Corriere della Sera, 8 maggio 2024
Boccassini indagata
Dall’inchiesta fiorentina sugli ipotetici «mandanti occulti» delle stragi mafiose in continente del 1993 è nato un altro fascicolo a carico di uno dei più noti pubblici ministeri antimafia e anticorruzione, ormai in pensione: Ilda Boccassini, la magistrata che nel 1992 volò da Milano a Caltanissetta per indagare sulle bombe che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, facendo processare e condannare assassini e mandanti della strage di Capaci, e nei primi anni Duemila ha condotto le inchieste per corruzione e per il «caso Ruby» a carico di Silvio Berlusconi. Oltre a numerose altre indagini e processi di criminalità organizzata.
Oggi però si ritrova indagata per il reato di false informazioni al pm, sebbene l’accusa non sia di aver mentito ma di avere taciuto. Gli allora procuratori aggiunti (ormai ex anche loro) Luca Tescaroli e Luca Turco hanno scritto nell’avviso di garanzia e conclusione indagini che Boccassini, «richiesta di fornire informazioni ai fini delle indagini, taceva ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva sentita, e segnatamente non forniva al pm il nominativo della fonte che aveva informato il giornalista Giuseppe D’Avanzo, secondo il racconto che quest’ultimo le aveva fatto in un colloquio privato». Si trattava di notizie sui rapporti tra Berlusconi e la mafia, riferite dal pentito Salvatore Cancemi e riportate da D’Avanzo su la Repubblica del 20 e 21 marzo 1994, assieme al collega Attilio Bolzoni. Ed è stata la stessa Boccassini a scrivere nella sua autobiografia che poco prima di morire, nel 2011, D’Avanzo le rivelò il nome di chi gli aveva consentito di scrivere quegli articoli. Ma davanti ai pm fiorentini che gliel’hanno chiesto, la ex collega non ha voluto dirlo. Di qui la contestazione del reato previsto dall’articolo 371 bis del codice penale, aggravato dall’essere stato commesso «al fine di impedire, ostacolare o sviare» un’indagine di mafia.
Nel libro «La stanza numero 30» pubblicato nel 2021 dopo essere andata in pensione, «Ilda la rossa» dedica otto pagine a questa vicenda. Riporta il verbale del pentito Cancemi che nel 1994 le rivelò che Riina aveva avuto «un incontro con persone importanti», prima della strage di Capaci; e poi le confidenze dello stesso Riina sui suoi rapporti con Berlusconi mediati da Dell’Utri, e dei 200 milioni di lire che ogni anno il capomafia riceveva come tangente dall’allora imprenditore televisivo. Dichiarazioni esplosive (e tutte da verificare) su cui la pm avviò subito le verifiche, bruciate poco tempo dopo quando D’Avanzo e Bolzoni scrissero sul giornale il contenuto di quei verbali segretissimi. Di cui, nonostante l’amicizia che li legava, D’Avanzo non svelò mai la fonte alla magistrata. Fino all’ultimo incontro tra i due, pochi giorni prima della morte improvvisa del giornalista, nel quale lui si lasciò andare al racconto di una chiamata notturna da parte di una persona conosciuta da entrambi, il quale «scosso e turbato» gli fece leggere le dichiarazioni del pentito, prima di congedarlo senza parole.
La pubblicazione
Fu chiamata dagli ex colleghi per i riferimenti fatti nel suo libro
La stanza numero 30
Di fronte a questa ricostruzione era quasi inevitabile che i pm ancora impegnati nella ricerca dei mandanti esterni a Cosa nostra delle stragi di Firenze, Roma e Milano chiamassero Boccassini per farsi dire quel nome. Che la ex pm non ha scritto nel libro («perché Peppe non c’è più e perché il suo interlocutore mi conosce bene; forse sarebbe importante per tutti se volesse confrontarsi sui motivi che lo hanno spinto ad agire in quel modo») e non ha voluto fare davanti agli ex colleghi. Forse nella consapevolezza che, essendo morto D’Avanzo, la prevedibile negazione da parte del personaggio chiamato in causa avrebbe creato una situazione di stallo inestricabile, e alimentato la confusione anziché fornire chiarimenti su fatti di trent’anni fa.
Di fronte al silenzio di Boccassini (interrogata tre mesi dopo l’uscita del libro, il 14 dicembre 2021), Tescaroli e Turco l’hanno iscritta sul registro degli indagati e battuto altre strade per arrivare a quel nome, ma senza successo. Decidendo infine, il 28 aprile scorso, di comunicarle l’accusa e la conclusione dell’inchiesta. Dandole la possibilità di una contromossa per evitare l’altrimenti quasi scontata richiesta di rinvio a giudizio