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 2024  maggio 09 Giovedì calendario

Intervista a Stefania Rocca

Un passo avanti, in anticipo sui tempi, per parlare delle cose in cui crede, anche adesso che è madre di due maschi adolescenti e sta ben attenta a esserlo nel modo migliore: «I ragazzi parlano quando vogliono loro, non faccio domande, le trovo invasive. Penso che il nido debba esserci, che ci possano tornare, ma anche che con ci debbano restare». Nel 1997 era l’eroina cyberpunk di Nirvana, regia di Gabriele Salvatores, un anno dopo interpretava, in Viol@ di Donatella Maiorca, una giovane donna dedita al sesso online. Adesso è pronta per dare il via, con lo spettacolo teatrale La madre di Eva (liberamente tratto dal romanzo di Silvia Ferreri) al progetto scolastico «Identità di genere e bullismo», destinato a coinvolgere studenti affinché ne traggano spunti per loro creazioni sul tema. Sulla scena ci sono una madre e la figlia che ha scelto di cambiare sesso: «Una narrazione sincera e profonda – spiega Stefania Rocca –, dove, tra momenti di lotta e di riconciliazione, si svela come gli stereotipi di genere e le aspettative sociali abbiano modellato profondamente le loro vite».
All’inizio della carriera ha sottolineato il suo lato androgino. Perché?
«Il mio era un modo anticonformista per cercare di abbattere tutti quegli stereotipi legati al sesso, per potermi sentire ed essere valutata per quello che sono, indipendentemente dal sesso di appartenenza. Ecco, direi che, inconsciamente, è una battaglia che continuo a fare. Abbattere le etichette che arrivano sempre di prima di noi».
Poi sono passati gli anni, in cosa oggi si sente diversa?
«In realtà non mi sento cambiata per nulla, anche se, certo, sono cresciuta come donna e come madre. La mia personalità, la voglia di imparare, studiare, è rimasta la stessa».
Parlava del nido. Lei lo ha abbandonato presto. Come è andata?
«Avevo 18 anni, sono stata prima a Milano e poi a Roma, per frequentare il Centro Sperimentale. I miei genitori hanno fatto fatica ad accettarlo, ero una donna sola, in un posto sconosciuto, eppure ce l’ho fatta e loro, alla fine, hanno compreso le mie scelte, si sono convinti che i miei non erano grilli per la strada. Ognuno deve seguire la propria strada».
Le è mai capitato di subire molestie?
«Dico la verità. Avevo 18 anni ed ero a Milano, stavo facendo un servizio fotografico. A un certo punto mi sono ritrovata chiusa in uno stanzino, con un uomo che tentava di mettermi le mani addosso. Ho sferrato un calcio e me ne sono andata, lì mi sono resa conto di quanto mi abbia aiutato la mia impulsività, ma ho anche capito quanto possa essere difficile sfuggire a certe situazioni se non si è così di carattere».
Cioè?
«I modi di reagire possono essere tanti, ci sono persone che si immobilizzano, altre che, magari, pensano che quella sia la regola. Non colpevolizzo nessuno, anzi, sono sempre dalla parte di chi ha vissuto momenti di quel tipo. Io, poi, sono sempre stata impulsiva, anche troppo».
Che cosa ha lasciato il MeToo secondo lei?
«Tante cose, non solo nel mondo dello spettacolo. Soprattutto il concetto che all’abuso di potere ci si possa ribellare, anche se viene da persone che sono in posizioni preminenti rispetto alle proprie. Era questo l’aspetto più terrificante, che riguarda tutti gli ambienti. Spero che il MeToo sia servito alle nuove generazioni, che abbia fatto loro capire che non ci si deve mai sottomettere. Prima c’era chi diceva “eh, ma si sa, le cose funzionano così”, e invece no, non deve mai funzionare in quel modo».
Perché ha voluto dirigere e interpretare uno spettacolo che parla di transizione di genere?
«È importante affrontare temi che possono sembrare scomodi, in giro c’è ancora molta paura e le persone non hanno strumenti per affrontare certe situazioni. Quando ho letto il libro mi sono chiesta come potrei reagire se mi capitasse di avere un figlio che vuole cambiare sesso. Potrei fare errori anche io, negli incontri che ho avuto per realizzare il progetto ho ascoltato tanti genitori, mi hanno raccontato che, per capire, hanno iniziato a leggere, a documentarsi, non sapevano cosa fare, si tende sempre a pensare che certe situazioni riguardino gli altri e invece gli altri siamo noi. Lo spettacolo dice che il desiderio di cambiare sesso non è un virus, né tantomeno un capriccio».
È stato approvato un provvedimento che consente la presenza di associazioni anti-abortiste nei consultori. Che ne dice?
«Penso che stiamo tornando indietro. Una donna che decide di non poter avere un figlio non ha bisogno di questo genere di sostegno. Far nascere sensi di colpa, far sentire una donna in qualche modo sbagliata, non è una cosa sana. No, non ritengo necessaria questa norma».
I social hanno preso il sopravvento. Lei come si regola, come donna e come madre?
«Non si possono togliere i social ai ragazzi, è il loro modo di comunicare. Spingo i miei figli a fare più cose dinamiche, dal vivo. Anche io, da ragazza, ho avuto il periodo in cui tenevo Internet acceso tutta la notte, navigare era pazzesco, era un modo nuovo per ampliare le conoscenze, per guardare oltre il giardino, per esprimersi. È un percorso che ho fatto, poi mi sono resa conto che era troppo, oggi penso che l’uso del web si possa anche limitare, ma di sicuro non eliminare. E poi siamo stati noi a indirizzare i ragazzi verso quella direzione».
Come si fa a restare per sempre giovani dentro?
«Mantengo viva la curiosità, mi metto in gioco, provo cose nuove. L’idea di diventare attrice nasce dal desiderio di restare Peter Pan. Mio figlio ogni tanto mi dice “mamma smettila di fare la giovane». —