la Repubblica, 8 maggio 2024
Elizabeth Strout raccont come ha iniziato a scrivere
Inizialmente mi era stato chiesto di dire qualcosa sull’essere donna, e di conseguenza sull’essere scrittrice. Ma la verità è che non ho quasi nulla da dire al riguardo, e vi spiego perché: si, sono una donna e scrivo, dunque sono una scrittrice. Mi sono mai sentita meno rispettata per questo? Forse qualche volta. Ho lasciato che questo mi infastidisse? No, perché non posso farci nulla, se non cercare di fare il mio mestiere il meglio possibile.
Vi racconterò, invece, del motivo per cui mi ci è voluto così tanto tempo per arrivare a questo punto della mia carriera. Può anche darsi che in parte c’entri il mio essere donna, ma non ne sono certa, quindi tralasciamo questa ipotesi.
Iniziamo dal primo libro di Olive Kitteridge. C’è una scena in cui Olive, ferita dalla nuora appena acquisita che ha criticato il vestito che indossa per il matrimonio, decide di rubarle il reggiseno e una scarpa. Solo una scarpa. Nella speranza di far uscire di senno la giovane donna.
Ve ne parlo perché, quando feci il tour per quel libro, ormai molti anni fa, era incredibile il numero di donne che, in fila per l’autografo, si avvicinavano e mi dicevano, a bassa voce: «Lei deve avere una nuora». Ma io non ce l’avevo. Quello che, però, colsi dai loro commenti è che chissà quante donne vorrebbero rubare il reggiseno o una scarpa alla nuora. E allora pensai: bene, ce l’ho fatta.
Nella mia vita ho sempre creduto nel potere della narrativa: ci permette di entrare nella vita degli altri e di riconoscere i nostri sentimenti. Forse tante di quelle donne che si sono riconosciute in Olive si sono sentite meglio con sé stesse perché loro non hanno mai rubato il reggiseno o una scarpa alla nuora. Avrebbero voluto farlo. Olive è diventata loro amica.
Fu proprio in Italia che una donna, dopo la presentazione del libro, tradotta dall’interprete, mi disse: «Lei ha visto nella mia anima».
Era ciò che avevo sempre desiderato: far sì che un’altra persona non si sentisse tanto sola con i propri pensieri privati.
Fin da giovanissima, ero convinta che ce l’avrei fatta se non mi fossi mai arresa. Avevo quarantadue anni quando pubblicai il mio primo libro, Amy e Isabelle. Come sono andata avanti per tutti quegli anni?
La verità è che non c’è un momento nella mia vita che io ricordi senza la scrittura. All’età di quattro o cinque anni scrivevo in quei quaderni per bambini di una volta, con enormi spazi tra le righe.
Era per via di mia madre. Solo molti, molti anni dopo capii che anche lei avrebbe voluto diventare una scrittrice. Mi viene in mente la citazione di Carl Jung: «Niente influisce tanto sulla vita di un bambino quanto la vita non vissuta dei suoi genitori». Ma mia madre mi ha sempre stimolata, fu proprio lei a darmi quei quaderni dicendo: «Scrivi quello che hai fatto oggi». Se andavamo in città per comprarmi delle scarpette da ginnastica rosse, una volta tornate a casa mi diceva: «Scrivi com’era l’uomo che ci ha venduto le scarpe». E così facevo.
Ma non si diventa scrittori o scrittrici solo perché da piccoli tua madre ti dice di scrivere cosa hai fatto durante il giorno. Ci sono moltissimi altri fattori che concorrono a plasmare uno scrittore.
Arena Robinson Repubblica: stavolta ci facciamo in tre
a cura della redazione Cultura
03 Maggio 2024
Uno di questi, per me, è stato l’isolamento. Abbiamo vissuto nel New Hampshire, poi nel Maine, in entrambi i casi molto fuori città, nei boschi. Per molti anni ho vissuto senza nessun’altra casa intorno e giocavo da sola in quei boschi. Nel New Hampshire c’erano un torrente e un muro di pietra e gli ordini dei miei genitori erano: non attraversare il torrente e non oltrepassare il muro di pietra, così passavo ore e ore in quattro acri di bosco, tra aghi di pino e fiori di campo tutti per me.
Ero felicissima in quei boschi. La bellezza del mondo fisico fu la mia prima e più cara amica. Giocavo con le raganelle e le tartarughe che nuotavano nel torrente. E poi c’erano i fiori di campo che raccoglievo e portavo a casa a mia madre, che li pressava per me fra le pagine di un grande libro.
Ho pensato spesso che questa capacità di stare da sola, questa gioia di stare da sola, mi sono servite molto per la mia vita di scrittrice.
Devo aggiungere che non avevamo la televisione – i miei genitori non la volevano, erano puritani e molto severi – e non avevamo nemmeno i giornali. Sentivamo le notizie da una radio in cucina che veniva accesa ogni mattina. Ricordo il giorno in cui la radio annunciò la morte di Papà Hemingway. Avevo cinque anni, ma ricordo la voce del giornalista che giungeva dalla radio e parlava di quest’uomo, Papà Hemingway. Mia madre aveva le lacrime agli occhi.
Avevamo un pianoforte e prendevo lezioni. A un certo punto avrei voluto abbandonare, ma mia madre non me lo permise. Continuai a studiare con un pianista in pensione dell’Università del New Hampshire, che mi insegnò una cosa: ogni singola nota conta. Penso spesso a lui mentre scrivo. Perché ogni singola parola conta.
Per quanto riguarda la lettura, devo dire che non ho memoria di libri per bambini in casa. Mia madre non mi leggeva mai nulla quand’ero piccola, fu mio padre a insegnarmi a leggere.
In cima a una libreria in soggiorno c’era una fila di libri blu con copertine economiche. Erano le opere di Hemingway. Mio nonno li aveva comprati da un commesso viaggiatore e durante l’estate del mio diciassettesimo anno li lessi tutti. Ma anche prima di allora mi facevo degli elenchi di libri da leggere e li prendevo in biblioteca, oppure compravo tascabili con i soldi guadagnati come babysitter. In questo senso, sono stata molto autodidatta. Il che, guardando indietro, fu molto positivo per la mia vita di scrittrice. Arrivavo da sola a quei libri, i testi mi venivano incontro senza nessuna indicazione degli insegnanti, e in questo c’era una certa purezza.
Elizabeth Strout inaugurerà domani il Salone del libro di Torino alle 14, nella Sala Oro con la sua lezione inaugurale che qui in parte anticipiamo; presenterà il romanzo “Lucy davanti al mare” (Einaudi) venerdì 10 maggio alle 17 nella Sala Azzurra, in conversazione con Marco Balzano e Susanna Basso. Lunedì 13 maggio alle ore 18, sarà al Palazzo Ducale di Genova in conversazione con Ester Armanino