La Stampa, 7 maggio 2024
Il primo romanzo di Marchioni
Alle prese col mio primo romanzo, ho sentito il bisogno di tornare nella borgata in cui sono cresciuto, e dove non torno da anni. Mentre percorro in auto la via che taglia quello che nel frattempo è diventato un quartiere periferico di Roma, circondato da ragazzi inscatolati dentro le loro macchinette, rivedo me stesso adolescente, che su quelle stesse strade, in qualsiasi condizione meteo, portavo il mio Sì Piaggio senza casco.
Continuando a guidare piano, ripenso a quante volte ho falsificato la firma di mia madre sul libretto delle giustificazioni. Mi torna alla mente il mio professore di italiano e storia, che ci invitava a casa sua il venerdì sera: dopo cena leggevamo poesie inglesi, ci regalava romanzi russi, giocando a Risiko ci spiegava le guerre mondiali, le alleanze politiche e gli interessi economici, i nazisti, la bomba atomica. Sono stato fortunato, penso, e mi viene da sorridere pensando che oggi devo prenotare un mese prima per avere quindici minuti su Zoom in cui informarmi dei voti dei miei figli, voti che posso comunque vedere quotidianamente sul registro elettronico, dove devo giustificare ogni assenza che fanno. Non potranno mai marinare la scuola, né tantomeno oggi un insegnante si azzarderebbe a invitare i suoi studenti in casa propria.
Quando passo davanti ai cassonetti della differenziata, che nel 1991 non esisteva, mi sforzo di ricordarmi se avessi mai sentito, allora, un adulto parlare di esaurimento delle risorse naturali della Terra o surriscaldamento globale. Oggi i miei figli studiano i punti dell’Agenda 2030 e se tengo l’acqua aperta mentre mi lavo i denti mi riprendono (giustamente) in malo modo.
Bloccato da un semaforo nella via dove c’era il bar in cui Andrea, il protagonista del mio romanzo, passa la sua seconda notte lontano da casa, e dove adesso vedo l’insegna di una piadineria, mi volto a osservare un gruppetto di ragazzi su una panchina: mi sembrano tutti belli e vestiti molto bene. Anche noi siamo cresciuti seguendo la moda, con la differenza che oggi loro ne conoscono le minacce per l’ambiente, sanno dove vengono prodotte le sneakers che indossano e si preoccupano di chi può essere stato sfruttato per questo. Alla loro stessa età, io e i miei coetanei pensavamo solo a scendere in strada a giocare; al massimo ci potevamo preoccupare del vicino di casa che minacciava di bucarci il pallone.
Li osservo, ciascuno piegato sul proprio smartphone, e rivedo noi davanti alla tv, tutti fissati con gli stessi programmi zeppi di pubblicità, con i genitori che ci sgridavano se la guardavamo per troppo tempo, esattamente come noi facciamo con i loro telefoni: solo che adesso gli adolescenti le pubblicità le saltano e scelgono di vedere ognuno quello che gli interessa, nel mare magnum dei contenuti sempre disponibili. Passano dalla risata alla riflessione in un nanosecondo, si interessano alle guerre, mentre noi percepivamo gli echi dei Tg che vedevano i nostri genitori, ma in genere non sapevamo nulla di quello che succedeva nel mondo.
Loro ragionano sui sessi e sul sesso, sul maschile e sul femminile, in maniera completamente diversa da come ragionavamo noi. Per fortuna. Noi non abbiamo vissuto una pandemia, nessuno ci ha mai detto che non potevamo abbracciarci. Eravamo più incoscienti e più liberi di sbagliare, di cadere, di sbucciarci le ginocchia e sanguinare, passavamo i pomeriggi sui muretti di qualche parchetto ad ammazzare il tempo e a sperimentare la vita, esattamente come i ragazzi che sto osservando. Eravamo infinitamente più ingenui, forse più puri. Non eravamo migliori, sapevamo solo meno cose.
L’adolescenza è un periodo complicatissimo della vita, in cui le emozioni si percepiscono con una potenza devastante e oscillano alla velocità della luce. Non si ha esperienza, ma ci si comporta come se si fosse i padroni del mondo. Si vorrebbe spaccare tutto, scappare di casa ed essere liberi, ma si ha ancora bisogno dei genitori. Crescere è difficile e spesso, da adulti, lo dimentichiamo. Soprattutto, dimentichiamo che ognuno di noi continua a imparare a vivere ogni giorno, per tutta la vita. Essere adolescenti oggi è immensamente più difficile e forse dovremmo dirglielo più spesso alle nostre figlie e ai nostri figli che sono bravissime/i. —