la Repubblica, 8 maggio 2024
Sul’autonomia regionale
Nel 2014 Giorgia Meloni presentò una proposta di legge di abolizione delle regioni. Nel 2017 Fratelli d’Italia in Lombardia invitò a votare no al referendum indetto dalla regione guidata da Roberto Maroni per strappare maggiori poteri allo Stato centrale. Oggi è la presidente del Consiglio a sostenere a spada tratta il disegno di legge che introduce l’autonomia differenziata per le regioni che ne faranno richiesta in 23 materie (di cui tre oggi di competenza dello Stato centrale e altre 20 a gestione mista con le regioni). A presiedere la commissione che ne deve regolare le modalità di applicazione è stato scelto un giurista del valore di Sabino Cassese che negli anni precedenti era stato tra i critici più severi sul ruolo delle regioni a 50 anni dalla loro istituzione.Anche a sinistra ci sono state e ci sono posizioni fortemente contraddittorie. Fu il centrosinistra nel 2001 a volere l’articolo di modifica costituzionale che oggi viene usato come grimaldello per scardinare l’impianto unitario dello Stato italiano. Nel 2017 fu l’Emilia-Romagna, regione faro della sinistra italiana, ad associarsi per tale richiesta alle due regioni del Nord guidate dalla Lega (Lombardia e Veneto).Nel 2018 fu il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a predisporre un preaccordo con le tre regioni interessate. E nel 2019 fu il presidente del consiglio Giuseppe Conte (alleato della Lega) a considerare “l’autonomia differenziata come una riforma che farà bene alle regioni e all’Italia” chiedendo di stralciare dalle proposte la regionalizzazione della scuola. Per fortuna l’accordo saltò per un ripensamento dei Cinquestelle e per il ritiro del sostegno al governo da parte di Matteo Salvini.Insomma, l’idea di nazione e i principi fondamentali per restare tale sembrano essere elementi divisivi nel nostro Paese, a destra come a sinistra. Sta di fatto che in questo momento storico la destra al governo è schierata per l’autonomia differenziata ed Elly Schlein, invece, ha portato il suo partito a una posizione di netta contrapposizione. Per essere più credibili, occorrerebbe un ultimo gesto: il ritiro ufficiale dell’Emilia – Romagna dalle regioni richiedenti, anche in caso di approvazione della legge Calderoli. Non va mai dimenticato che nel primo statuto dell’Emilia-Romagna era indicato come obiettivo prioritario il superamento dell’arretratezza del Mezzogiorno d’Italia. Il primo presidente della regione Lombardia, Piero Bassetti, dichiarò nel discorso di insediamento nel 1970 che “lo sviluppo del Sud è preciso interesse dei lombardi”, come ricorda Filippo Sbrana nel libroNord contro Sud. Altri tempi.In fondo tutta la storia d’Italia prima del 1861 è stata caratterizzata dal conflitto tra dimensione locale e statuale, che obbligasse il potere disperso dei liberi comuni, delle signorie, e poi degli staterelli preunitari, a farsi Stato. La sindrome eterna del localismo prende le forme oggi del regionalismo differenziato. E la dimensione locale si espone sempre ad essere “una forma inceppante di feudalesimo” (come ricordava Antonio Gramsci) se non vissuta come inveramento di una forma più ampia di appartenenza.Ciò che non si è verificato in Catalogna qualche anno fa sta avvenendo in Italia. Con l’autonomia differenziata alcune regioni potranno avere dei poteri che la Catalogna non ha avuto, così come non li hanno i lander tedeschi, come scrive Stefano Fassina nel libro L’autonomia differenziata fa male anche al Nord?di prossima pubblicazione. È una secessione a freddo, senza masse che scendono in piazza come avvenne a Barcellona. La Catalogna ha 7 milioni di abitanti, le tre regioni italiane richiedenti ne contano quasi 20 milioni, un terzo dell’Italia intera, le più ricche.Ogni qualvolta si ricordano queste semplici cose, i sostenitori della “secessione dei ricchi” si appellano alla Costituzione, nella quale nel 2001 è stata prevista la possibilità di concedere poteri aggiuntivi alle regioni. Ma Francesco Pallante nel libroSpezzare l’Italiaricorda che la legittimazione delle diseguaglianze territoriali è quanto di più lontano dallo spirito della Carta costituzionale potesse essere mai immaginato. Gaetano Azzariti lo ha definito “regionalismo appropriativo” perché l’unico interesse è quello di acquisire più poteri e più risorse. Dopo la regionalizzazione della sanità, sarà la volta della scuola, dei porti, degli aeroporti, delle autostrade, delle ferrovie e di ogni altra grande infrastruttura, della ricerca scientifica, dell’ambiente, dei beni culturali, del commercio estero, della sicurezza sul lavoro, della gestione delle reti energetiche, ecc. Una generale incoscienza sembra accompagnare questa fase di spoliazione delle funzioni tipiche di uno Stato minimo. E una volta approvata l’intesa tra la regione richiedente e il governo centrale, il parlamento non avrà nei fatti voce in capitolo: una riforma antiparlamentare e anticostituzionale. Ci sono momenti, per le persone e le nazioni, in cui sembra inarrestabile la voglia di perdersi, e niente riesce a fermare la corsa verso il precipizio, come se il naufragare nel mare del localismo impotente fosse il massimo del desiderio in una nazione in disgregazione. Ed è il più grande dei paradossi politici degli ultimi anni che l’Italia si scomponga durante il governo dei patriottici e degli eredi della destra nazionalista: da Fratelli a Fratellastri d’Italia!