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 2024  maggio 09 Giovedì calendario

Intervista a Julia Cagé e Thomas Pikett


Non date retta a chi dice che non ha più senso dividere la politica in destra e sinistra perché a guardare nel profondo, si scopre che la questione sociale resta la motivazione più forte che orienta gli elettori nelle urne. Questa la tesi di una colossale analisi sul voto dei francesi, dalla Rivoluzione a oggi. Due secoli e mezzo di referendum, elezioni legislative e presidenziali in un paese che ha sperimentato tutti i sistemi. Gli autori Julia Cagé e Thomas Piketty (compagni nella vita e nel lavoro), docenti nelle alte scuole parigine, sono due top nel dibattito internazionale. Lei premiata come “Best young economist” nel 2023, lui autore de “Il capitale nel XXI secolo”, sorprendente bestseller mondiale nel 2014.Esce ora per La nave di Teseo la loro “Storia del conflitto politico”, novecento pagine che disinnescano il principio fondante della politica “né di destra né di sinistra” di Emmanuel Macron.Julia e Thomas, che cosa rivela la vostra indagine?«Il risultato più sorprendente è che gli elettori non votano mai per caso e quando si dice che è finita la divisione di classe o la contrapposizione destra-sinistra, si dice una cosa non vera. La classe sociale non è mai stata tanto importante come oggi nel voto. Abbiamo digitalizzato i risultati di tutte le elezioni in Francia dal 1848 e i referendum dal 1793, per capire chi vota per chi».E qual è il risultato?«Oggi esiste un fossato tra le classi popolari urbane e le classi popolari rurali come non si era più visto dalla fine del XIX secolo. E crediamo che sia un fenomeno non solo francese. Nel periodo in cui era più forte la polarizzazione destra-sinistra, le classi popolari urbane e rurali votavano in modo più simile. Il mondo rurale sempre un po’ più a destra, ma lo scarto era limitato. Oggi non è più così».Il voto ci appare imprevedibile, programmi ed elettori sembrano interscambiabili. Come si può decifrare il conflitto politico?«Il nostro messaggio è che il voto non è illeggibile e resta determinato dalla classe sociale. Semplicemente il fossato territoriale si è allargato. Allora la contrapposizione era tra contadini e operai, i lavoratori dell’industria erano più concentrati nelle grandi città. Oggi la maggioranza è nelle piccole città ed è questo mondo operaio dei piccoli borghi che ha patito di più le ultime ondate di deindustrializzazione».E come hanno reagito sul piano elettorale?«Votando in maggioranza contro Maastricht e contro il trattato europeo del 2005 perché si sentivano abbandonati sia dalla destra e dalla sinistra che spingevano per l’integrazione europea e globale con l’ingresso della Cina nell’organizzazione mondiale per il commercio. Molti si sono orientati verso il Front National di Le Pen (oggi Rassemblement) per esprimere soprattutto un dispetto più che un’adesione al programma».Nel 2002, quando Jean-Marie Le Pen superò il socialista Jospin e si affermò al ballottaggio presidenziale contro Chirac, si parlò molto di immigrazione, criminalità, insicurezza diffusa. Non contano questi fenomeni?«Contano, ma meno della questione sociale. I più esposti alla criminalità non votano significativamente più degli altri per l’estrema destra. Gli elettori non si fanno illusioni. Nel 2007 Sarkozy ha sottratto voti a Le Pen anche grazie alla retorica della “racaille e del karcher”, cioè alla promessa di ripulire i quartieri dalla feccia criminale. Poi però ha soppresso posti di polizia per i tagli nel budget. E soprattutto ha fatto approvare per via parlamentare i trattati europei bocciati dagli elettori e questo è stato vissuto come un tradimento inaccettabile».Quindi l’Europa è una questione dirimente. C’è un rifiuto dell’integrazione?«C’è un rifiuto dell’Europa ultra liberale del libero scambio che è alla base del dumping fiscale, sociale e ambientale. Questo è davvero importante. Le soluzioni adottate dall’Unione europea, come la tassa carbone, sono troppo deboli, non cambieranno niente rispetto alle importazioni delle automobili elettriche cinesi».Voi siete europeisti?«Europeisti e social-federalisti, siamo per le soluzioni federali, ma se non si riescono a ottenere delle vere misure di protezione, noi pensiamo che ciascun Paese in modo unilaterale debba sottomettere i produttori stranieri alle stesse norme regolamentari a cui sono sottomessi i produttori locali. La questione europea ha giocato un ruolo fondamentale nell’allargamento del fossato territoriale che dicevamo prima e nella costruzione dell’attuale assetto politico tripartito».Questo tripartito si è instaurato nel 2017 con la prima elezione presidenziale vinta da Macron che dal centro ha debellato destra e sinistra. Chi ha votato per lui?«Ha avuto un voto molto marcato dal punto di vista sociale, più delle destre di Giscard, di Balladur o anche di Sarkozy. È emersa in modo netto la divisione tra voto urbano e rurale. Qualcosa di simile alla Terza repubblica (fino a prima del 1940, ndr), quando c’era un blocco centrale borghese di repubblicani cosiddetti “opportunisti” che ha finito per sprofondare sotto le accuse di egoismo sociale. Quando si ha una base elettorale così stretta di privilegiati, si è obbligati a pendere ora a destra ora a sinistra, ma soprattutto a destra, come avviene oggi. Noi pensiamo che si tornerà a un confronto destra-sinistra, molto più sano da un punto di vista democratico».Come spiegate il successo di Marine Le Pen? Il Rassemblement sarà il primo partito alle Europee e lei sarà candidata alle presidenziali 2027.«Ha un programma non molto chiaro di stampo liberal nazionale, vuole sopprimere la tassa sulla fortuna immobiliare che lei stessa paga, come suo padre voleva cancellare la tassa sul reddito negli anni ’80. Ma è riuscita, di fronte al consenso sinistra-destra sull’integrazione europea, a capitalizzare il fatto di apparire come la sola che si oppone al libero scambio. Un po’ come Trump. Per questo è molto importante che la sinistra e la destra repubblicana prendano molto sul serio la questione del dumping sociale e non la lascino all’estrema destra». —