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 2024  maggio 09 Giovedì calendario

Intervista a Pier Ferdinando Casini

ROMA
Sulla vicenda ligure, Pier Ferdinando Casini evita commenti: «Mi rifiuto di farlo su anticipazioni di stampa, i processi si fanno in Tribunale». Sul finanziamento della politica, invece, il senatore in Parlamento da oltre quarant’anni ha delle proposte da fare, «indipendentemente da un caso giudiziario o un altro: il tema in democrazia si pone a prescindere». E, secondo lui, va affrontato occupandosi di una legge sui partiti, ripristinando il finanziamento pubblico e lavorando a una legge elettorale con le preferenze. Perché, ragiona, «siamo in una tempesta perfetta».
Cosa intende?
«Caduta la Prima Repubblica, i partiti come li conoscevamo sono stati sostituiti da partiti personali, la formazione politica non esiste più, così come il radicamento territoriale. La classe dirigente ha subito una metamorfosi: in Parlamento non va più chi ha i voti, ma chi è amico del leader. E in questa situazione di maggiore permeabilità, abbiamo tolto il finanziamento pubblico!».
Lei ha sempre criticato l’abolizione del finanziamento pubblico voluta dal governo Letta nel 2014.
«È stato un errore, che mi vanto di non aver fatto: sono stato uno dei pochi che hanno votato contro. Sarebbe stato un errore anche in presenza di bontà e onestà generalizzate».
Perché?
«È sempre un errore pagare un prezzo legislativo all’antipolitica, sperando così di placarla. Il risultato è che non hai battuto l’antipolitica e hai fatto una cosa sbagliata. E non è stato l’unico episodio».
A cosa si riferisce?
«La riduzione del numero dei parlamentari, che ha reso meno efficiente il lavoro del Parlamento e privato interi territori di una rappresentanza: anche in quel caso votai contro».
All’abolizione del finanziamento però si arrivò dopo un referendum che la chiedeva col 90% dei sì e dopo che la politica aveva dato troppe volte pessima prova di sé…
«Senta, io sono stato eletto la prima volta nel 1983. Già allora bisognava dichiarare tutti i finanziamenti superiori ai cinque milioni di lire: ebbene, su 630 deputati, a fare questa dichiarazione eravamo pochissimi. Le leggi c’erano, e chi voleva seguirle le ha seguite. Ma c’era, diciamo così, una “disattenzione” all’applicazione della legge. Cosa che è stata pagata cara quando, dopo la caduta del Muro e l’indebolimento della politica, arrivò Mani Pulite».
Chiamiamola disattenzione… Con Mani Pulite venne scoperchiato il sistema.
«Io c’ero in Aula quando Bettino Craxi fece il famoso discorso sulla chiamata in correità. Ci fu la reticenza della politica, nessuno affrontò il problema alla luce del sole perché, diciamo la verità, tutti pensavano che l’onda si sarebbe arrestata al vicino di casa».
Il fatto però è che anche in periodi più recenti ci sono stati scandali.
«Ma è ovvio che la cattiva politica è la più grande alleata dell’antipolitica! Ma, ripeto, per quanto l’abolizione del finanziamento pubblico possa essere stata fatta con le migliori intenzioni, è stata un errore. Perché la democrazia ha dei costi».
Il Movimento cinque stelle risponde a questa obiezione dicendo che si può sopravvivere di microdonazioni.
«Massì, si possono mettere dei tetti di massimale alle donazioni, ma io più che sull’entità, mi concentrerei sulla trasparenza. Anche perché le microdonazioni si possono aggirare».
Anche le Fondazioni sono spesso guardate con sospetto.
«Ce ne sono usate per i migliori scopi, come la Fondazione Sturzo o la Fondazione De Gasperi, ma non metterei la mano sul fuoco per tutte. Ma pensi che io, proprio legato a una Fondazione, ho fatto un importante rifiuto a una straordinaria signora».
Cioè?
«Dopo la morte di Andreotti, la figlia di De Gasperi mi chiese di presiedere la Fondazione. Ma io ho una tale idiosincrasia proprio al tema dei finanziamenti, all’idea di doverli trovare, che mi sono spaventato e ho rifiutato. Dissi che non me la sentivo».
Come andrebbe affrontato secondo lei questo tema dei finanziamenti nella politica?
«Servono tre provvedimenti. Il primo: una riforma che restituisca all’elettore la possibilità di scelta. Le preferenze hanno delle controindicazioni, ma non si è inventato un meccanismo migliore».
Gli altri due provvedimenti?
«Bisogna applicare l’articolo 49 della Costituzione: ci vuole un controllo democratico sulla vita dei partiti. E poi bisogna ripristinare il finanziamento pubblico: in questo modo non dico che avremo sconfitto il malaffare, ma almeno toglieremo l’alibi di dire che è colpa della politica o delle elezioni».
Predisponendo però un occhiuto controllo, direi.
«Ma certo, ci vorrebbe un’autorità indipendente che controlli la trasparenza dei partiti politici».
Pensa che ci sia una maggioranza in questo Parlamento per poter discutere di ritorno del finanziamento pubblico?
«Il buon senso è sempre in minoranza, ma in realtà queste mie riflessioni in privato sono molto diffuse. Spero che ci sia chi ha il coraggio di farle anche in pubblico». —