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 2024  aprile 11 Giovedì calendario

Biografia di Matteo Berrettini

Matteo Berrettini, nato a Roma il 12 aprile 1996 (28 anni). Tennista. L’unico italiano ad avere disputato la finale del torneo di Wimbledon (nel 2021) e la semifinale degli US Open (nel 2019). Insieme a Jannik Sinner, il solo tennista italiano ad aver raggiunto almeno i quarti di finale di tutte le prove del Grande Slam. In carriera ha vinto otto titoli in singolare, di cui quattro su terra rossa e quattro su erba, tra cui due edizioni consecutive del Queen’s Club Championships. «Nel tennis, nella solitudine di quello sport che pure è sotto gli occhi di tutti, mi sento come un entomologo di me stesso».
Vita «Ha iniziato a giocare grazie all’opera di convincimento del fratello minore: “La prima volta che mi misero una racchetta in mano, a tre anni, dissi a mia madre che volevo fare altro”» (Nicola Bambini) • «Com’era la stanza di Matteo Berrettini, da bambino? “A quindici anni, quando ne avevo una tutta per me, la riempivo di poster di Pulp Fiction, Mad Max, Fight Club, della trilogia di Batman girata da Nolan. Da bambino ero in una camera condivisa con mio fratello. Io la affollavo di giocattoli, lui di cose sportive. Ci vogliamo molto bene ma siamo, per fortuna, molto diversi. Lui a otto anni sapeva la formazione della Ternana degli anni novanta, io giocavo con il Lego. Nel mondo di quei mattoncini mi isolavo, mi sembrava di stare in una bolla tutta mia. Mi piaceva quel disordine, che solo la pazienza e l’intelligenza di qualsiasi bambino in qualsiasi parte del mondo poteva trasformare in una forma compiuta. Il frammento diventava l’intero, grazie al cervello. Io costruivo astronavi, automobili, personaggi. La cosa più complicata è stata l’edificazione del Taj Mahal alla quale ho dedicato molti sforzi, ma che non sono riuscito a finire, causa il tennis. Allora l’ho passato a mio nonno e l’ha completato lui”. Quando hai incontrato il tennis? “I miei genitori, che erano e sono soci in un circolo del tennis, hanno depositato una racchetta tra le mie mani, con annesse palline di gomma, quando avevo tre anni. Ma non mi piaceva, volevo fare judo, arti marziali. Poi fu mio fratello a convincermi che il tennis era più divertimento che pura fatica. A otto anni ho ripreso la racchetta e non l’ho mai più posata. Mio nonno, a ottant’anni, gioca ancora, è proprio una malattia di famiglia”. Quale è, nel tennis, il rapporto tra fatica e divertimento? “Cinquanta e cinquanta, ma alla fine sono sempre riuscito a divertirmi, nella fatica. Mi piace competere, mettermi alla prova, cercare costantemente di superare i miei limiti. Da bambino, in vacanza, che prendessi la canoa o giocassi a ping pong, volevo e dovevo vincere. E la fatica è sempre stata lo strumento per appagare questo desiderio di superare i confini, di andare oltre. Poi a venti anni, abbastanza tardi, dopo sei mesi in cui ero stato fermo per un infortunio al ginocchio, sono andato in finale in un torneo Challenger ad Andria e ho pensato che forse, con la mia passione, avrei potuto anche mangiare, anche pagare le bollette”» (a Walter Veltroni) • «Papà Luca era tennista, e mamma? “Io non ho alcun spirito agonistico, ho fatto tanti sport: danza, atletica e anche tennis, ho imparato nelle SAT e gioco come socia del circolo, ma prima della gara mi tremano le gambe”. Matteo adorava Lilli e il Vagabondo ma impazziva anche per Lego e puzzle. “Quel film l’avrà visto 2000 volte, io preparavo la cena e lui era lì incantato che se lo riguardava. Con le costruzioni cercava la soluzione, l’incastro giusto. È un sognatore concreto”» (la madre, Claudia Berrettini, a Vincenzo Martucci) • «Vincenzo Santopadre è stato numero 100 della classifica Atp, poi è diventato allenatore. Dal 2011 ha iniziato a lavorare con l’allora quattordicenne Matteo Berrettini. In un’intervista rilasciata a Ubi Tennis, ha usato un aggettivo piuttosto curioso e inusuale per descrivere Berrettini: l’ha definito “spugnoso”, alludendo alla sua capacità di assorbire tutto ciò che succede intorno a lui e poi di ingrandirsi, proprio come fa una spugna. È una metafora perfetta: Berrettini era un tennista con alcune evidenti qualità di base – un atletismo fuori scala, un servizio potentissimo, un gran dritto da fondo campo – ma abbastanza limitato in tanti altri fondamentali, forse troppi, per poter puntare a risultati importanti. Giusto per fare un esempio: nella stessa intervista a Ubi Tennis, Santopadre ha raccontato che “Matteo ha dovuto proprio impararlo da zero, il rovescio lungolinea”. Ecco, forse è eccessivo e anche un po’ ingeneroso pensare che Berrettini sia dovuto partire da zero per apprendere tutti quei colpi che oggi esegue con efficacia, con naturalezza. Ma basta rivedere le immagini delle sue prime partite significative nel circuito, diciamo quelle giocate a cavallo tra il 2017 e l’inizio del 2019, per comprendere l’entità dei suoi progressi: quando viene sconfitto da Tsitsipas nelle qualificazioni per gli US Open 2017, Berrettini gioca bene i suoi turni di battuta, ma fa un’enorme fatica a tenere profonda la risposta sul servizio dell’avversario, inoltre perde molti tempi di gioco perché si sposta continuamente sul dritto; nel luglio 2018, quando supera Bautista Agut nella finale di Gstaad e conquista il suo primo titolo Atp 250, copre il campo in maniera molto più matura e intelligente, ma non ha ancora la sensibilità tecnica necessaria per alternare dei colpi di contenimento ai suoi proverbiali tentativi di chiudere subito il punto; alla fine del match che gli costa l’eliminazione al primo turno degli Australian Open 2019, ancora contro Tsitsipas, Berrettini esce dal campo allargando le braccia e con la testa bassa, sembra molto sconsolato, e forse non potrebbe essere altrimenti: ha vinto il primo set ma poi il suo avversario l’ha battuto con autorevolezza, ha contenuto la sua esuberanza fisica, gli ha impedito di esprimere il suo gioco muscolare con delle variazioni troppo difficili da leggere, per uno come lui. Quando raggiunge la semifinale degli US Open 2019, ed è il primo italiano a riuscirci dai tempi di Corrado Barazzutti, il secondo in assoluto, il New York Times scrive che Berrettini “ha un servizio eccezionale e un gran dritto, ma ha anche dimostrato di possedere la completezza tecnica e l’acutezza mentale necessarie per gestire la pressione di partite così importanti”. Sono passati solo pochi mesi dagli Australian Open, eppure è cambiato tutto, è come se Berrettini fosse esploso all’improvviso, senza avvertire nessuno. Solo che in realtà non è stata un’esplosione – che per definizione è un avvenimento intenso ma breve, improvviso, inatteso – quanto una fioritura dopo una semina, cioè un evento pianificato perché possa ripetersi nel tempo. Nello stesso articolo del NYT, in questo senso, ci sono alcune dichiarazioni piuttosto significative di Corrado Tschabuschnig, un membro dell’entourage di Berrettini: “Noi trattiamo Matteo come un 25enne da quando aveva 14 anni: ecco perché è più maturo di molti tennisti, anche più grandi di lui. Il lavoro fatto con Vincenzo Santopadre è sempre stato proiettato nel futuro, non volevamo ottenere tutto subito, sapevamo che ci sarebbe voluto del tempo”» (Alfonso Fasano) • La finale a Wimbledon nel 2021, poi persa contro Navak Djokovic (6-7, 6-4, 6-4, 6-3), è stato l’apice della carriera di Berrettini: «Lì, la mia vita è cambiata a 360 gradi» • «Tutti ti idolatravano dopo Wimbledon e poi è cominciato a scorrere, sui social in particolare, un po’ di veleno. “Solo mai, sono pieno di persone che mi vogliono bene, per fortuna. Che si rapportano a me non solo per la qualità dei miei risultati sportivi ma per l’esistenza o meno di un sorriso. Però in quei giorni mi sono sentito spaesato, a disagio. Mi sembrava ingiusto che, per qualcosa che atteneva al mio fisico, dovessi ingurgitare tanta cattiveria. Che tutti quelli che avevano tifato sparissero o si tramutassero improvvisamente in giudici o odiatori. In fondo sono stato bloccato dal mio corpo dolente e ho tentato di reagire con tutte le mie forze. Ho pagato io il prezzo più alto. Ecco, questa elementare solidarietà mi è mancata. Mi ha ferito non trovare questa sensibilità”» (a Walter Veltroni) • Carriera frenata dai molti problemi fisici. «La prima volta che mi sono bloccato con la schiena avevo nove anni, non riuscivo neppure a mettermi i calzini. Ebbe un impatto molto forte perché da quel momento ho cominciato a vedere gli infortuni come qualcosa da cui rinascere. Una scuola di vita, che credo ti dia solo lo sport» • «Il corpo di Matteo Berrettini non sembra reggere la potenza che è stato creato per sprigionare. Ha subito almeno un infortunio agli addominali ogni anno dal 2020. L’ultimo risale ad aprile e ha causato il ritiro dal Master 1000 di Monte Carlo. Se lo si guarda, il suo fisico è un assurdo biologico: così sproporzionato tra sopra e sotto che le due metà sembrano appartenere a persone diverse» (Ludovica Merletti) • «Cosa è successo al tuo fisico? “Sto cercando di capirlo, è difficile fare un’analisi oggettiva di quello che succede nel corpo, fatto di muscoli e psiche, di ognuno di noi. Nell’ultimo anno ho vissuto troppi strappi mentali e fisici. Ci sono stati dei momenti in cui la mia testa e il mio corpo non erano allineati, chiedevo troppo all’uno o all’altro. Clinicamente è stato uno strappo dell’obliquo interno. Credo di aver chiesto troppo al mio corpo. La mia indole combattiva non mi fa accettare quei fisiologici momenti di down che esistono per tutti. Io se sono in difficoltà tendo ad accelerare e non sempre è giusto. Se le cose non vanno io metto giù la testa e spingo. Ma è un errore. Se la testa si illude di stare bene e il corpo sta male, si paga il prezzo che ho pagato”. Lo strappo fisico ti ha fatto precipitare in un periodo di buio psicologico. “Sì, molto legato al fatto di non poter competere. Perché in fondo, anche quando mi sento esausto, è questa una delle cose che mi rendono vivo. Non poterlo fare, in appuntamenti importanti, mi ha fatto conoscere il buio. E il buio sembra non avere fine, sembra ti inghiotta perché invece di stare fermo e rifiatare, ti scavi da solo un abisso. Sono stati momenti brutti, che non mi sono piaciuti. Ma sono stati fondamentali per farmi ritrovare le ragioni della gioia di fare quello che ho iniziato da bambino e che ha occupato tutta la mia vita. Ho ripensato alle origini per ritrovarmi. Il buio mi ha dato lo spazio per farlo”» (a Walter Veltroni) • Nel 2022 è stato ospite al Festival di Sanremo. «Forse troppo bello, Matteo? Su quel palco, Fiorello e Amadeus quasi non le hanno ripetuto altro. “Scusate, non è colpa mia. Ci sorrido. Beh, diciamo che la mia mamma e le mie nonne già quand’ero piccolo non facevano che insistere: ‘Ma quanto sei bello…’. Sono abituato, però non faccio mica il modello, sono un atleta e per questo mi hanno chiamato a Sanremo. Non gioco a tennis per farmi dire che sono elegante o carino. Poi, che mi dispiacciano certi complimenti no davvero, sarei falso se lo dicessi”. Più difficile stare a Sanremo oppure a Wimbledon? “Quand’ero in cima alla scalinata, in attesa di entrare, ho guardato il grande schermo con l’orologio e ho cercato di calcolare i battiti del mio cuore. Galoppava tantissimo, più di quando sto per affrontare un grande match”. Risultato del calcolo? “Sui centoventi battiti a riposo. Poi hanno chiamato il mio nome, sono sceso dalla gradinata e tutto è andato un po’ meglio. Ma avevo addosso un’emozione fortissima e diversa”» (a Maurizio Crosetti) • Nell’aprile 2024 ha raccontato di aver sofferto di depressione dopo l’ennesimo infortunio, agli Us Open del 2023: «È stato il momento più difficile, durante il quale ho sentito che il serbatoio si era completamente svuotato e che facevo veramente fatica ad alzarmi dal letto la mattina. A un certo punto ho detto: adesso faccio solo le cose che mi va di fare. Ho dovuto prendermi cura di me stesso. Demonizzavo la parola depressione, pensavo non potesse succedere a me. Mi chiedevo come fosse possibile sentirmi così a terra, così schiacciato, nonostante apparentemente avessi tutto. E invece è proprio lì che ti prende, perché c’è qualcosa di più profondo che sta mancando. Ho pensato ai miei nonni che mi accompagnavano ai tornei, alle vacanze con mio fratello quando ci portavamo le racchettine e giocavamo prima di colazione. Sono ripartito con un’energia ancora migliore rispetto al passato, aspettando con gioia - e non con terrore - i grandi appuntamenti che arrivano».
Soldi Ha casa e residenza fiscale a Montecarlo, come la maggior parte dei tennisti di successo • Nel 2021 ha creato la holding Acemat, con sede nel Principato di Monaco. «Il viceré di Wimbledon ha stabilito che Acemat si occupi di marketing, merchandising, comunicazione, promozione pubblicitaria, gestione dei diritti d’immagine, relazioni con i media e gli sponsor, vendita e rappresentanza online di licenze, marchi e tutto le operazioni finanziarie e immobiliari collegate» (Mario Gerevini).
Curiosità «Scrive sempre il suo diario di viaggio? “Non è una cosa sistematica, ma scrivere mi piace. A volte lo condivido con il mio mental coach Stefano Massari, altre lo tengo per me”. Lo pubblicherà mai? “In futuro, perché no”» (a Stefano Semeraro) • «Hai un amico nel circuito? “Sì, Lorenzo Sonego, è l’unico con cui abbia un rapporto che supera il campo. Siamo coetanei, abbiamo fatto lo stesso percorso e ci stimiamo. Quando mi ha battuto seccamente a Stoccarda, il giorno in cui tornavo a giocare, alla fine non ha esultato. Io ero completamente fuori di me e lui mi ha detto “Mi dispiace”. Significava “Mi dispiace vederti così”. Quando poi ho vinto io, a Wimbledon, lui a fine partita mi ha abbracciato, mi voleva dire che con me desiderava sempre giocare così, da pari a pari. Quel tipo di sensibilità non è diffusa. Nel tennis. Ma non solo”» (a Walter Veltroni)
Amori Per circa un anno, tra il 2023 e 2024, è stato legato alla showgirl Melissa Satta. Storia chiacchieratissima, coincisa con il periodo di scarse prestazioni sul campo e di infortuni per il tennista. In molti hanno collegato il calo agonistico con la storia d’amore • «Scordatevi Melissa Satta e lasciate ogni speranza che la crisi di risultati di Matteo Berrettini, l’erbivoro del Nuovo Salario che il 31 gennaio 2022 era n.6 del mondo e poi è sprofondato, sia da attribuire all’amore, voi che entrate in questa ricostruzione a ritroso di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. C’è una fragilità di base dell’atleta. C’è (stata) una fase di sovraccarico di impegni extra (sponsor, spot, ospitate), che ogni enorme successo porta con sé, complicatissima da gestire, se non sei consigliato al meglio» (Gaia Piccardi) • L’annuncio della fine della storia d’amore nel febbraio 2024: «Io e Melissa non stiamo più insieme, quello che posso dire è che è stata una storia bellissima, intensa, abbiamo grande stima l’uno per l’altra. Non vado oltre, non è successo niente di particolare: la ringrazio per i mesi bellissimi, e un anno vissuto insieme con tutte le difficoltà del caso» • «Per gli intimi non è un mistero che la Satta, negli ultimi tempi, spingesse molto per avere maggiori certezze dal campione e che il suo sogno fosse quello di mettere su famiglia con lui. Ma Matteo non se l’è sentita» (Oggi).