Corriere della Sera, 6 maggio 2024
Il detenuto Barghouti
Gerusalemme Dall’incrocio Fine del Mondo è possibile vedere le torrette del carcere e le rovine delle torri sulla collina di Megiddo, dove per migliaia di anni sono state combattute le battaglie attorno a questa piana e dove dovrebbe combattersi anche l’ultima, quella di Armageddon. Il prigioniero più celebre è in isolamento dal 7 ottobre, da quando i terroristi di Hamas hanno attaccato i villaggi nel sud di Israele. Anche se Marwan Barghouti dei fondamentalisti è avversario, l’unico che potrebbe batterli alle elezioni (quando mai saranno indette), lui che nel Fatah laico di Yasser Arafat è entrato a 15 anni.
Adesso che i capi dell’organizzazione tornano a metterlo nella lista dei possibili detenuti da liberare in uno scambio – ci avevano già provato tre mesi fa, giro di negoziati saltato – i diplomatici internazionali guardano ancora una volta a «Napoleone», così è soprannominato per la piccola statura e le grandi ambizioni, come al possibile elemento di sblocco. Non solo in queste trattative ma per quella visione di un’Autorità palestinese «rivitalizzata» che la Casa Bianca ha delineato. Condannato a cinque ergastoli più 41 anni per il coinvolgimento negli omicidi di quattro israeliani e un monaco greco, è considerato dagli arabi il «Nelson Mandela» che potrebbe guidare un eventuale Stato: in una sfida contro Ismail Haniyeh, il leader di Hamas all’estero, per la presidenza e la successione ad Abu Mazen vincerebbe con il 60%, secondo un sondaggio effettuato dal centro studi a Ramallah diretto da Khalil Shikaki.
Il sondaggio
In carcere dal 2002, batterebbe Haniyeh col 60% per succedere ad Abu Mazen
L’estrema destra israeliana al potere si oppone all’ipotesi di una sua liberazione. È stato Itamar Ben-Gvir, da ministro per la Sicurezza nazionale, a volere l’inasprimento delle condizioni per i carcerati di alto livello, in particolare Barghouti perché anche dalla cella – ci ha passato 22 dei 64 anni – è in grado di organizzare mobilitazioni che mettono insieme tutte le fazioni, come lo sciopero della fame collettivo nel 2017, quando gli israeliani cercarono di sminuirne la leadership diffondendo il video della telecamere di sicurezza in cui sembrava mangiare di nascosto dei biscotti e una barretta. E perché lo scorso dicembre, nell’anniversario della prima intifada, ha incitato i palestinesi in Cisgiordania a prendere parte «alla guerra di liberazione in corso». Come aveva predetto Ehud Barak, l’ex primo ministro, subito dopo il suo arresto nel 2002: «Operazione inutile per combattere il terrorismo, ma che ne farà un mito senza che dalla galera debba dimostrare nulla».