Il Messaggero, 5 maggio 2024
Shanidar Z, ecco la donna di Neanderthal (a 45 anni)
Così diversa, eppure magneticamente simile a noi, se si osserva bene il suo sguardo umano, limpido e vivace. Shanidar Z, la donna di Neanderthal, non era molto alta, un metro e 50, come tutti i nostri cugini di 75mila anni fa, ed è morta intorno ai 45 anni. Aveva sopracciglia pronunciate, naso schiacciato, pochissimo mento. Ha vissuto combattendo, cacciando, badando agli altri al pari degli uomini della sua banda. Il suo volto è il frutto del lavoro durato oltre un anno di un’équipe di scienziati inglesi che hanno prodotto una straordinaria ricostruzione di come sarebbe stata una donna di Neanderthal quando era in vita, riferisce la Bbc. Il ritrovamento è avvenuto nel 2018 in una grotta del Kurdistan iracheno denominata Shanidar, che già in passato aveva restituito altri neanderthaliani (negli anni 50 furono scoperti i resti di almeno 10 uomini, donne e bambini). La donna era deposta in un burrone scavato apposta per accogliere le sue spoglie. La mano sinistra era piegata sotto la testa e una roccia dietro il capo potrebbe essere stata usata come cuscino. Intorno a lei, resti di semi e legumi, fanno pensare che i neandertaliani vegliassero i loro morti o comunque non si distaccassero poi tanto da loro e che Shanidar fosse una “nonna” molto speciale e rispettata. La ricostruzione, un puzzle meticoloso, si basa sui resti appiattiti e frantumati di un teschio le cui ossa erano così morbide da avere la consistenza di un biscotto inumidito. I ricercatori hanno dovuto innanzitutto rinforzare i frammenti – 200 – prima di rimontarli, usando i contorni del viso e del cranio per guidare la ricostruzione. Affidata a due paleoartisti di fama mondiale, i gemelli olandesi Adrie e Alfons Kennis, che hanno realizzato il modello 3D. LA RICOSTRUZIONEEd ecco, apparire Shanidar, l’emozionante ricostruzione è raccontata nel documentario “Secrets of the Neanderthals”, prodotto dalla Bbc per Netflix, dove i dettagli sono spiegati dalla dottoressa Emma Pomeroy, paleoantropologa e docente associata del dipartimento di archeologia dell’Università di Cambridge che ha portato alla luce lo scheletro. Con il cranio di Shanidar a fianco la studiosa ammette che «i teschi dei Neanderthal e degli esseri umani sembrano molto diversi ma il volto ricreato suggerisce che quelle differenze non fossero poi così nette nella vita reale. Forse è più facile pensare agli incroci tra le nostre specie, nella misura in cui quasi tutti coloro che vivono oggi hanno ancora il Dna dei Neanderthal». Il team è pressoché certo che fosse una lei, prove sarebbero emerse da alcune proteine dominanti nello smalto dei denti, rovinati, consumati alla radice, il che indica che sia arrivata naturalmente al termine della vita. Resta il tema sepoltura su cui gli scienziati si dividono, non tutti ritengono che fosse in uso nel popolo di Neanderthal, forse rami fioriti venivano posti sopra i corpi a mo’ di protezione. Il cranio ricostruito è stato scansionato e stampato in 3D, ottenendo la base di una testa, lavorata dai paleoartisti Adrie e Alfons Kennis, che hanno ricostruito strati di muscoli e pelle per rivelare il volto femminile e tutt’altro che “primitivo” di Shanidar. Potenza di un’espressione che accorcia le distanze, rafforza l’ipotesi degli esperti sulla reale capacità di astrazione che già guidasse gli uomini e le donne di Neanderthal, estintisi 40mila anni fa. Il professor Giorgio Manzi, paleoantropologo della Sapienza di Roma e accademico dei Lincei, autore di diversi lavori sul tema, “Antenati” l’ultimo libro, ricorda come i gemelli Kennis «già in passato abbiano ricostruito l’uomo di Neanderthal di Altamura, sulla base dei dati forniti dal mio gruppo e solo attraverso un cranio ancora sotto terra che abbiamo estratto dalla grotta con tecniche virtuali. Oggi l’antropologia dispone di tecniche di ricostruzione formidabili. A loro si deve la ricostruzione a grandezza naturale di Ötzi, la mummia dei ghiacci ritrovata nel 91 in Alto Adige». Svelato ora il volto di Shanidar. Faceva parte di «una banda di cacciatori, raccoglitori e di eguali». IL PENSIERO SIMBOLICOAnche Manzi sottolinea come la specie, «come noi Sapiens avesse la tendenza al pensiero simbolico, come produrre oggetti, lasciare segni non necessariamente legati alla sopravvivenza». Ciondoli, un dente canino forato, la penna di un rapace tra i capelli. «Barlumi, segni che pensiamo ci abbiano lasciato, che alludono a ciò che è esploso con i Sapiens. Erano come noi, ma non proprio come noi». Dettagli importanti. «La storia della paleoantropologia inizia con il Neanderthal rinvenuto nella valle tedesca che ha dato il nome alla specie. Contemporanei dell’Homo sapiens, dopo un lungo periodo di coesistenza in aree diverse sono entrati in contatto. Erano bande di 20/30 individui tra uomini donne e bambini». Nomadi, come sembra un poco Shanidar, «giravano negli stessi posti nell’arco dell’anno in base alla stagione. Al Circeo abbiamo scoperto grotte frequentate da loro, andavano verso il mare d’inverno in cerca di un clima temperato. D’estate si spingevano verso l’Appennino». Miti, semplici, “buoni selvaggi”.