il Giornale, 5 maggio 2024
Biografia di Pannonica Rothschild
L a baronessa. La Rothschild ribelle musa segreta del jazz (Neri Pozza, pagg. 288, euro 19) di Hannah Rothschild è una scoperta affascinante come la sua protagonista. La baronessa è Pannonica Rothschild (1913-1988), una vita incredibile, e non per modo di dire, raccontata dalla pronipote. Hannah ha avuto quasi tutto ciò che un biografo possa desiderare: accesso diretto alle fonti, incluse quelle in carne e ossa. Il risultato è sbalorditivo. Il libro è una miniera di pepite, qui proviamo a raccoglierne qualcuna.
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ESSERE O NON ESSERE I Rothschild provengono dal ghetto ebraico di Francoforte, un posto dove la strada principale era larga tre metri. Nelle ore di punta, risultava difficile perfino girarsi in mezzo alla calca. Il fondatore della dinastia fu l’esperto di numismatica e cambia valute Mayer Amschel Rothschild (1744-1812). Cassiere, poi banchiere in proprio, Mayer mandò i cinque figli ad aprire filiali nelle principali capitali europee, in particolare Francia e Inghilterra. I Rothschild si specializzarono nei prestiti ai sovrani: in Europa, nel XIX secolo, non si combattevano guerre senza consultare (e fare affari) con i Rothschild. Questo fatto diede vita a una teoria del complotto secondo la quale i Rothschild sono i veri padroni del mondo.
Il patrimonio privato della famiglia divenne smisurato. In una delle tenute di campagna, in Inghilterra, per far arrivare le portate a tutti gli ospiti, i cuochi e i camerieri si servivano di un treno con due vagoni (pietanze calde e pietanze fredde viaggiavano separatamente). Le donne erano escluse tassativamente dal controllo della banca: dovevano essere belle, sorridere e sfornare figli maschi. La famiglia favoriva i matrimoni tra rami diversi dei Rothschild. All’inizio del XX secolo, in realtà la casata era in crisi. Le nuove generazioni non amavano la banca ed erano più interessate all’entomologia, lo studio degli insetti, una vera ossessione per molti Rothschild ai quali si devono alcune delle più grandi collezioni di falene e farfalle. C’è una falena molto bella che si chiama Pannonica. E proprio Pannonica fu il nome scelto per la protagonista, nata nel 1913, di questa storia. Dopo la Prima guerra mondiale, il potere dei Rothschild andò riducendosi anche se i forzieri restarono pieni per generazioni. Pannonica sposò il barone Jules de Koenigswarter ed ebbe cinque figli. Sembrava destinata a essere tumulata in vita nei palazzi dei Rothschild. Ma la Seconda guerra mondiale rimescolò le carte del destino.
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BOMBARDIERI Nica non intendeva restare nelle retrovie a fare l’infermiera. Raggiunse il marito Jules in prima linea e insieme ebbero avventure al limite. La baronessa si arruolò nell’esercito della Francia libera e fu mandata in Africa con il ruolo di crittografa ma finì, si dice, a pilotare i bombardieri Lancaster. Nica e Jules furono decorati. Lei si congedò con il grado di tenente. Non fu l’unico contributo dei Rothschild alla vittoria sul nazismo. La sorella di Nica, Miriam, entrò nel gruppo di crittoanalisi di Alan Turing a Bletchley Park dove contribuì, disse poi, «ad accorciare la guerra di un paio d’anni». Fu scambiata per una spia quando nella sua villa furono trovati un sacco pieno di problemi matematici e un allevamento di piccioni viaggiatori. Ma le carte erano «l’allenamento» di Miriam e i piccioni viaggiatori una delle tante «manie» dei Rothschild.
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LA STAR DEI BASSIFONDI Nel dopoguerra, Nica, stufa di fare la vita diplomatica scelta da Jules, scappa a New York e prende casa al celebre Stanhope Hotel. Vive di notte, nella 52ª strada dove può coltivare la passione per il jazz. Nei club si incontravano William Burroughs, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Saul Bellow, Tom Wolfe, Jackson Pollock, Willem de Kooning e Frank Stella. Sul palco erano appena esplosi o stavano per esplodere Charlie Parker, Dizzy Gillespie, John Coltrane e Miles Davis. Anche il jazz era una fissazione di alcuni Rothschild. Forse c’era qualche affinità di fondo, nonostante la distanza siderale dal punto di vista economico. I neri avevano combattuto in Europa per l’America ma non potevano entrare nel bagno dei bianchi. Come gli ebrei, i neri sapevano cosa significasse essere emarginati, perseguitati, linciati. I jazzisti talvolta erano attivisti. Nica seppe conquistare il rispetto dell’incendiario Archie Shepp, sassofonista e militante per i diritti civili. Nonostante questo, i giornali di gossip, stupefatti dalla libertà della baronessa, sottintendevano che i musicisti la frequentassero solo per farsi mantenere o per consumare rapporti sessuali con quell’affascinante esemplare di donna bianca. Cattiverie. La peggiore uscì dalla penna di Julio Cortázar. Nel Persecutore, lo scrittore argentino raccontava il destino tragico di Charlie Parker e di un gruppo di scrocconi capitanato dalla inquietante marchesa Tica, una ricca groupie pronta a tutto pur di accendere la sua misera vita.
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CORSE CON MILES Nica non faceva nulla per passare inosservata. I locali jazz erano nei bassifondi. Lei parcheggiava la Rolls-Royce bianca davanti all’ingresso ed entrava nella sala
fumosa avvolta in una pelliccia di leopardo. Poi si sedeva in prima fila, fumando sigarette con un lungo bocchino. Pare ci fosse una certa rivalità automobilistica con Miles Davis, il primo musicista nero a guidare bolidi da ricco bianco. Così, una notte, la Rolls con Nica al volante viene affiancata al semaforo dalla Mercedes di Miles. Nica a Monk: «Reggiti che questa volta lo batto, il bastardo». E via col «garino» nelle strade deserte della Grande Mela.
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LA MORTE DI BIRD Charlie Parker era un tipo strano, soprattutto era un tossico perso. Poteva girare tutta la notte in cerca di un posto per dormire oppure restare in piedi sotto la pioggia in stato catatonico. Era un maestro: ma l’abuso di droghe aveva intaccato anche la magia della sua musica. Ragionava come un matematico e volle nella sua band un giovanissimo Miles Davis, allievo della Juilliard School, perfettamente in grado di capire uno spartito complesso. La droga circolava da sempre nel mondo della musica. Parker, involontariamente, l’aveva resa una cosa alla moda, da provare a tutti i costi per scatenare la creatività. Ma Parker si era esercitato per anni, quindici ore al giorno, trasfigurando le canzoni classiche, inventandosi un nuovo stile nervoso e imprevedibile, il be bop. Comunque Parker morì a casa di Nica. Aveva bussato allo Stanhope Hotel. Era malmesso. Nica chiamò un dottore. Il verdetto: Bird era un 65enne in stato penoso. In realtà aveva 34 anni. In quanto alle condizioni penose, beh, mancava solo qualche ora alla morte di Parker. La scarsa attenzione del medico legale ha lasciato spazio a una leggenda nera, variamente articolata. Nica sarebbe stata in casa con un altro suo protetto, il magico batterista Art Blakey. Parker avrebbe provocato Nica e Blakey sarebbe insorto con violenza. Un pugno avrebbe abbattuto il corpo già semidistrutto di «Bird».
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CHIAMAMI CLINT Il regista e attore Clint Eastwood è un discreto pianista honky tonk, quel genere un po’ country e molto blues che si ascolta soprattutto negli Stati del Sud. Soprattutto, Clint ha una passione inesauribile per il jazz e, tra i jazzisti, per Charlie Parker, al quale ha dedicato un grande film, Bird. Consulente della pellicola fu Nica che appare anche tra i personaggi. Nica in persona è nel documentario Straight, No Chaser dedicato a Thelonious Monk. Non sono gli unici tributi alla baronessa e neanche i principali: Nica ha ispirato 24 brani scritti dal Gotha del jazz, a partire proprio da Thelonious Monk, autore della bellissima ballad intitolata Pannonica.
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L’AMORE PER MONK Nella scena jazz, c’era un pianista che aveva rubato il cuore a Nica ancora prima di conoscerla. Era Thelonious Monk. Nica era rimasta vittima di un incantesimo ascoltando ’Round Midnight. Monk era geniale ma aveva sempre avuto un problema con le droghe. Nel 1948 viene trovato in possesso di marijuana. Il tribunale gli ritira la cabaret card necessaria per esibirsi nei locali con vendita di alcolici. È una condanna alla fame. Monk non sa dove esibirsi. Il pianista era un uomo generoso, fece di tutto per salvare l’amico Bud Powell lasciandosi arrestare al suo posto, ancora una volta per possesso di stupefacenti. A Monk ne succedono di tutti i colori. È stato pestato in carcere, affumicato con l’elettrochoc, reso psicotico da prescrizioni farmacologiche insensate. Beveva volentieri e non diceva mai di no a una striscia di cocaina. Era un uomo sempre sul punto di andare in mille pezzi. Poteva fissare una finestra per ore, senza parlare, e poi sfasciare la stanza. Parlava per monosillabi e solo con alcune persone. Poteva non riconoscere i figli o farsi ammazzare per loro. Un giorno sparì nel nulla subito dopo un concerto. Pare che uno spettatore gli avesse offerto un cocktail addizionato di acido lisergico. Monk fu trovato una settimana dopo a mille chilometri di distanza. Era a Denver. Non sapeva spiegare cosa ci facesse e come ci fosse arrivato.
Amava la moglie Nellie e anche la amica baronessa. È stato un duraturo ménage à trois. Solo alla fine, quando deciderà di ritirarsi e di smetterla col pianoforte, Monk accetterà la silenziosa accoglienza di Nica. La baronessa si faceva in quattro per cercare di risolvere i malanni di Monk, che raramente si alzava dal letto e ancor più raramente metteva il naso fuori dalla sua stanza. Nica viveva al piano di sotto, circondata da un centinaio di gatti, quelli che avevano il permesso di entrare in casa, poi ce n’era un altro centinaio che era nutrito ma fuori dall’appartamento. Monk sentiva di non avere più il tocco. Alla fine degli anni Sessanta, le ultime crisi lo avevano distrutto, eppure visse fino al 1982. Quando Nica cercava di riavvicinarlo al pianoforte, Monk andava su tutte le furie. Credeva di non essere più il genio di Brilliant Corners, ’Round Midnight, Pannonica, Monk’s Dream e altri capolavori immortali. Nica sopravvisse altri sei anni, circondata dai gatti e dalla sua futura biografa.