la Repubblica, 8 maggio 2024
La Serie A in Libia
Il primo passo sarà quello di aiutare la Libia a riqualificare gli impianti sportivi e, in seguito, accogliere giovani atleti libici in Italia. Ma la suggestione più originale del viaggio di Giorgia Meloni in Libia – un’idea embrionale e ufficiosa, dunque tutta da costruire – è quella di portare in futuro le migliori squadre di serie A a giocare contro le principali formazioni libiche, ad esempio l’Al-Ahly Tripoli o l’Al-Ittihad Tripoli. Non sarebbe la prima volta, visto che nel 2002 – erano ancora i tempi di Gheddafi – si giocò addirittura la finale di supercoppa italiana nella capitale nordafricana (per la cronaca, Juventus-Parma 2-1 con doppietta di Alex Del Piero). Ma erano altri tempi, il Colonnello guidava saldamente il regime e il Paese non era lacerato dalla guerra civile tra milizie rivali. Di recente, però, qualcosa si è mosso: a marzo l’Ac Milan Legends ha inaugurato il nuovo Tripoli International Stadium giocando contro le stelle libiche, forse un “sondaggio” di quello che verrà.È la vetrina del viaggio di Meloni, accompagnata in Libia dai ministri Andrea Abodi (Sport), Anna Maria Bernini (Istruzione) e Orazio Schillaci (Salute). Nel giorno in cui il governo lima il decreto per dichiarare Paesi sicuri l’Egitto e il Bangladesh (velocizzando così i rimpatri), la premier sponsorizza iprogetti interministeriali per dare un po’ di sostanza all’ancora asfittico Piano Mattei. Un altro dettaglio, in questo senso, è la promessa di favorire un maggiore accesso alle cure indifferibili in Italia, soprattutto per i malati in età pediatrica. La presidente del Consiglio immagina di cooperare (promette anche un business forum italo-libico entro il 2024) per ottenere in cambio un freno ai flussi migratori. È evidente, però, che su questo terrenoservono gesti ancora più concreti: in altre parole, risorse rafforzate. Quelle, in particolare, provenienti dal petrolio. Meloni ne discute con i due leader incontrati: al mattino il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, al pomeriggio il generale Khalifa Belqasim Haftar, che governa la Cirenaica. Ultimamente gli equilibri tra le due fazioni sono più che precari: per anni, infatti, Dbeibah ha distribuito i soldi provenienti dalle rendite petrolifere alle milizie – indipendentemente dal loro posizionamento nel conflitto – per “comprare” periodi di tregua. Adesso però il governatore della Banca centrale al-Kebir si oppone a questa pratica cercando di risanare le finanze pubbliche, prima che il sistema crolli. E questa scelta ha impoverito tutti, destabilizzando il quadro.Anche Haftar non ha più a disposizione quelle risorse. Meloni sa bene che un’altra fonte di guadagno sono le partenze dei migranti, proprio quelle che Roma chiede anche al generale di bloccare. Per questo, la leader prova a immaginare soluzioni. Una, suggerita dalla parte libica – si apprende – passa dalla possibilità di rendere economicamente ancora più vantaggiosa per i gruppi locali l’estrazione del petrolio. In cambio, l’esecutivo spera di frenare i flussi migratori, che tanto allarmano in vista delleEuropee. Ma non basta. La premier fa anche trapelare un’altra richiesta consegnata ad Haftar: serve collaborazione per porre fine alla presenza di forze straniere sul suolo libico. Il riferimento è chiaro: la Libia – e la Cirenaica in particolare – non diventi la base logistica della Russia nel Mediterraneo. Un processo che in realtà è già partito, visto che navi e aerei russi stanno arrivando per portare armi e istruttori militari – e soldati dell’Africa Corps – che transitano poi nel deserto e, infine, nel Sudan e in Sahel. Una novità che destabilizza l’area e preoccupa gli Stati Uniti. E che l’Italia e la Francia sperano di frenare con l’unica arma a disposizione: la normalizzazione del quadro politico e, finalmente, le sempre più lontane elezioni.