La Stampa, 3 maggio 2024
Auster e le patate
Per fedeltà profonda, non certo per spirito di emulazione, apro questo mio piccolo contributo con un aneddoto umoristico, proprio come Paul Auster ha iniziato il suo monumentale 4321. Il protagonista è proprio Auster, il tema è la traduzione. In occasione di un incontro al quale partecipa anche il suo traduttore giapponese, una persona chiede a Auster se concorda con Goethe, secondo cui tradurre letteratura è come cambiare il terreno a una pianta: alcune opere letterarie sono come patate che crescono ovunque, altre sono più difficili da trattare, come fiori tropicali.«Certo», concorda Auster, «autori come Dostoevskij, possono essere trapiantati da una cultura all’altra senza fondamentali perdite. Altri autori sono fiori tropicali, perché usano la lingua in maniera così complessa che è quasi impossibile renderla in traduzione».«Lei è tradotto bene in tutte le lingue», interviene il traduttore.Risponde prontamente Auster: «Infatti, è perché sono una patata».È una constatazione intelligente, ironica, umile e consapevole, che ho sempre tenuto presente da quando mi è capitato di scoprirla mentre mi documentavo su di lui, e che ho verificato in prima persona traducendolo una pagina dopo l’altra in questi ultimi anni. Tra l’altro Auster è stato traduttore, dal francese, mestiere che ha fatto non solo per «sbarcare il lunario» come recita il titolo di un suo libro.Ho cominciato a tradurre Auster a partire da 4321, romanzo del 2017, un’opera ambiziosa e ciclopica su cui poggia la parte conclusiva della sua carriera. Non ho iniziato al buio perché sono sempre stata una sua lettrice, ma il mio esordio da traduttrice delle sue opere ha conciso con la svolta stilistica e narrativa – decisa e innegabile – che Paul Auster ha impresso ai suoi libri proprio in quel momento. E ovviamente l’ho seguito nell’ombra, andando dietro a frasi “liberate” rispetto a quelle del passato, che viaggiano ininterrottamente anche per una pagina intera, a giochi di parole, criptocitazioni e riferimenti a tutte le culture e le letterature che lui ha amato e conosciuto. Da allora è sempre stato così, con Ragazzo in fiamme, il suo monumentale omaggio a Stephen Crane, fino all’ultimo libro, Baumgartner, uscito lo scorso novembre, piccolo, densissimo e non meno sfaccettato degli altri.Per questo vorrei chiudere raccontando un mio piccolo momento di felicità traduttoria, quando mi sono resa conto che tutti i pezzi del puzzle interni ed esterni al libro combaciavano magicamente: una citazione nascosta in 4321, immersa in un mare di frasi, tratta da una poesia di William Blake. Ho scoperto che ne esisteva una versione di Giuseppe Ungaretti e ho deciso di inserire quella perché era bellissima. Quindi: Blake tradotto da Ungaretti, che è stato tradotto in inglese da Allen Mandelbaum, grande studioso e traduttore di letteratura italiana, che era lo zio Paul Auster, quello che gli ispirato l’amore per la letteratura, l’amore per tutta la letteratura di tutto il mondo.