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 2024  maggio 08 Mercoledì calendario

Anticipiamo stralci del carteggio tra Kafka e Brod, “Un altro scrivere”, che Neri Pozza ripubblica il 17.05 in occasione del centenario della morte di Kafka (3.06.1924).


Mio carissimo Max, giochiamo ancora una volta il gioco dei bambini infelici?… Quello che ho scritto è scritto in un bagno tiepido, gli inferi eterni del vero scrittore non li ho vissuti, salvo alcuni accessi che, nonostante la loro intensità probabilmente illimitata, posso però ignorare quando si tratta di formulare un giudizio, per via della loro rarità e del debole impeto con cui sono entrati in gioco. Sto scrivendo anche qui, molto poco tuttavia, mi lamento per me e gioisco anche… Che io ancora per molto non possa mostrarti ciò che ora sto scrivendo, devi capirlo Max, fosse anche soltanto per affetto nei miei confronti… Che razza di vita faccio a Praga! Questo desiderio di persone che io ho e che si trasforma in paura se viene esaudito… Fino alle 8 scrivo poco, ma dopo le 8 non scrivo nulla, nonostante poi io provi un pieno sollievo. Scriverei di più, se non trascorressi la giornata in una maniera completamente stupida, a giocare a palla e a carte e a sedermi e sdraiarmi in giro per il giardino… Visiterò il giardino zoologico nel quale sarei da rinchiudere!
Franz, 22.07.1912
Caro Franz, Werfel scrive entusiasta del tuo racconto sulla scimmia e ritiene che tu sia il più grande scrittore tedesco. Anche io la penso così, come sai da tempo. Con l’unica riserva, che tu stesso mi hai insegnato ad avere davanti a formulazioni così assolute, riserva che però non proviene dal mio cuore.
Max, 18.12.1917
Caro Max, quando oggi, durante la notte insonne, continuavo a lasciar correre tutto su e giù fra le tempie doloranti, divenni di nuovo consapevole di ciò che nell’ultimo periodo abbastanza tranquillo avevo quasi dimenticato: mi resi conto, cioè, su che terreno fragile o addirittura inesistente io viva, su un’oscurità dalla quale l’oscura violenza scaturisce a suo piacimento e, senza preoccuparsi del mio balbettio, mi distrugge la vita. Lo scrivere mi mantiene, ma non è più corretto dire che esso mantiene questa sorta di vita? Con ciò, non intendo naturalmente che la mia vita è migliore se non scrivo. Al contrario, allora è molto peggio e totalmente insopportabile e deve concludersi con la follia. Questo però soltanto a condizione che, com’è di fatto, io sia uno scrittore anche se non scrivo. Ma uno scrittore che non scrive è un’assurdità che provoca la follia. Come stanno le cose però con lo stesso essere scrittore? Lo scrivere è un dolce, meraviglioso compenso, ma per cosa? Nel corso della notte mi divenne chiaro con l’evidenza di una lezione dimostrativa per bambini: è il compenso per un servizio del diavolo. Questo scendere verso le potenze oscure, questo scatenamento di spiriti legati per natura, gli abbracci ambigui e tutto ciò che ancora può verificarsi laggiù, di cui qui sopra non si sa più nulla quando si scrivono storie alla luce del sole. Forse c’è anche un altro scrivere, io conosco solo questo, nella notte, ogni volta che la paura non mi fa dormire, conosco solo questo. E la dimensione demonica in ciò mi pare chiarissima. È la vanità e la brama di piaceri che ronza ininterrottamente intorno alla propria figura… Non mi sono riscattato attraverso lo scrivere. Durante tutta la mia vita sono morto e ora morirò davvero. La mia vita era più dolce di quella degli altri, la mia morte sarà tanto più spaventosa. Lo scrittore in me naturalmente morirà subito, poiché una tale figura non ha terreno, non ha consistenza, non è nemmeno di polvere; è soltanto vagamente possibile nella più folle vita terrena, è solo una costruzione della brama di piaceri. Questo è lo scrittore. Io stesso però non posso continuare a vivere, poiché non ho vissuto, sono rimasto argilla, la scintilla non l’ho trasformata in fuoco, ma utilizzata solo per l’illuminazione del mio cadavere.
Franz, 5.07.1922
Carissimo Franz, non riesco (con tutta la migliore volontà) a trovare così disperato il tuo caso… Qua è in gioco ovviamente un pizzico di follia, di predisposizione a tormentarsi… Le tue osservazioni sullo scrittore: ora, è chiaro che noi due, benché amici, apparteniamo a due diversi generi di scrittori. Tu nello scrivere trovi conforto per qualcosa di negativo, che sia reale o immaginario, in ogni caso per quello che tu vivi come la dimensione negativa dell’esistenza. Nell’infelicità tu almeno puoi scrivere. Per me la felicità e lo scrivere sono appesi allo stesso filo. Se si spezza (e quanto fragile è!) allora sono privo di conforti. Ma in quello stato preferirei strangolarmi piuttosto che scrivere. Tu dirai che lo scrivere è il tuo sistema per strangolarti ecc. Mentre io posso scrivere solo quando mi trovo in un grande equilibrio interiore… Autori non ebrei ricorrono all’alcol in questi casi, e cioè per diventare tanto felici o tanto infelici quanto è loro necessario per scrivere. A noi ebrei sembra mancare questo rimedio.
Max, 9.07.1922