Corriere della Sera, 5 maggio 2024
Berlusconi a caccia con Putin
Fino all’ultimo Silvio Berlusconi è rimasto schierato dalla parte di Vladimir Putin, a testimonianza di un rapporto ultra ventennale che non si è mai incrinato. O quasi. Perché ci fu un momento in cui il Cavaliere dubitò di lui. Accadde durante una vacanza trascorsa insieme in una dacia, di cui c’è traccia in un articolo pubblicato da Mattia Feltri sulla Stampa nel 2013. Una vicenda rimasta per anni misteriosa e che Fabrizio Cicchitto porta alla luce mentre parla del legame tra il leader di Forza Italia e il presidente russo. Fu un episodio che fece vacillare le certezze del Cavaliere, «perché Vladimir mi ha mostrato di sé un’indole violenta che non immaginavo in un uomo così gentile e razionale». Fu questo l’incipit con cui Berlusconi, appena rientrato in Italia, confidò la storia al suo portavoce Paolo Bonaiuti e a Cicchitto, che all’epoca era capogruppo alla Camera. E che lascia al protagonista la parola.
«Putin mi ha detto: “Silvio, andiamo a caccia”. Ho pensato: “A caccia? Non ho mai toccato un fucile”. Ma lui insisteva e allora l’ho accompagnato. Quando siamo arrivati nel bosco mi ha dato un fucile. Mi è venuta l’ansia. Mentre camminavamo nella neve, ha visto due caprioli e mi ha fatto cenno di mirarne uno: “Quello è il tuo. Spara”. Gli ho fatto capire che manco morto avrei sparato. Allora ha sparato lui a entrambi e li ha uccisi. Mi ha guardato soddisfatto: “Oggi ti offrirò un cibo straordinario”. È sceso giù dal pendio per andare verso gli animali, impugnando un coltello. Ha squartato una bestia e gli ha estratto il cuore. Poi si è fatto consegnare da un uomo della scorta un vassoio di legno, me lo ha dato e ci ha messo sopra quel pezzo di carne sanguinante: “Sarà un pasto eccezionale”. Mi è venuto un colpo. Mi sono nascosto dietro un albero e ho vomitato». Il silenzio dopo il racconto durò per alcuni, interminabili secondi. Finché Berlusconi chiosò: «Forse è solo l’abitudine di un cacciatore».
Invece era il rituale di un dittatore, che fa fare la stessa fine a un capriolo come a un oppositore.
«Rammento quando Paolo Guzzanti era presidente della commissione parlamentare Mitrokhin, che doveva indagare sulle attività illegali dei servizi segreti sovietici in Italia fino al 1984. Guzzanti voleva verificare se Romano Prodi fosse stato un agente russo. Cosa assolutamente non vera, anche se aveva rapporti profondissimi con Mosca grazie all’associazione Prometeia. Alla caccia di queste prove, Guzzanti finì in mezzo a uno scontro tra spie russe che avevano l’abitudine di usare il polonio per togliere di mezzo personaggi scomodi. Tanto che la sua auto veniva tenuta lontana dalla residenza di Berlusconi. E gli uomini della mia scorta stavano alla larga dalla scorta di Guzzanti, nel timore di venire contagiati da eventuali radiazioni. Questo era ed è Putin. Ma in Forza Italia nessuno, tranne me e Daniele Capezzone, contestava l’appeasement di Berlusconi con il presidente russo».
Più che un “appeasement”, un matrimonio.
«Ho avuto modo di dire che tra Berlusconi e Putin c’era un legame di omosessualità psicologica: si ammiravano vicendevolmente e il loro era un rapporto assolutamente paritario. Putin considerava geniale questo imprenditore italiano che controllava le televisioni ed era riuscito a sfondare in politica. A sua volta Berlusconi lo riteneva un pragmatico, capace di gestire un Paese come la Russia e con il quale si potevano fare tante cose insieme: dagli affari alle donne. Silvio aveva l’ambizione di portarlo nell’Occidente e nella Nato. “Passerò alla storia”, diceva. Pensava di vincere e invece venne fregato da Putin».
In che senso?
«Putin voleva rientrare nel grande gioco. E utilizzava Berlusconi e i suoi rapporti con gli americani per tornare nel salotto buono dal quale la Russia era uscita dopo la fine dell’Unione Sovietica. Il famoso vertice di Pratica di Mare fu funzionale al suo disegno. Infatti, appena tornato in gioco, iniziò a sgomitare. Quando minacciò di entrare in Georgia con i carri armati, si fece frenare da Berlusconi. E questo confermò in Silvio l’idea che potesse condizionarlo. La storia dice che non andò così. Perciò, dopo l’invasione dell’Ucraina, Berlusconi era deluso. Anche se ce l’aveva a morte con Zelensky, che definiva “un attore megalomane pericoloso a se e agli altri”».
Tanto da condividere il tentativo di Putin di sostituire il presidente ucraino con «persone perbene».
«Se è per questo mi hanno raccontato che nell’ultimo periodo Berlusconi sosteneva che non avrebbe mai votato a favore dell’ingresso di Kiev nell’Ue e nella Nato. Ma ultimamente i nostri contatti si erano rarefatti».
Quando invece i rapporti tra voi erano quotidiani e gli esprimeva le sue perplessità su Putin, cosa le diceva il Cavaliere?
Il risultato finale
Berlusconi pensava
di conquistarlo,
ma in realtà venne fregato dallo zar
«Che ero un pessimista cosmico. “Sei il solito ideologico”, mi rispondeva: “Sei il tipico professionista della politica della Prima Repubblica”».
E lei?
«Lo mandavo a farsi benedire. Lo facevo anche quando redigevo insieme ad altri il “Mattinale” per commentare gli eventi politici e gli contestavo gli errori che aveva fatto nei giorni precedenti. Ricordo che quando arrivava ci diceva: “Eccomi, fatemi il processo”. Ma non si arrabbiava mai».
E lo «processavate» anche su Putin?
«A Berlusconi sfuggiva completamente il retroterra culturale di Putin, che aveva come punti di riferimento Pietro il Grande, Ivan il Terribile e Iosif Stalin. Ognuno di questi personaggi aveva una componente autoritaria fortissima, funzionale non alla restaurazione dell’Unione Sovietica ma al mito della Grande Russia. Ho avuto il privilegio di conoscere il più grande slavista italiano, Vittorio Strada, che mi spiegò in anticipo la complessità del presidente russo e il suo approccio ideologico. Putin fu il primo a capire che attraverso Internet si poteva fare politica e penetrare il sistema delle democrazie liberali, che lui disprezza, per manipolarlo. Attraverso Internet ha sostenuto Brexit, il referendum separatista della Catalogna, la campagna elettorale di Donald Trump e per ultimo i no vax. Lui ha sempre mirato a destabilizzare l’Occidente. Ma Berlusconi sorvolava su certe questioni. Da presidente del Consiglio gli interessava portare a compimento la sua operazione politica».
Era davvero un’operazione solo politica o c’erano anche altri interessi?
«Che Putin fosse il capo del Kgb con il quale fare anche affari, lo sosteneva un bel pezzo dell’Occidente. E mentre questo accadeva, Putin invadeva l’Europa attraverso i suoi oligarchi, comprandosi squadre di calcio, giornali, partiti. Nessuno voleva vedere il lato oscuro della Luna. Non lo fece Berlusconi e non lo fecero nemmeno Prodi, l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel... Devo continuare? Tutti quanti a Ovest hanno creduto in Putin come alleato. Eppoi, in politica estera, Silvio aveva un’inclinazione pacifista».
Pacifista? Partecipò alla guerra in Iraq e collaborò alla deposizione di Gheddafi in Libia.
«Fu costretto dagli eventi. Cercò di evitare l’attacco contro Saddam Hussein, andando a Washington per dissuadere George W. Bush. Che è il figlio di Bush senior, di cui Silvio aveva grande stima e definiva “un Andreotti in grande”. Quanto a Gheddafi, fino all’ultimo resistette alle pressioni del Quirinale, dicendo: “Si abbatte un dittatore per mettere al suo posto un altro dittatore più amico, o per far spazio a un sistema democratico. Ma così non abbiamo né l’uno né l’altro”».
Si può allora sostenere che Berlusconi pagò la sua amicizia con Putin, quando alla Casa Bianca arrivò Barack Obama?
«No, la crisi del suo ultimo governo è legata ad altre dinamiche. Scomparso Giorgio Napolitano, si potrebbe chiedere a Giulio Tremonti».