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 2024  maggio 06 Lunedì calendario

Intervista a Giusy Buscemi

Da Miss Italia 2012 alla prima stagione del Paradiso delle Signore. Passando da Don Matteo al Giovane Montalbano. Poi, psicologa in «Doc 2» e ispettrice di polizia nella serie «Un passo dal cielo». Adesso promossa vicequestore su Canale 5 nei panni di Vanina Guarrasi, la protagonista dei gettonatissimi gialli di Cristina Cassar Scàlia. E così Giusy Buscemi, 31 anni, già tre figli, un marito regista (Jan Michelini), si avvia a diventare una sorta di Montalbano al femminile. Mentre è in montaggio una serie su Leopardi dove sarà la fatale Fanny Targioni Tozzetti, la donna di cui il poeta si innamora.
Un’ascesa a gran velocità. Ma dica prima perché i suoi tre bimbi hanno tutti il doppio nome e il secondo è sempre Maria, anche per i due maschietti.
«Beh, come mio marito, all’anagrafe. Pure lui. Sperando sempre nella protezione della Madonna».
Solida devozione?
«Cristiani praticanti. A Messa ogni domenica».
Bella, affascinante, ma quindi lei è una star tutta casa chiesa e set?
«Direi con ironia che il set è la strada spericolata fra casa e chiesa. In effetti, avverto l’importanza di fede, formazione, impegno di vita».
La prima volta in pubblico?
«Il giorno della prima comunione. Svenuta in chiesa».
Fu la prima scena madre?
«Alla consegna della pergamena. Un’emozione e il crollo».
Come si passa da fioretti e pergamena a Miss Italia?
«Anche con tanta fortuna. Mi ripeto che i conti non tornano. Sì, tanto impegno da parte mia. Ma anche tanti doni. Ricevo tantissimo. Miss Italia arrivò per gioco».
Chi lo propose?
«Un’amica di famiglia, Fioretta Mari, la grande attrice poi insegnante di “Amici” per Maria De Filippi. Frequentavo lo Scientifico, a Menfi, la mia città, la città del vino. Mi disse: “Tu a Miss Italia non vincerai mai, ma qualcuno ti noterà”».
Non ci aveva pensato prima di allora?
«Assolutamente no. E non pensavo nemmeno di fare prima un corso di dizione. Ma lei fu categorica, col suo accento fiorentino: “Non ti si può sentire”. In effetti, quelle doppie “T” rafforzate dell’agrigentino... Non finirò mai di ringraziare i miei genitori. Una volta alla settimana, per dieci volte, a lezione da Menfi a Catania».
Quattro ore di macchina.
«Quattro all’andata e quattro al ritorno. Per un corso che cominciava alle 8 del mattino e finiva alle 10 di sera. Partivamo prima dell’alba e tornavamo alle 2 di notte. L’indomani mattina io a scuola e mio padre a lavoro».
Credevate tutti in «Giusy Miss»?
«Non ci credeva nessuno. Era solo una parentesi prima dell’iscrizione a Medicina. Poi, l’occasione ha completamente ribaltato i piani».
Ma laureata alla Sapienza.
«Dopo tre figli, l’anno scorso. In Lettere e filosofia. Con una tesi sui dialetti, sulla bellezza e l’importanza di una lingua come il siciliano, “T” comprese. Una sfida grande. Una fatica immane tra famiglia e set, ma io dovevo chiudere un cerchio».
Una scommessa?
«Nella vita bisogna sempre cercare di chiudere il cerchio. L’ho fatto per poterlo raccontare ai miei figli».
L’incontro con Jan-Maria, il regista di “Doc”, “Don Matteo” ed altre serie?
«A una cena di beneficenza. Nulla per un anno e mezzo. Poi lo ritrovo sul set di Don Matteo per un piccolissimo ruolo, la figlia di Frassica. Una sorpresa, per entrambi. La più grande della nostra vita».
Nella serie «Un passo dal cielo» è una ispettrice di polizia esperta in prossemica. Capace, attraverso movimenti e linguaggio del corpo, di capire quello che le persone cercano di nascondere. E lei?
«Arte complessa. Occorrono istinto, sensibilità. Io invece sorvolo. Se mi dicono una bugia magari capisco, ma non indago, faccio finta di crederci».
Nostalgia della «città del vino», di quella Menfi circondata dalle viti?
«Amo tanto la terra da avere pensato alla mia seconda vita».
Per fare cosa?
«L’imprenditrice agricola».
Dai ciak ai campi?
«Mio padre è agricoltore. Ho studiato per un anno. Esame fatto a gennaio. Sul set di Vanina la sera studiavo. Come per la laurea. Che fatica. Promossa. Ho già il patentino Iap».
Cioè?
«Da gennaio sono “Imprenditrice agricola professionale”».
E il marito regista?
«Ama la Sicilia e la campagna più di me. Sa di mio nonno soprannominato con i nomignoli di un tempo “Nino ‘u seminzeri”. Quello che semina. Adesso piantiamo avocado e ulivi».
Lei bambina?
«A raccogliere asparagi, meloni. A pigiare l’uva con i piedi nella terra di Diego Planeta».
Conosceva il patron dei grandi vini?
«Fu il mio primo talent scout, a Menfi. Per la sua laurea honoris causa, mi chiese di interpretare un passo della tesi sulla storia del vino. Prima recitazione, primi applausi, a 17 anni».
Menfi non dista troppo da Castelvetrano, da Campobello di Mazara, da centri soffocati dalla presenza di Matteo Messina Denaro...
«È la contraddizione della mia terra da dove mi sono portata appresso un fiero bagaglio culturale, ma anche il dolore per un contesto che cambia con il lavoro e con l’impegno di tanti. Com’è accaduto a Menfi, quasi un’oasi, proprio grazie ai Planeta, all’intraprendenza, alle imprese, alle cooperative nate».
Cambiare è possibile?
«È una storia che ancora sanguina. Ma un’occasione per migliorarsi e migliorare. Purché non si continui a suggerire che è meglio farsi i fatti propri. È l’ora di farsi i fatti degli altri. Come fa Vanina Guarrasi, la poliziotta segnata a sua volta dal dolore, dalla perdita del padre ucciso da un commando mafioso».
Assonanze?
«Amo la ricchezza umana di questo personaggio. Ma Vanina scappa dall’amore e non vuole figli».
Per somigliarle?
«Per la prima volta in vita mia ho tagliato i capelli, li ho scuriti, ho cambiato look».
Il dialetto?
«Prima, il corso di dizione per cancellare l’accento. Adesso, il ritorno con Vanina alle inflessioni un po’ catanesi, un po’ palermitane. Beh, la tesi della Sapienza è servita. Studiavo sui video dei miei nonni che non parlavano italiano».
Sui filmini di famiglia?
«Compleanni, feste comandate. Mi raccontavano cose antiche, detti siciliani. E adesso che sono in cielo studio sulle loro parole».
Nei momenti difficili Vanina potrebbe estrarre la sua colt. E lei? Le sono capitate molestie o moleste avances?
«Molto fortunata. Protetta forse da un angelo custode. Ma fino a 19 anni papà e mamma mi hanno tenuta sotto una cappa di vetro. Sempre seguita. E li criticavo. Adesso capisco che era la cosa migliore da fare. Ma lo capisco da mamma di una bimba di 6 anni».
Un suggerimento da lanciare alla bimba, e non solo?
«Tutto è possibile, desiderandolo».