il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2024
Intervista a Stewart Copeland
“Vivevamo a Beirut, mio fratello Miles tornava da scuola e chiedeva a papà: ‘Anche tu sei una spia?’”.
Lui cosa rispondeva?
Lo guardava sospettoso: “Chi vuole saperlo?”.
Suo padre lavorava per la Cia.
Attaché culturale, ufficialmente. Tutti a Beirut avevano un genitore agente segreto.
Anche lei, caro Stewart Copeland, avrebbe potuto seguire la stessa carriera.
Chi dice che io non lo sia? Un infiltrato che tira i fili del rock.
Come vede il Medio Oriente?
Infanzia in Libano, ho avuto una tata palestinese, amici nati nella Striscia. Considerati palestinesi in ogni parte del mondo, qui in America sono bollati tutti come terroristi. Ovviamente ho amici ebrei. Ma se mi metto al tavolo con le due controparti e cerco di farli ragionare, urlo più forte di loro.
Torniamo da questa parte del Mediterraneo. Lei è cittadino onorario di Melpignano.
I miei adorati salentini. L’unica parte d’Italia dove parlano la vostra lingua con un accento peggiore del mio, ah ah.
È stato più volte ospite alla Notte della Taranta.
Lì, secoli fa, si sballavano con il veleno della tarantola, meglio della marijuana. Anche per l’effetto sulla musica. È una stregoneria.
Come quella al centro della sua rock opera The Witches Seed.
Torna in scena il 25.05 ad Asti, poi il 31 e l’1.06 a Milano. A luglio saremo sul Lago Maggiore, dove The Witches Seed ha debuttato nel 2022. L’Orchestra filarmonica italiana è diretta da Troy Miller, il libretto e la regia sono di Jonathan Moore. Me la godrò dalla platea. È il vantaggio di essere un compositore. Gli altri si fanno il mazzo, tu ti prendi gli applausi. Però non è un’opera rock.
No?
Il dettaglio che la distingue da un’opera classica è che non sono morto 200 anni fa. Ok, ci sono i ritmi e la chitarra aggressiva. La protagonista è Irene Grandi, l’ho scelta io. Lei sì che è un’esperienza rock.
Irene canta brani originali scritti da Chrissie Hynde, leader dei Pretenders.
Proposi a Chrisse questo lavoro. Si infervorò: “Streghe? Fico! Con le fiamme che escono dalle tette!”. Io: “Aspetta un attimo, così potrebbero accusarle senza scampo”. Poi mi sono detto: “Qual è il problema?”. Queste sono donne che lottano per il loro posto in una società retriva, dove gli uomini volevano togliere loro il potere, lo status e le proprietà.
Tutto ancora attuale.
Mia figlia può combattere con fiducia. Siamo noi maschietti a dover cambiare mentalità.
Quando era batterista dei Police avrà notato quanto fosse patriarcale il circuito del rock.
Finimmo subito sulle copertine delle riviste per ragazzine. Sex symbol adolescenziali. I teen idol erano venerati da milioni di fanciulle, le rock band vere avevano meno adoratrici, i jazzisti nessuna. Ingiusto.
Per giunta eravate falsi punk. Suonavate magnificamente.
Andy Summers veniva dal progressive, aveva militato nei Soft Machine. Io ero stato nei Curved Air, la cui cantante Sonja Christina mi ha dato tre figli. Con questo bassista di Newcastle ci infilammo nella carovana dei Clash, dei Sex Pistols, dei Damned. Che senso aveva sventolare la bandiera del prog quando tutti i club volevano solo gruppi punk?
Pian piano Sting impose la sua dittatura.
No, eravamo una democrazia cinese. Valeva il due contro uno, chiunque fosse in minoranza. Ma all’inizio sapevo pochi accordi, scrivevo pezzi di convenienza, il mio compito era picchiare sui tamburi.
Sting non ha mai fatto mistero di apprezzare poco le canzoni degli altri Police.
Cercavamo di farci largo e tutti parlavano solo di Sting, volevano portarcelo via. Per qualche ragione lui restò fedele al nostro piccolo gruppo e il suo contributo creativo aumentò esponenzialmente. Così mi rilassai. Miglioravamo a vista d’occhio. Quest’estate tornerò in Italia a suonare i nostri successi con la Police Deranged Orchestra.
Potrebbe coinvolgere Sting.
L’invito è sempre aperto. A patto che lui abbia voglia di farsi fracassare le orecchie da me, mentre se ne sta beato con i suoi musicisti a suonare lo stesso vecchio repertorio. Perché rovinargli la festa? Con Andy invece vado a pranzo qui a Los Angeles, è attratto dal Brasile come me dall’Italia.
Quando capiste di avercela fatta?
Immagini tre affamati ragazzotti che si erano fatti notare con qualche singolo. Un giorno arriva una telefonata: “Siete ufficialmente ricchi. I vostri soldi sono stati depositati”. Eravamo a New York, ci precipitammo nel paradiso degli strumenti, il Manny’s Music Store sulla 47ª. Comprammo ogni cosa. Le Stratocaster, i pedali, gli effetti. Andammo a provare per un live al My Father’s Place e sperimentammo tutti i nostri giocattoli. Lì nacque il suono maturo dei Police.
C’è una chance per una nuova reunion?
Sì, dello 0,0000000000 0000000001 per cento. Sarebbe una terza guerra mondiale, godiamoci la vita.