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 2024  maggio 07 Martedì calendario

Intervista a Innocenzo Cipoletta


Innocenzo Cipolletta, presidente Aie-Associazione italiana editori. Siamo a un passo dal Salone del Libro di Torino, fondato nel 1988, anno in cui l’Italia fu per la prima volta Paese ospite d’onore alla Buchmesse, la Fiera del Libro di Francoforte: quest’anno tornerà ad esserlo in ottobre. Che Italia editoriale si attendono in Germania, secondo lei? 
«Quella che davvero è. Moderna e innovativa, come per esempio dimostra la grande vitalità della produzione per ragazzi, dove esportiamo più che importare. C’è una nuova, creativa generazione di narratori e illustratori con mille sviluppi nel digitale. Diciamo che la splendida lezione di Gianni Rodari ha saputo guardare al futuro. E poi penso al fantasy, al romance, ai comics». 
Innovazione significa mondo del digitale e, fatalmente, Intelligenza artificiale. 
«Due consiglieri Aie sono impegnati su altrettanti settori. C’è un problema antico, cioè il Mezzogiorno: resta indietro nella lettura, nella stessa scolarizzazione, mentre il Nord si attesta su parametri europei. Se ne sta occupando con un gruppo di lavoro Florindo Rubbettino. Resto dell’idea che si debba partire sempre dalle scuole, l’abitudine alla lettura nasce lì. Invece il consigliere Andrea Angiolini affronta la scommessa con la contemporaneità. Le piattaforme di distribuzione, le diverse tipologie di fruizione, come gli audiolibri o gli e-book, i nuovi sistemi di produzione con un uso ibrido del libro: per esempio un testo che rinvia alle immagini, o a un brano musicale che si può ascoltare mentre si legge. E poi c’è l’Intelligenza artificiale, tutta da scoprire. C’è anche un aspetto legato al diritto d’autore, alle fonti di cui si nutre, per esempio». 
Su quali autori punterete alla fiera di Francoforte? 
«Niente nomi, abbiamo un vincolo contrattuale fino al 28 maggio. Posso dire però che ci saranno grandi scrittrici e grandi scrittori ma anche nuovi e nuovissimi talenti capaci di guardare al futuro. Offriremo la fotografia di un’industria culturale in grado di rispondere alla modernità. Siamo forti nella letteratura e nella varia ma anche nel settore professionale: manuali, saggistica specializzata, testi universitari e scolastici. Anche qui si aprono orizzonti innovanti di notevolissimo interesse». 
C’è una dura polemica sulla Rai che, accusa l’opposizione, è occupata dal centrodestra. E lo stesso avviene a proposito di molti ruoli di responsabilità nel mondo culturale. In questo clima politico, quella a Francoforte sarà una presenza italiana «melonizzata»? 
«L’invito come Paese ospite d’onore è diretto al governo. Quindi penso sia giusto che la presenza italiana al Salone di Francoforte abbia un’impronta che deriva dal governo in carica: e credo che il commissario italiano, Mauro Mazza, saprà interpretarne al meglio lo spirito. L’industria editoriale resta autonoma. E questa autonomia non cambia con nessun governo». 
L’Aie proporrà una «produzione nazionale»? 
«L’editoria italiana deve far conoscere gli aspetti culturali di tutto il mondo, intercettare i diversi filoni. Se fossimo costretti a produrre solo italiani, magari ci sarebbe l’orgoglio, ma mancheremmo l’obiettivo di divulgare in Italia scrittori, che so, cinesi, vietnamiti, nigeriani... Questo è il compito di una grande industria culturale quale è l’editoria italiana. Ed è ciò che noi facciamo, anche se a Francoforte offriremo la possibilità di far scoprire grandi autori e nuovi talenti italiani. È essenziale la traduzione, che ovviamente è molto costosa, ma è parte essenziale dell’offerta editoriale. Basti pensare che mentre i nostri autori restano ovviamente ciò che sono nella nostra lingua, all’estero si attualizzano le traduzioni rendendole al passo con i tempi. Sta accadendo in tanti Paesi con Cesare Pavese, con Elsa Morante...». 
L’invito in Germania è rivolto al nostro governo, quindi penso sia giusto che Roma dia un’impronta 
La guerra è nel cuore dell’Europa e di fronte a noi nel Mediterraneo. Quei conflitti ci riguardano direttamente. Il tema della guerra, anzi delle guerre, arriverà anche a Francoforte? 
«Non ho una risposta, in questo momento. Ma gli eventi culturali non possono essere scissi da ciò che avviene nel mondo, altrimenti si tratterebbe di una low-culture. Però so una cosa: che l’offerta editoriale italiana non ha preclusioni da nessun punto di vista». 
Per essere espliciti: autori israeliani, palestinesi, ucraini e russi? 
«Assolutamente sì. Perché Dostoevskij resta sempre Dostoevskij...». 
Il Padiglione italiano, come ha annunciato il commissario Mauro Mazza, avrà tre testimonial: Carlo Rovelli, Susanna Tamaro e Stefano Zecchi. Che ne pensa? 
«Una bella triade. Rovelli sa partire dalla fisica per arrivare a mille temi. Tamaro innovò, a suo tempo, il concetto di racconto. Conosco meno Zecchi ma nel suo campo è una certezza. Ottime scelte, direi». 
Rispetto al 1988, primo anno del Salone del Libro di Torino e anche prima presenza dell’Italia a Francoforte come ospite d’onore, cosa è cambiato? 
«Moltissimo. Tra il 1988 e il 2023 il valore complessivo del mercato editoriale italiano è quintuplicato, a valore corrente, e più che raddoppiato tenendo conto dell’inflazione. È come se l’intero comparto fosse cresciuto ogni anno di quasi il 12%, oppure del 3% a valore costante. Passano da 2.315 a 5.148 gli editori di libri attivi in Italia, da 23.750 a 68.791 i titoli di varia per adulti e ragazzi che pubblicano e cresce del 26% la tiratura che realizzano. Aumentano i lettori: dai 18,2 milioni di età superiore agli 11 anni rilevati da Istat nel 1988, agli attuali 31,5 milioni di età compresa tra i 15 e i 74 anni dell’Osservatorio Aie: la quota di lettrici e lettori fino ai 14 anni è di 7,2 milioni. Se oggi siamo la sesta editoria mondiale e la quarta in Europa, nel 1988 veleggiavamo tra la decima e la dodicesima posizione. L’Italia che si presenta a Torino a partire da giovedì e che porteremo in ottobre a Francoforte ha una proiezione internazionale impensabile trentasei anni fa, sia in termini di immaginario che di export culturale e soprattutto editoriale». 
Però nei primi mesi 2024 c’è stata una flessione del 4,1 per cento di valore commerciale e un meno 4,8 di vendite. 
«Va detto che rispetto ai primi tre mesi del 2019, cioè pre-Covid, c’è invece una crescita del 16,5% come valore e del 13,1% come copie. Certamente siamo chiamati a riflettere su questi dati ma ha fortemente influito la fine di alcuni sostegni importanti. I 30 milioni annui destinati all’acquisto dei libri per le biblioteche pubbliche: vorrei ricordare che non sono un residuo del passato. Se per esempio le biblioteche scolastiche fossero gestite da bibliotecari professionisti, potrebbero diventare veri e propri centri culturali motori di tante iniziative. Poi ha pesato negativamente il cambio delle regole per quella che era la App 18. Prima c’era solo il vincolo dell’età: oggi con la Carta Merito e la Carta Cultura c’è una nuova modalità. I contraccolpi si sentono soprattutto sugli editori piccoli e sulle librerie indipendenti. Occorrerebbe una politica più robusta di sostegno alla lettura, e quindi alla stessa domanda di cultura. Nulla di particolarmente oneroso per la mano pubblica: non parliamo di miliardi, ma di milioni».