Corriere della Sera, 5 maggio 2024
Intervista a Paola Ferrari
Paola Ferrari, milanese, giornalista, produttrice e conduttrice televisiva di programmi come La Domenica Sportiva e 90° Minuto. È dunque lei la regina del calcio?
«Ho fatto per prima quello che poi è stato imitato da altre. Sono una che vuole sempre abbattere le barriere, aver aperto la strada è un vanto. Ora mi aspetto che le colleghe conquistino altre postazioni, ma a bordo campo ci sono stata per prima io: Nils Liedholm mi faceva portare il tè caldo e un poliziotto mi diede i guanti di gomma delle perquisizioni per infilarli sopra alle calze, stavo congelando».
Ha sempre voluto fare la giornalista?
«Sì, abitavo in zona Città Studi e sotto casa mia c’era un bar dove veniva Beppe Viola. Indossava un cappotto pesante, ero incuriosita dal suo lavoro. Dicevo a tutti: lo voglio fare anche io. Mio padre mi portava a vedere le partite all’Arena con i fogli di carta di giornale sulla pancia per non farmi prendere freddo. Fino a 7 anni è stata una bella infanzia, poi è iniziato l’inferno».
Cosa è successo?
«Mia madre ha avuto un forte esaurimento ed ha cominciato ad essere molto violenta. Ai tempi non c’era Telefono Azzurro: ha cercato di uccidermi almeno tre volte, la prima annegandomi. Si accaniva anche contro mia nonna inferma e le dava delle forbiciate sulle braccia».
Si ricorda il primo episodio di violenza?
«Ero tornata da scuola e raccontai il tema che avevo svolto: “Il tuo animale preferito”. Dissi che avevo scritto il cavallo e lei diventò un diavolo: avrei dovuto scrivere il cane. Ricordo che tremavo di paura».
Suo padre non la difendeva?
«Si disinteressava: era come se quello che succedeva in casa non lo riguardasse, più tardi ho scoperto che aveva una relazione extraconiugale dal quale era nato un figlio, morto a 45 anni. Oggi papà ha 94 anni e mi occupo di lui. Mia madre non riesco ad andare a trovarla al cimitero».
Cosa le hanno lasciato quegli anni?
«Non ho paura di niente, le violenze mi hanno dato forza di andare contro le avversità: l’aggressività che ogni tanto esprimo è frutto di quello. Quando sono rimasta incinta non sapevo che mamma sarei stata: ricordo un senso di perplessità. Poi sono stata una buona madre».
Come è uscita dall’incubo?
«Sono andata a vivere da mia zia a Busto Arsizio. Ho dovuto interrompere gli studi a 15 anni e ho iniziato a mantenermi. Un giorno un amico mi ha invitata tra il pubblico di Telealtomilanese. Il regista mi fece un primo piano e venni notata da Enzo Tortora: avevo 16 anni».
Enzo Tortora.
«Un secondo padre. Mi venne a cercare in tutta Busto Arsizio e disse che avrebbe voluto portarmi in Rai, stava per partire Portobello. Mi dava del lei: “Mi chiami”. Il numero era quello della sorella: ci teneva a farmi sentire al sicuro, senza doppi fini. Gli telefonai e iniziai a lavorare in trasmissione, ero una centralinista».
Il calcio d’inizio?
«A Telenova e poi Telelombardia, dove ho ricordi stupendi: mi notarono Sandro Mazzola e Tito Stagno, che mi chiamarono a collaborare per i Mondiali del 1990. Entrai in Rai».
Da Tortora a Mazzola. Cosa aveva lei di così speciale da colpire tutti questi maestri?
«Mi dicevano che non ero mai banale nel mio lavoro. All’epoca non esistevano donne che si occupavano di calcio: c’era Rosanna Marani della Gazzetta dello Sport e mi piace ricordarla».
Come ha colmato la lacuna degli studi?
«Non aver completato le scuole è stato un handicap per lungo tempo. Ho sostenuto un esame di cultura generale per completare due anni di liceo: solo così ho potuto fare l’esame da professionista. E poi tanta gavetta».
Erano gli anni della Milano da bere.
«Ho vissuto sette vite: dagli anni di Piombo all’edonismo degli Ottanta, con i concerti di Prince, locali come il Nephenta, l’arrivo delle modelle americane che portavano via i fidanzati alle milanesi. Terry Broome la conoscevamo tutti, i locali chiudevano alle due di notte e allora si andava a casa di qualcuno».
Marco De Benedetti, suo marito, l’ha conosciuto così?
«No, ci ha presentati Alba Parietti, che è una delle mie migliori amiche. Mi ha costretta ad accompagnarla a una cena dove c’era anche lui: non volevo andare, mi ha tirata fuori dalla vasca da bagno».
Colpo di fulmine?
«Macché. Mi ero appena sfidanzata: un legame di otto anni con uno apparentemente perfetto. Di notte lo guardavo mentre dormiva e dicevo “non è lui”. Le persone per capirle le devi guardare mentre dormono».
Suo marito l’ha corteggiata con insistenza?
«Dopo quattro mesi mi ha chiesto di sposarlo. Si è dato molto da fare per conquistarmi, aiutato anche dalla mamma Mita, che era un’amica di Alba e poi è diventata anche amica mia. Lo metteva al corrente dei pranzi ai quali partecipavo e lui passava per il caffè...».
Anche suo suocero faceva il tifo per lei?
«Non credo. All’inizio pensava che fossi una delle tante, che me ne sarei andata in fretta. Quando ha capito che potevo restare non è stato molto carino, mi ha lanciato più frecciatine».
Le presentazioni in casa De Benedetti.
Leotta e le polemiche
Diletta è molto brava. Ma se mi chiede se vorrei che mia figlia fosse come lei, rispondo di no. Noi non volevamo sembrare belle ma brave, oggi vogliono essere anzitutto belle
«In montagna, in una casa stupenda accolta da camerieri in guanti bianchi. Io che arrivavo da un contesto diverso ero colpita, ma quel mondo non mi ha cambiata. A Marco ho detto subito che con me si poteva scordare le cene di rappresentanza: a casa invito solo gli amici».
Si impara in fretta a fare la «signora»?
«Con una facilità che neanche immagina: ne ho viste tante che dopo un mese, con una scusa, hanno smesso di lavorare. Ho fatto tanti anni timbrando il cartellino, ma non mi sento più brava, ho fatto solo quello che volevo».
Qual è il segreto di 28 anni di matrimonio?
«Sono sanguigna, mi arrabbio, sbraito, gli faccio fare delle figuracce. Però con me Marco non si annoia mai. Se lo vedo sul divano un po’ apatico lo stuzzico con qualche battuta».
Quella che gli uomini definiscono una rompicog....?
«Di più. Ma sono come un filetto in crosta: ho un esterno duro e un interno tenero».
Ha avuto mai una sbandata per un altro?
«Mi attribuiscono spesso fidanzati, in realtà con Marco siamo molto uniti. Anche lui è ambito: ieri sera a cena c’era una che lo puntava. Se vuole glielo presto per un anno, poi però me lo riprendo!».
Con suo suocero vi scontrate spesso: l’ultimo episodio riguardava Giorgia Meloni.
«Mi è dispiaciuto che usasse certi toni verso una donna e una politica che sostengo da anni e non solo ora che è Presidente del Consiglio. La pensiamo diversamente su tante cose, ma mentre io adoro il confronto lui è abituato ad avere il mondo dalla sua parte. Lo stimo e gli voglio bene, ma abbiamo perso un’occasione: aveva in famiglia una donna diversa, con cui discutere».
Si sente una femminista di destra?
«Sì. Continuo a usare il mio cognome, anche se mio marito nella email mi ha aggiunto un “db” che però genera confusione. Anche all’estero, quando prenotiamo, usiamo il mio: Ferrari, come la macchina, lo capiscono tutti».
Dalla parte delle donne, ma in polemica a volte con loro. Diletta Leotta, ad esempio.
«È molto brava e porta introiti pubblicitari. Però se mi chiede se vorrei che mia figlia Virginia fosse come lei, allora le rispondo di no. Oggi va di moda rivendicare la propria libertà mostrandosi senza vestiti: il tempo di Mary Quant è passato. Nobilitare il nudo con il femminismo mi pare una meschinità: una volta non volevamo sembrare belle ma brave, ora vogliono essere prima di tutto belle, è un passo indietro».
Melissa Satta le ha dato della «rosicona».
«Mi è spiaciuto: quando ho commentato il suo gesto di togliersi la giacca in trasmissione, era contro le battute maschili che ne sono seguite. Lei ha pensato che ce l’avessi con lei. Non sono invidiosa, piuttosto sono stata invidiata».
Viene attaccata per essere la «moglie di»?
«Una volta all’ambasciata italiana a Washington mi sono presentata a Mario Draghi dicendogli: “Sono la moglie di Marco De Benedetti”. Lui mi ha risposto: “Sarà lui che è suo marito”! Se hai un uomo importante devi lavorare il triplo, per dimostrare che vali. Più volte Marco mi ha chiesto di lasciare la Rai, era certo che avrei sofferto e subito ingiustizie».
È andata così?
«Sono una donna Rai, amo la mia azienda e anche se è una realtà spigolosa sono fiera di farne parte: non cambierei mai. Ma piacerebbe cimentarmi sull’infotainment. E mi dispiace quando dicono che devono svecchiare e poi mettono un uomo della mia età».
Cosa ne pensa dell’addio di Amadeus?
«Ho iniziato a lavorare con lui a Radio Deejay, dove Cecchetto mi aveva affidato i notiziari. Penso che davvero lui abbia fatto una scelta di vita».
Progetti per il futuro?
«Continuare a realizzare i documentari che produco per Lucisano Film, di cui sono socia. Ne ho fatto uno anche su Charles Bukowski».
Facciamo nomi e cognomi: Alba Parietti.
«Ancora oggi una delle mie amiche più care. Una selvaggia. Se c’è bisogno corro. E lei anche».
Il giocatore preferito.
«Roberto Baggio, mi piacciono i numeri 10».
L’allenatore migliore.
«Arrigo Sacchi. E poi Liedholm».
Il nome del suo corteggiatore più famoso.
La corte di Berlusconi
A cena con Montanelli mi sfilò il fermaglio di finta madreperla e disse: «La mia donna non deve indossare nulla di falso» Ero ferita, decisi di non vederlo più
«Silvio Berlusconi. L’ho conosciuto a 20 anni a Telemilano. È iniziata una frequentazione platonica, la sua segretaria mi aveva avvisato che stava uscendo anche con Veronica. Durante una cena nella casa di via Rovani con Montanelli, mi sfilò dai capelli il fermaglio di finta madreperla. “La mia donna non deve indossare nulla di falso”, disse. Ero ferita, decisi di non vederlo più».
E lui?
«Ci siamo sempre rispettati e mi manca. Pochi anni fa mi disse: “Paola ho saputo che tuo suocero mi vorrebbe vedere morto”. Non se ne faceva una ragione. Ho fatto di tutto perché i due vecchi leoni potessero bere un caffè. È una di quelle cose che rimprovero a mio suocero, di non averci almeno provato».