziali e nasce la figura dell’insegnante di sostegno, nel 1978 viene emanata la legge sull’aborto che permette l’interruzione volontaria di gravidanza entro il terzo mese…
C’era una volta un Paese in cui un giovane cantante all’apice del suo successo coinvolgeva la sua famiglia, una famiglia felice, per sostenere una battaglia politica e sociale da cui non avrebbe ricavato alcun guadagno. In uno spot del maggio 1974 un giovanissimo Gianni Morandi presenta ai telespettatori sua moglie Laura Efrikian e i due figli, Marianna di cinque anni e Marco, ancora in culla, per parlare di divorzio. Con l’eterno sorriso da ragazzo perbene che ha fatto innamorare tante ragazze, le loro madri e le rispettive nonne, Morandi in quel maggio del 1974, alla vigilia del referendum abrogativo, spiegava pacatamente che la sua era una famiglia felice, ma che evidentemente non tutte le famiglie sono uguali e che, come diceva qualcuno, “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Morandi e Efrikian, quindi, non parlano per sé, ma per tutti. Difendere un diritto significa questo: creare un luogo giuridico che possa essere abitato da ogni persona che ne abbia bisogno. Morandi attraversa il salottino di casa con la sua giacchetta crema, si avvicina a un leggio con una riproduzione ingigantita della scheda elettorale e spiega che i giorni della consultazione, 12 e 13 maggio, bisognerà tracciare una ics sulla parola “no”.
È anche grazie ai Morandi, dunque (e a Gigi Proietti, a Paolo Stoppa, a Nino Manfredi i quali girarono anche loro caroselli pubblicitari contro l’abrogazione), che tra pochi giorni la legge sul divorzio festeggerà 50 anni dalla sua riconferma al referendum. È anche grazie a quella famiglia felice che tante famiglie infelici hanno potuto porre fine alla loro infelicità sciogliendo un vincolo che per il passato era stato inscindibile e che aveva causato, proprio per questo, dolori, ipocrisie, violenze, malesseri.
I Morandi sono un po’ lo specchio di quel Paese capace di superarsi, di immaginarsi migliore, più aperto, più moderno, più avanzato, meno pauroso, meno arroccato su nostalgie reazionarie, meno avaro di sé. Un Paese più generoso e solidale in cui la costruzione dei diritti era lavoro di tutti, un mattone a testa, con l’obiettivo di dare forma a una casa comune, più spaziosa, più comoda, in cui più persone potessero sentirsi a proprio agio. Quei mattoni sono ancora oggi per tanti aspetti i pilastri delle nostre vite.
C’è oggi un Paese impaurito e diviso, in cui i diritti vengono confusi con le pretese, in cui l’aborto non viene considerato un diritto da alcuni rappresentanti del governo, in cui alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli non vengono riconosciute le stesse garanzie rispetto agli altri, in cui qualcuno blatera di riesumare le “classi differenziate” e qualcun altro applaude entusiasta.
A rivedere quelle immagini sfocate e dai colori accesi viene una gran tristezza, per quello che eravamo e abbiamo smesso in parte di essere: un Paese in cui certe battaglie si facevano non solo per la propria felicità ma per quella di tutti.