Corriere della Sera, 5 maggio 2024
Sgarbi
Vittorio torna sempre, c’è sempre, da sempre. Molti cronisti andavano ancora al liceo, quando Vittorio già interpretava il ruolo di Sgarbi. È stato un po’ da fessi credere che, con le sue dimissioni da sottosegretario alla Cultura, stesse davvero chiudendo il sipario.
Un’allucinazione, un bluff, forse solo una scusa per continuare a restare dentro il suo personaggio assoluto, molto amato e ammirato, però anche molto odiato e invidiato (alcuni molluschi della politica italiana impazziscono davanti alla sua strepitosa capacità di spiegare l’arte, alla conoscenza che ha dell’arte): a 71 anni è l’ostinato protagonista di una sfavillante esistenza, spesso romanzata e immaginata, tra musei e tribunali, geniali provocazioni, abissali volgarità e una prepotenza dialettica magnetica indispensabile per poi spiegare le cadute e soprattutto le risalite, come stavolta, adesso, seduto sul sedile anteriore di una Bmw nera che sfreccia sulla Roma-L’Aquila, destinazione l’Abruzzo, prima tappa della sua campagna elettorale per le elezioni europee. «Ha ragione Vittorio Feltri: la verità è che sono immortale» (la linea che tra le montagne va e viene, cade, allora lui richiama, con la voce che trasmette sarcasmo e spaventosa vitalità: «Sto andando a Pratola Peligna, in provincia di Sulmona: c’è la processione per la Madonna della Libera, anche se io sono più devoto a Giorgia Meloni...»).
La sua candidatura al Sud, con Fratelli d’Italia, è arrivata a sorpresa. I locali cacicchi meloniani sono ancora sotto choc. Sgarbone è uno che piace, ha un suo elettorato. Se fa il pieno di preferenze, possibile e probabile, e come auspica la Meloni (alle Politiche del 2023, nel Mezzogiorno, si fermò al 20%), qualcuno di loro rischia di non andare a Bruxelles (erano già belli baldanzosi in quattro: il capogruppo alla Regione Puglia Francesco Ventola benedetto da Raffaelle Fitto, il salernitano Alberico Gambino sponsorizzato da Edmondo Cirielli, e poi Michele Picaro e Denis Nesci).
È incredibile come qualcuno, lo scorso febbraio, abbia potuto pensare che Sgarbi si dimettesse da sottosegretario senza trattare seriamente, con la premier, qualcosa di grosso in cambio. Saprete che, ad un certo punto, s’era trovato davvero piuttosto incartato: un po’ le accuse, dopo l’inchiesta del Fatto, per una serie di consulenze, tutte pagate, nonostante l’incarico di governo («La storia nasce da ignobili lettere anonime che il ministro Sangiuliano, invece di buttare nel secchio, gira all’Antitrust, guidata da un certo Rustichelli, un cognome emblematico...»); un po’ le tre indagini aperte da tre Procure diverse, la più mediatica delle quali è quella relativa al famoso Manetti — La Cattura di San Pietro — con l’accusa di «riciclaggio di beni culturali», con i magistrati che cercano di capire se quello messo in mostra da Sgarbi a Lucca nel 2021 fosse lo stesso dipinto rubato al Castello di Buriasco nel 2013.
La devozione
«Vado alla processione per la Madonna della Libera, ma io sono più devoto alla premier»
Racconta lui (dovete immaginarvelo che parla mentre il suo autista fa filare la Bmw ad almeno 160 km orari, chiunque capiti in macchina con lui scende con le vertigini, chiunque decida di trascorrere qualche ora con lui descrive uno che non mangia, non beve, non dorme, non fuma, e pensa solo a visitare chiese, mostre, e a sedurre i suoi interlocutori: «Mi sono dimesso il 2 febbraio. Poi, la Meloni, di ritorno da Tokyo, mi ha ricevuto a Palazzo Chigi». Era arrabbiata per tutti i casini che... «Tutt’altro. Mi ringraziò per averle risparmiato la seccatura di dovermi cacciare, visto che pendeva una mozione di sfiducia del M5S. Poi però aggiunse che era addolorata, m’aveva scelto per stima, perché sono Sgarbi, e allora pensò a come potermi continuare a coinvolgere... Così buttò giù due, tre proposte, tra cui questa candidatura alle Europee».
Devono essersi dimenticati di avvertire il ministro Francesco Lollobrigida, il quasi cognato della premier. «Ovviamente non c’è nesso tra le dimissioni di Sgarbi e questa sua candidatura». Vabbé. Comunque è chiaro che dentro FdI sono un po’ disorientati, tra stupore e fastidio. Il ministro Sangiuliano, più di tutti. Sgarbi, all’epoca, andò giù pesante: «È un uomo senza dignità». Tra i due, in realtà, rapporti pessimi fin dall’inizio della legislatura. Al ministero, gli uscieri e le segretarie – quando compariva Vittorione – erano tutto un «Buongiorno, signor ministro», «Desidera, ministro?», e il ministro, quello vero, in carica, schiumava.
Il fatto è che Sgarbi è ingombrante. Per il settantesimo compleanno, gli regalarono un enorme affresco (3,30 metri per 2,40) intitolato: Sgarbeide. Con lui raffigurato – «come nello stile della Scuola di Atene» – in mezzo alle persone più importanti della sua vita: i genitori Rina e Giuseppe, la fidanzata storica Sabrina Colle, Maurizio Costanzo che lo lanciò come critico d’arte in televisione, Sylva Koscina con cui ebbe una delle sue centinaia di liaison — «Forse stai un po’ esagerando, però, insomma...» – più molti altri personaggi. Silvio Berlusconi lo adorava, e lo perdonava, gli perdonava anche certe scosse di stupefacente grandiosità. Una volta, per Vanity Fair, scrisse: «Correva l’anno 1961, quando compresi che sarei diventato un personaggio storico».
Mentre cerca di diventare europarlamentare, è già sindaco di Arpino, pro sindaco di Urbino, assessore alla Bellezza del Comune di Viterbo, presidente del Mag e di Ferrara Arte («Tutti incarichi a titolo gratuito»). Mentre sta per entrare a Sulmona, racconta: «I giovani mi fermano per sentirsi urlare in faccia: capraaa! Non è fantastico?». Impossibile l’elenco delle querele («Ne ho avute 680, vinte 560») e delle risse. La più famosa – ormai storia della tv —a L’Istruttoria di Giuliano Ferrara, su Italia 1. Quando tirò un bicchiere d’acqua in faccia a Roberto D’Agostino, che reagì con una bella sberla (Dago: «Lo schiaffo è dialettica»). Che anno era? Ah, boh.