Il Messaggero, 9 maggio 2024
Intervista a Leatitia Casta
Una madre uccide l’ex marito violento che per vent’anni l’ha sottoposta a ogni genere di abuso e ancora non si rassegna a lasciarla in pace: «Prima o poi sarebbe stato lui ad ammazzare me», dice Laetitia Casta in una delle scene più intense del film Una storia nera, regia di Leonardo D’Agostini, in sala il 16 maggio. Recita in italiano, l’attrice francese nata in Corsica, ex top model e volto della Marianna simbolo del suo Paese. Quarantacinque anni, 4 figli (due dei quali avuti da Stefano Accorsi), carattere tosto e una regia all’orizzonte, è di una bellezza abbagliante. In un albergo romano, pantaloni e camicia lavanda, parla di femminicidi, figli, carriera. E del film che, in una tensione crescente tra ambiguità, colpi di scena e processi contro la protagonista (impossibile non pensare ad Anatomia di una caduta), affronta il tema attualissimo della violenza contro le donne.
È per questo che ha girato “Una storia nera”?
«Ho amato l’ambiguità e la complessità della sceneggiatura che suscita molte domande senza giudicare il mio personaggio, una vittima che trova però la forza di ribellarsi. Ho provato empatia per lei. I femminicidi sono sempre esistiti ma oggi finalmente se ne parla. Nei film francesi più che nei vostri, a dire la verità».
Merito del movimento #MeToo che tuttavia qualcuno, dopo l’assoluzione di Harvey Weinstein, considera finito?
«Il #MeToo è stato necessario perché ha dato la parola alle donne. Ha avuto un’importanza storica, ha segnato un prima e un dopo. Ho recentemente girato Le consentement, un film sui predatori pedofili, in cui faccio la mamma di una giovanissima vittima: se non ci fosse stato il #MeToo, non avrebbe trovato i finanziamenti».
Ha cominciato a lavorare a 15 anni, è mai stata molestata?
«Tutte le donne, in qualunque ambiente lavorativo, hanno incontrato un uomo che voleva imporre il proprio potere, umiliarle o addirittura essere violento. Non ne conosco una sola, anche se indipendente, che sia sfuggita a questo destino: scontrarsi con la misoginia tocca a tutte».
Anche a lei, dunque?
«Da donna, rispondo di sì. Sono 25 anni, da quando sono adulta, che vivo nel patriarcato. Appena cresci e diventi soggetto delle tue scelte devi imparare a difenderti».
E lei come fa?
«Non rappresento la tipica donna che subisce, ma avverto la responsabilità delle mie decisioni come artista e delle parole che dico: mi preoccupo che contribuiscano a migliorare le cose. Ma non sono una femminista radicale, uomini e donne devono camminare mano nella mano per far progredire la società».
Cosa insegna alle sue due figlie?
«A rispettare gli altri e a farsi rispettare. Ci sono tanti uomini vittime di discriminazioni o violenze ma denunciarlo è ancora un tabù, come se i maschi non avessero il diritto di mostrarsi fragili. Bisogna battersi anche per loro».
Con che criterio sceglie i suoi film?
«Come attrice cerco storie capaci di rispecchiare il mio impegno civile e i valori in cui credo nella vita. Come essere umano, inseguo le esperienze che possano soddisfare la mia curiosità e mi aiutino ad arricchirmi».
Guardando indietro, di cosa va più fiera?
«Di non aver mai perduto la voglia di essere quello che volevo. Non mi sono accontentata di un destino scontato. Facevo la top model e sono diventata attrice... E ho resistito a chi voleva costringermi in un ambito ristretto. Ho sempre voluto di più e uno spazio più ampio. Ma non ho finito, il lavoro continua (ride, ndr)».
Come mai ha deciso di diventare regista?
«Voglio guardare gli altri, non solo essere guardata. Un corto lo avevo già diretto e sto scrivendo il mio primo lungometraggio. Ma è un’impresa difficile».
Per una donna lo è ancora di più?
«No, almeno nel cinema francese: le cose stanno cambiando e dirigere un film è diventato ormai una necessità, quasi un’emergenza per le registe. È il momento delle donne».