la Repubblica, 8 maggio 2024
Intervista a Piero Chiambretti
Già dagli spot, si capisce lo spirito di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, il programma con cui Piero Chiambretti, 68 anni, torna su Rai3 il 14 maggio. “Signora lei di che segno è?”, “Nessuno, utilizzo quello di mio marito”. «Sono immagini di 26 anni fa che ho girato io», racconta il conduttore, «erano per gli annunci della rete. Andai da Altan per chiedergli la licenza di umanizzare i suoi personaggi e utilizzarli con quelle meravigliose battute. La bellezza dello stile resiste».
Torna in Rai dopo vent’anni, è in controtendenza?
«Penso che la controtendenza sia di quelli che se ne vanno, io credo nella considerazione di mamma Rai».
Ammetterà, non sono tempi felici per il servizio pubblico.
«Sul fatto che la Rai attraversi un momento difficile non lo nega nessuno, neanche la Rai. E certo, chi va via lascia dei vuoti. Ma l’azienda sarà stimolata a trovare valide alternative. Lo deve fare».
Annunciando il suo ritorno, ha detto: “Contento di tornare a casa, spero di trovare ancora qualcuno”.
«La mia preoccupazione era quella di non trovare facce con cui fare gruppo. L’identità della Rai3 di Angelo Guglielmi era anche quella di essere amici: Giusti, Ghezzi, Lerner, Raffai, Dandini. Paolo Rossi, Guzzanti. Era una rete che aveva coraggio anche quando le cose non funzionavano. La dimensione era dettata dal gruppo, oggi è rimasta solo Federica Sciarelli, e fa il programma più forte».
Su Rai 3 parlerà delle donne, a Mediaset aveva fatto “La Repubblica delle donne”.
«Il nuovo programma nasce dalle ceneri di quella trasmissione, che non aveva esaurito le potenzialità. L’ho migliorata e riposizionata: un conto è Rete4, un conto Rai3. È tutto infotainment: qui ci sarà più info che tainment. Da anni si fanno solo due domande: “Chi sono gli ospiti?” e “Quanto avete fatto?”. L’ospite sostituisce un’idea. In mezzo alle due domande in genere c’è un programma che non ha senso».
Il suo ne ha?
«Direi di sì. In collegamento avremo i corrispondenti della Rai: Giovanna Botteri da Parigi, Paolo Pagliara da New York e Marco Varvello da Londra: ci informano. Le donne sono così forti che si prendono anche le responsabilità degli uomini. Come editorialisti ho solo persone disturbate: Francesca Barra, Edoardo Camurri, Costantino della Gherardesca, Grazia Sambruna. Avremo le riflessioni di Isabella Santacroce e Melanie Moore, dai social Marina Valdemoro e Penelope Robin. Poi due comiche, Francesca Reggiani e Rosalia Porcaro. In prima fila i miei amici, tra cui Giorgio Dell’Arti e il professor Fusaro».
Cosa la incuriosisce delle donne?
«Sono il miglior concentrato per una discussione: dirette, coraggiose, impertinenti. Dotate di una diplomazia mischiata col cinismo che le rende pericolose».
In fondo la intimoriscono?
«Ho il terrore delle donne, ho imparato a correre conoscendole».
Le dispiace un po’ perché la ricordano tutti per “Il portalettere” e perché faceva l’angelo a Sanremo: lei cosa sceglierebbe?
«Complimenti per la trasmissione, che portava le telecamere nelle case degli italiani e raccontava la realtà della provincia o Prove tecniche di trasmissione, che univa il calcio con la cronaca. Aveva un fascino assoluto, nei quartieri più periferici con un grande studio neorealista sotto una tenda da circo. C’erano Nanni Loy, Sandro Paternostro e Gianluigi Marianini, le galline che giravano e i ballerini di liscio che si esibivano con le cuffie nelle orecchie. E poi Il laureato, Servizi segreti: ho raccontato la discesa in campo di Berlusconi attraverso le interviste ai compagni di scuola. Poi Markette per quattro anni a La7, e vorrei ricordare Chiambretti night a Mediaset».
L’errore che non rifarebbe?
«Forse avrei dovuto conservare certi programmi e ripeterli. Invece nell’era Guglielmi si cambiava sempre, non ho mai amministrato la creatività».
Come si è lasciato con Pier Silvio Berlusconi?
«Benissimo. È una persona anche troppo educata che crede nei rapporti, empatico da quando l’ho conosciuto ragazzino in un ristorante di Milano. Ho comprato la pagina di un quotidiano per ringraziarlo per i 15 anni fantastici a Mediaset. Mi ha sempre lasciato carta bianca».
Ha mai incontrato Silvio?
«L’ho visto due volte, quando sono arrivato io era già in politica. Però ho un ricordo indimenticabile: ero entrato a Mediaset, e la notte di Natale, mentre infilzavo la lasagna fatta da mia madre, con gli zii e mio cugino, alle 23.30 arriva la telefonata del cavaliere: “Benvenuto a bordo”. Non gli avevo mai parlato, mi sembrò un gesto davvero gentile».
Padre e figlio si somigliano?
«In qualcosa, ma l’ approccio alla vita è molto diverso: Pier Silvio è riservatissimo».
A “Chiambretti c’è” lo scontro Busi-Sgarbi inaugurò l’insulto ripetuto: “Capra, capra, capra”. Le risse servono ancora per l’ascolto?
«La cosa più forte fu il silenzio iniziale. Busi esordì con una serie di complimenti, nei primi 23 minuti Sgarbi non aprì bocca. Per una frase sulla sorella, scoppiò il finimondo. La rissa è attuale, nei programmi politici nessuno riesce a dire una frase di senso compiuto, il pensiero salta e si va in curva. Il conduttore non fa niente, il sangue che scorre crea il famoso ascolto e non significa consenso. Se tornasse l’indice di gradimento salirebbe la qualità dei programmi: i numeri sono drogati».
“Comunque vada sarà un successo” è il suo mantra.
«Una frase detta a Sanremo, di buon augurio, a cantanti che già da come erano vestiti capivi che non avrebbero mai vinto il festival».
Cosa insegna a sua figlia?
«La libertà di pensiero, il voler bene al proprio Paese e l’indipendenza».
La lezione di sua madre Felicita?
«La vita di mia madre ha condizionato la mia. Vorrei che mia figlia Margherita non somigliasse a me, ma a lei. Riassumo in una frase: “Le mamme non dovrebbero morire mai”».