La Stampa, 9 maggio 2024
La Tienammen di Tarquinio
Strane coincidenze: ieri mattina Marco Tarquinio, candidato del Pd alle Europee, affidava a Repubblica il suo sogno per l’Ucraina, «un’immensa Tienanmen», e Giovanni Belardelli ricordava sul Foglio il canto dei fratelli Bandiera – eroi risorgimentali – avviati alla fucilazione: «Chi per la patria muor / vissuto è assai, / la fronda dell’allor / non langue mai. / Piuttosto che languir / sotto i tiranni / meglio è di morir / sul fior degli anni». Belardelli si chiedeva chi mai in Italia, oggi, morirebbe per la patria. Per scegliere di morire ci vuole un buon motivo e noi – per fortuna – non ne abbiamo più: non c’è un tiranno e affatto ci turba che lo abbiamo avuto e che qualcuno morì per liberarcene. L’urgenza occidentale è conservare la tavola imbandita, e chi muore resta a bocca asciutta. Non solo non daremmo la vita per la libertà, ma ci sembra disdicevole che qualcuno lo faccia. Chiedere aiuto per la libertà e morire per la libertà: che protervia, che frivolezza! Fino a evocare, come buona soluzione per l’Ucraina, un’immensa Tienanmen, l’orrenda carneficina cinese della primavera’89, migliaia di morti, soprattutto ragazzi in rivolta contro un regime ferreo e plumbeo. Tarquinio, penso, non si augurava un’altra orrenda carneficina. Forse gli è tornata alla memoria giusto l’immagine terribile e meravigliosa del ragazzo di piazza Tienanmen, solo e disarmato a bloccare la strada a quattro tank. E, forse, Tarquinio non sa che di quel ragazzo si è saputo più nulla. Però una nuova Tienanmen di ragazzi disarmati e sterminati oggi c’è già: è in Iran. Ma in genere i pacifisti cattolici non ne parlano, a cominciare dal Papa.