5 aprile 2024
Tags : Maurizia Cacciatori
Biografia di Maurizia Cacciatori
Maurizia Cacciatori, nata a Carrara (Massa-Carrara) il 6 aprile 1973 (51 anni). Ex pallavolista, di ruolo palleggiatrice (Carrarese, Sirio Perugia, Amazzoni Agrigento, Bergamo, Centro Ester, Tenerife, Lodi, Arzano, Ícaro; Nazionale italiana). Vincitrice, con le squadre di cui ha fatto parte, di 4 Campionati italiani (1995-1998, 2001/2002), un Campionato spagnolo (2003/2004), 4 Coppe Italia (1991/1992, 1995-1998), una Coppa della regina (2003/2004), 3 Supercoppe italiane (1996, 1997, 1999), 3 Coppe dei campioni (1996/1997, 1999/2000, 2003/2004) e una Coppa Cev (1998/1999); con la Nazionale italiana, dei Giochi del mediterraneo 2011; a livello individuale, del premio alla miglior palleggiatrice del Campionato mondiale 1998. «Tutto quello che io ho imparato, l’ho imparato dallo sport» (a Claudio Sabelli Fioretti) • Ultima di tre figli. «Complicato rapporto con i genitori durante l’infanzia e l’adolescenza: mamma Rita definita “rigida e poco incline ai gesti affettuosi”, papà Franco prima portiere di Monza, Pisa, Ascoli e Perugia, poi completamente assorbito da un’azienda tutta sua. “Peccato che quel progetto di vita non includesse grandi dosi di calore umano, ma solo piccole oasi dove rifocillarsi di tanto in tanto. La pizza la domenica sera. Una breve vacanza assieme in montagna a San Marcello Pistoiese. Poi i sabati pomeriggio barricati in casa con le tapparelle abbassate come se un imminente attacco nucleare dovesse colpire proprio Carrara”. […] “La mia infanzia non è stata infelice, penso solo che poteva essere più facile. Ma so anche che mamma Rita e babbo Franco hanno fatto tutto quello che potevano, in buona fede, credendo sempre di agire per il meglio, di renderci forti e indipendenti anche quando io, Susanna e Manolo ci sentivamo abbandonati, osservando la Volvo azzurra sparire all’orizzonte”» (Roberto Pelucchi). «È vero che da bambina convinceva i fratelli a cedere i loro bomboloni dicendo che li avrebbe piantati nel giardino per far crescere un albero, rivisitazione della storia degli zecchini d’oro di Pinocchio? “Verissimo. Amo i bomboloni fritti con lo zucchero. Mamma aveva il braccino corto: li comperava a ogni morte di papa. Quando li acquistava finivo velocemente il mio e gabbavo i fratelli, più giovani e pronti a fidarsi della ‘capitana’. Dicevo, appunto, che li avrei messi sotto la terra e che sarebbe cresciuto l’albero: invece li mangiavo. L’albero, lo aspettano ancora oggi”» (Flavio Vanetti). «Da bambina, confessa, voleva diventare un’insegnante di lettere. “Lo sport è stata una porta verso l’indipendenza. Volevo viaggiare, fare squadra, e la pallavolo mi ha aperto anche la possibilità di conoscere il mondo, oltre ad aiutarmi a apprezzare tutto quello che ho attorno”» (Caterina Ruggi d’Aragona). «L’amore per il volley nasce da piccina. La mia mamma mi aveva iscritto a corsi di nuoto e ginnastica artistica: mi piacevano, ma sentivo il bisogno di praticare uno sport di squadra, più di condivisione. E poi amavo tanto la palla! Passavo molto tempo a palleggiare, e un giorno mi hanno vista sulla spiaggia di Marina di Carrara; […] mi hanno chiesto “Vuoi venire al corso di pallavolo?”, e ovviamente mi sono fatta subito iscrivere dalla mia mamma. Ho iniziato così ad allenarmi, ma soprattutto a capire quanto bello fosse condividere con le mie compagne le partite, le trasferte, gli allenamenti… un amore, quindi, nato in quarta elementare e mai finito» (a Sonia Graziano). «All’inizio ero un po’ selvatica e ribelle, almeno così dicevano: ci ho messo qualche anno, ad accettare le regole della vita da atleta, ma i successi mi hanno aiutata a scegliere. […] Quando ho iniziato giocavo come schiacciatrice, poi un allenatore mi disse che ero troppo piccola e cambiai ruolo» (a Marco Mathieu). «Ho sicuramente bruciato velocemente le tappe della mia adolescenza perché sono diventata grande subito. A 16 anni ho iniziato a giocare a Perugia in Serie A, lontana da casa, dalla mia città. Questa esperienza mi ha costretta a crescere, a diventare donna e in fretta. […] Le cene con le amiche erano rarissime, il cinema qualche volta… insomma, spazio totale alla pallavolo. Non era però un sacrificio, perché quello che mi piaceva di più era stare in palestra». «La Cacciatori è stata una delle migliori giocatrici italiane, per un certo periodo la più celebre. Idolo dei tifosi e attrazione per gli sponsor quando ancora non c’era tanta attenzione nei confronti del volley femminile. A Bergamo gli anni migliori, con 4 scudetti, 2 Coppe dei campioni, 3 Coppe Italia, 3 Supercoppe italiane. Con la Nazionale 228 presenze, un oro ai Giochi del Mediterraneo (2001), due medaglie agli Europei (bronzo nel 1999, argento nel 2001) e il premio di miglior palleggiatrice al Mondiale del 1998. […] “A ventiquattro anni, mentre giocavo a Bergamo, nel giorno libero salivo sul treno di sera a Milano per trovarmi all’alba a Parigi. Il tempo di fare una colazione dentro a un bistrot fumoso, una passeggiata nei luoghi della mia fantasia e poi di corsa a prendere il treno per tornare in tempo prima dell’allenamento”» (Pelucchi). Della Nazionale fu a lungo capitano («Capitana giovanissima, anche quando avrei preferito mollare a qualcun altro i gradi, e capitana peperino: mi sono presa anche cazziatoni mondiali, come quando io dovevo badare alle mie compagne e siamo tornate tutte brille dopo una rara serata libera in discoteca»). «Un bel giorno arrivò Julio Velasco e cambiarono molte cose. “Julio proveniva dai trionfi con gli uomini: noi eravamo preoccupate di non essere all’altezza. Velasco non ha migliorato la tecnica, ma l’anima della squadra: ci ha liberate da alibi, insicurezze, dinamiche perdenti”» (Vanetti). «Quando il ct azzurro la esclude (due volte) dalla Nazionale che vincerà poi il suo primo Mondiale in Germania, Maurizia subisce il colpo più brutto della carriera. “C’è un Marco Bonitta sul cammino di ogni essere umano. Prima o poi ciascuno di noi ha dovuto misurarsi con una forza opposta, oscura, determinata a distruggere le fondamenta del nostro essere. A volte non è necessariamente una figura maligna, ma solo qualcuno che geneticamente è programmato per smontare il prossimo fino ad annientarlo”» (Pelucchi). «L’esclusione dal Mondiale del 2002 (poi vinto dall’Italia, ndr) è stato il momento più difficile della mia carriera. Da allora non ho mai più preparato la sacca per gli allenamenti nello stesso modo. Ma lo sport ti aiuta a cambiare, a non piangerti addosso» (a Eleonora Cozzari). «Ha perdonato Marco Bonitta, il ct che non la volle? “Ora lo ringrazio. Vedevo tutto con occhi diversi: andavo agli Europei, ai Mondiali, ai Giochi, mai ero in discussione. Quando fui lasciata a casa, in modo inatteso, ho capito che si è in equilibrio tra momenti esaltanti e cadute”» (Vanetti). Nel 2007 il ritiro. «Con il volley ho smesso a 33 anni: la vita è fatta di cicli e io volevo una famiglia». «Ero stanca di essere vista sempre e solo come una sportiva: in Spagna, dove ho giocato per anni, ero chiamata “la chica del volley”. Sentivo che era giunto il momento di cambiare. Volevo conoscere tutto quel che stava al di fuori delle palestre, e che per anni mi ero persa. Mi sono data una seconda chance: ho perfezionato il mio inglese, che oggi parlo insieme a spagnolo e francese, e ho iniziato a lavorare nel sociale, per Sky, Gazzetta Tv e diverse aziende» (a Marzia Nicolini). «Maurizia all’Isola dei famosi. “Un’esperienza di anni fa. Ero curiosa e sicura che sarebbe stata splendida: ho avuto ragione”. Ha partecipato pure a un film, Maschi contro femmine. “Una presenza di pochi minuti, ho dato il peggio di me. Ho accettato per il cast fantastico e perché si parlava di volley, però ho mandato in tilt il regista: mi vergognavo e non mi sentivo a mio agio. Poi avevo un herpes terribile: le povere truccatrici hanno fatto gli straordinari”» (Vanetti). «Ha deciso cosa fare da grande? “Diciamo di sì. […] Faccio la speaker motivazionale in ambito aziendale. È una cosa che mi piace molto e mi sta insegnando tanto. Lo sport mi ha insegnato che la comunicazione e l’obiettivo condiviso sono l’essenza di una squadra vincente. Grazie a questa esperienza lavorativa ricopro un ruolo praticamente da risorse umane, che mi permette di connettermi a realtà italiane e straniere. Sto trovando una dimensione mia, a cui tengo molto. Mi piace tanto poter portare la pallavolo nelle aziende, per aiutarle a crescere e raggiungere nuovi obiettivi”. Come si porta lo sport in un contesto aziendale? “Cercando di trasmettere i miei valori, che mi ha insegnato lo sport. La vittoria, la sconfitta, la gestione di un gruppo o il lavoro di squadra, senza dimenticare come si supera una sconfitta o quanto lavoro serve per arrivare a un successo”. […] E il commento delle partite di volley in tv? “L’ho fatto, ma c’è un grosso problema. Nonostante in campo vadano ragazze di una generazione diversa dalla mia, per me restano le mie compagne. Non riesco a essere obiettiva, e soprattutto non mi piace sottolineare gli errori o evidenziare qualcosa di negativo. Quando vedo le ragazze scendere in campo, le sento davvero come se fossero con me, mie compagne: per questo commentare da fuori non mi esalta”» (Iacopo Nathan) • Un’autobiografia scritta con Riccardo Romani, Senza rete (Roi, 2018). «Racconto di amiche, di scontri, di senso di appartenenza, di fughe dagli alberghi perché non mi bastava giocare a Tokyo: io volevo vedere Tokyo. Di arrivi in case buie e fredde, della voglia umana di mollare. Del fatto che alla fine non ho mai mollato» • Sposata dal 2014 con l’ex cestista Francesco Orsini, padre dei suoi due figli Carlos Maria (2011) e Inés (2012). In passato relazioni pluriennali con due calciatori (Alessio Delpiano e Maurizio Rossi) e con altri due cestisti (Gianmarco Pozzecco, che fu sul punto di sposare, e lo spagnolo Santiago Toledo, che sposò per poi divorziarne). «La vicenda delle nozze annullate con Gianmarco Pozzecco a una decina di giorni dall’altare rimane il “top”. “A Gianmarco, al quale voglio ancora un mondo di bene, ho salvato la vita”. A suo tempo il Poz commentò: “Siamo stati due deficienti”. “Nonostante gli anni assieme, quel matrimonio non andava fatto. Eravamo divertenti, buffi, spiritosi, ma quando si parla di famiglia le cose cambiano”. […] I doni delle nozze mancate furono restituiti. “Con vari errori: c’è chi aveva mandato una lampada e si è ritrovato un vaso. Qualcuno nemmeno ha avuto indietro il regalo: una figura!”. […] Dopo le nozze saltate con Pozzecco, nel 2005 ha sposato il cestista spagnolo Santiago Toledo. “Sono stati quattro anni meravigliosi. La separazione è dipesa da motivi personali. Rimangono rispetto e amicizia”. […] “Oggi riconosco, con Francesco Orsini, sposato nel 2014 e lui pure ex cestista, di avere un marito spettacolare. Siamo una bella coppia, anche se io sono una carrarina di marmo e lui un livornese di scoglio”» (Vanetti). «I figli quali sport praticano? “Inés pallavolo e Carlos calcio, portiere. Ho cercato di tenere mia figlia lontano dal volley perché temevo la frase ‘sei figlia di’. Ma poi ho pensato che era un limite che le ponevo io. Allora lei risponde a tutti ‘Io sono Inés’”. […] Mentre Carlos? “È la mia fotocopia: un adolescente sensibile, ma folle. Le prime volte che andavo a vederlo giocare, la porta era vuota: era in campo e combinava di tutto”. Per loro è un idolo sportivo? “Il loro mito sportivo è il papà, che ha giocato tra le altre con Virtus Bologna, Udine, Siena”. […] Perché ha chiamato i figli con nomi spagnoli? “A fine carriera ho vissuto diversi anni a Palma di Maiorca, dimensione che amavo molto: non sarei mai tornata in Italia. Poi ho conosciuto Francesco e ora torniamo ogni estate. È per questo che ho scelto nomi spagnoli: pensavo la mia vita proiettata lì, in quella cultura”» (Davide Romani) • «All’inizio pensavo che, una volta attaccate le scarpe, o le ginocchiere, al chiodo, i miei ritmi di vita sarebbero cambiati. Invece ho una figlia pallavolista e un figlio portiere. Non è cambiato praticamente nulla: sono sempre tra borse e borsoni, partite da vedere e allenamenti da fare. Cambia solo che non sono più io a scendere in campo. Sono sempre nel mondo dello sport» • Storica amicizia con l’ex pallavolista Guendalina «Wendy» Buffon, sorella maggiore di Gigi Buffon. «È la compagna che ha cominciato con me a Perugia, dove condividevamo casa, scuola e viaggi, perdendo un sacco di treni perché sbagliavamo le coincidenze. È la classica persona che quando la rivedi dopo tanto tempo capisci che non se n’è mai andata». «Una sua frase: “Io, Gianmarco Pozzecco e Andrea Meneghin siamo tre geni mancati della Normale di Pisa”. “Andrea, amicone del Poz e a Varese compagno di squadra, è un’altra persona che stimo. Ci sentivamo liberi: di cavolate, ne abbiamo combinate – una volta Poz e Menego tirarono le noccioline ad Alberto Sordi e io, da buona alzatrice del volley, indirizzavo la mira –, qua e là si è litigato, ma siamo stati puri e veri: gli atleti devono scatenare emozioni e passioni”» (Vanetti) • «Che carattere hai? “Sono testarda, solitaria, ottimista. Voglio sempre avere ragione. Allo sfinimento. Soprattutto quando ho torto. Voglio sempre vincere, anche al gioco dell’oca”» (Sabelli Fioretti) • «La prima icona della pallavolo femminile italiana» (Cozzari) • «Era considerata la “pin up” del volley: orgoglio o fastidio? “L’estetica non mi interessa, né in me né nel prossimo. Negli uomini ho preferito l’originalità. Ho sempre considerato limitato chi la metteva sul bello o sul brutto. E mi domandavo: perché non si scrive qualcosa di più intelligente?”» (Vanetti). «Ho anche io le rughe, le guardo e le trovo meravigliose. Sono parte di me, mi ci sono affezionata. Più che bella, mi sento felice» (a Donatella Tiraboschi). «Sono madre di due bambini nati con parto cesareo. Non avrò più i miei addominali, ma sono loro le mie vittorie più grandi» • «Lei ha detto: “Le coppe si vincono in allenamento”. “E si ritirano in gara. Quello che ho conquistato, l’ho vinto giorno dopo giorno, partendo dal lunedì e meritandomi il posto in squadra”» (Vanetti). «Quello che conta non è la coppa che vinci alla fine, ma il percorso che fai per arrivarci: noi siamo le decisioni che prendiamo» • «Quali sono i maestri sportivi che l’hanno più influenzata? “Devo molto a Bernardo [Bernardo Rocha de Rezende, che fu suo allenatore ai tempi del Perugia – ndr]: mi ha dato la consapevolezza che lo sport non era solo divertimento ma anche responsabilità. Poi ad Angiolino Frigoni, che in Nazionale mi ha dato il coraggio di parlare e la voglia di ascoltare”» (Romani). «Maurizia Cacciatori e Francesca Piccinini, simboli di un’èra del volley. Chi è stata più iconica? “Non saprei. Francesca ha giocato più a lungo di me, però io sono arrivata prima: l’ho vista diventare donna. Ero una sorella maggiore? Sono stata una compagna che ha aiutato una giovane a inserirsi. Poi lei è stata straordinaria”. Mai uno screzio tra di voi? “Mai, a parte le discussioni su qualche giocata: ciascuna aveva il suo mondo. Se dovessi indicare con chi non andavo d’accordo, farei una lista lunga. Ma la ‘Franci’ non c’è. Ho avuto una compagna discreta e dai bei modi, mi è piaciuta come persona e ancora oggi ci sentiamo”» (Vanetti) • «Lei è stata un’icona generazionale. Chi potrebbe ripercorrere i suoi passi? “Credo siano […] le ragazze che vestono l’azzurro che potranno trainare una nuova generazione di giocatrici. Vestire la maglia dell’Italia è una grande responsabilità ma anche un grande orgoglio. […] La mia generazione ha tagliato grandi traguardi e raggiunto obiettivi incredibili: speriamo che possa succedere anche alle ragazze di oggi”» (Nathan) • «Non hai mai pensato di fare l’allenatrice? “No, non vorrei fare l’allenatrice. Ho dato talmente tanto nella pallavolo che non ritornerei in palestra”» (Graziano) • «Sono molto orgogliosa del mio percorso e dei miei anni». «C’è chi teme il decadimento fisico. Lei? “Ho più paura di chi, a 50 anni, spera di avere sempre il volto di una ventenne. Ogni ruga racconta quello che sei stata”» (Vanetti) • C’è qualcosa che non rifarebbe nella carriera o nella vita? “Nello sport rifarei tutto. Nella vita, ripensandoci, non mi fermerei a due figli. Magari arriverei a quattro”» (Romani).