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 2024  aprile 16 Martedì calendario

Biografia di Sandro Piccinini (Alessandro Piccinini)

Sandro Piccinini (Alessandro Piccinini), nato a Roma il 17 aprile 1958 (66 anni). Giornalista tv. Sportivo. Per oltre trent’anni, fino al 2018, telecronista di Mediaset. A lungo conduttore della trasmissione Controcampo. Dal 2021 ad Amazon Prime Video • Figlio di Alberto (1923-1972), calciatore che con la Juventus vinse gli scudetti del 1952 e 1958, 5 presenze in Nazionale • «Dal tifoso bambino al telecronista: come ci si arriva? “Ero convinto sarei diventato calciatore come papà, guardavo sull’atlante le città di mare in cui avrei voluto giocare: Napoli, Bari, Genova. Le qualità però non erano eccelse, quindi ho trovato ugualmente il modo di entrare nel calcio: ricordo con molto piacere il Mundial ’82 perché è il primo al lavoro. Cominciai alla Sacis, società affiliata Rai: facevamo le telecronache che andavano in replica su un circuito di tv locali e insieme a me c’era anche Stefano Vespa, fratello di Bruno”» (ad Alessandra Mossini) • «Sono stato alla scuola di giornalismo di Urbino. Poi gli anni pionieristici della tv privata. Dieci anni con Tvr Voxson e Tele-Roma 56, al seguito di Roma e Lazio. Nell’87 ho mandato una cassetta ai responsabili dello sport di Fininvest, Ettore Rognoni e Gigi Garanzini. Mi hanno preso subito» • «La prima telecronaca? “L’ho fatta su di un albero a Montemario, Roma. Avevo 20 anni, erano i primi anni Ottanta. Lavoravo in un radio locale e non potevamo entrare allo stadio. Così mi misi sull’albero, con un binocolo e una ricetrasmittente collegata ad un appartamento vicino. Solo che col binocolo, dopo 10 minuti, ti veniva da vomitare. E a Firenze una volta feci la telecronaca da un telefono a gettoni nel bar dello stadio: mi portai 300 gettoni”. Le sue telecronache sono famose per esser infarcite di frasi cult come “sciabolata tesa’ o ‘mucchio selvaggio’. Come mai? “Sono sempre di una parola o due. È un modo per eliminare parole. Invece di dire ‘il tiro finisce sopra la traversa senza impensierire il portiere’, dico solo ‘non va’, sintetizzo tutto. E in 10 secondi hai risparmiato 7 parole. Oggi nelle telecronache si parla troppo, bisognerebbe sottrarre di più”. Quante telecronache ha fatto nella sua carriera? “Credo circa 1800. Tutte quelle del Mondiale in Russia mi sono rimaste nel cuore, la più stressante della mia vita però è stata Juventus-Milan, la finale di Champions del 2003, finita ai rigori. Dopo quel match ho avuto mal di testa per una settimana”. È vero che quando sbaglia il nome di un giocatore poi, letteralmente, non ci dorme la notte? “Sì, mi è successo”. Le è mai successo invece che qualche Presidente la chiamasse per lamentarsi di come ’raccontava’ la propria squadra? “Ricevevo molte telefonate il giorno dopo Controcampo. Io però durante la partita tenevo il telefono spento, mentre ora non è più così e c’è il rischio di venire condizionati. So che alcuni uffici stampa di società calcistiche mandano messaggi ad alcuni miei colleghi, durante la partita”» (a Un giorno da pecora, nel 2019) • «Lei ha inventato un genere? “Sono solo stato al posto giusto nel momento giusto: a quei tempi c’erano solo i telecronisti Rai e avevano uno stile un po’ lento. Mentre in radio sentivo le cronache di Enrico Ameri e mi emozionavo moltissimo: eccezionali. Quindi ho cercato di provare a trasmettere coinvolgimento, le emozioni che provavo sul campo e ho visto che piaceva, cercando poi di mettere a punto uno stile più essenziale e di non asfissiare di parole lo spettatore”» (ad Alessandro Mossini) • «Ha il suo punto debole nell’uso onnivoro del termine ‘sciabolata’ per evidenziare un lancio lungo, meglio se trasversale. La sciabolata, talvolta morbida, esce dalla bocca di Piccinini con una media di 30 volte a tempo» (Giancarlo Laurenzi) • «Non posso dire: “La palla ha assunto una traiettoria molto alta e dopo aver superato l’estremo difensore si perde inutilmente sul fondo”. “Non va”. Mi sembra più incisivo. Il mio maestro è stato Enrico Ameri, ho applicato la sua tecnica alla tv» (a Germano Bovolenta) • «“Io e Mediaset ci siamo lasciati dopo 30 anni di matrimonio felice. Nell’ultimo giorno di lavoro ho commentato la finale mondiale. Difficile tornare insieme dopo una separazione consensuale. L’anno sabbatico è finito, ma è molto probabile che si prolunghi. Sia perché, avendo guadagnato abbastanza posso aspettare senza frenesie una proposta stimolante, sia perché il mercato televisivo è piuttosto ingessato”. Qual è stato il vero motivo della separazione? “Continuando la metafora sentimentale, quando ci si separa dopo 30 anni non è elegante svelare il motivo. Anche le coppie migliori hanno voglia di cambiare” […] La telecronaca più difficile? “Juventus Milan, finale Champions League del 2003, 20 milioni di telespettatori su Canale 5. I calci di rigori fecero l’80% di share, chissà che cosa guardava il residuo 20%. Fu una telecronaca stressante di una partita equilibrata, noi eravamo la tv del presidente del Milan. Ma non arrivò mezza telefonata di protesta”. Quella più emozionante? “Francia Croazia del Mondiale 2018, che arrivò al termine di un mese di telecronache, esperienza entusiasmante anche se non c’era l’Italia di mezzo”. Il più grande telecronista di sempre? “All’inizio mi piaceva Giuseppe Albertini della tv della Svizzera italiana, poi telecronista del Mundialito Fininvest. In assoluto però prediligevo Enrico Ameri, l’unico sempre in sincronia con l’azione, capace di trasmettere il pathos del pubblico”». Nelle telecronache di oggi l’eccesso di protagonismo dei commentatori si sovrappone all’evento? “Si parla troppo. I telecronisti stanno ridiventando radiocronisti. In tv non si deve dire tutto quello che già si vede, basta accompagnare l’azione, magari dicendo il nome del giocatore. Troppe parole soffocano il telespettatore. Telecronista, seconda voce, bordocampista: un diluvio. Per distinguersi, si eccede”» (a Maurizio Caverzan nel 2019) • Dopo aver lasciato Mediaset nel 2018 ed essere rimasto fermo per due anni, nella stagione 2020-2021 è stato opinionista
del programma Sky Calcio Club, condotto da Fabio Caressa, e poi nelle trasmissioni di Sky dedicate a Euro 2020 • Da vent’anni lavora con Aldo Serena, prima a Mediaset poi a Mediaset Premium, quindi ad Amazon Prime Video. «Ci vediamo in sala stampa con molto anticipo e ci facciamo le nostre chiacchierate di calcio. Poi, questo è un vizio mio, anche 40 minuti prima dell’inizio del match facciamo delle vere e proprie prove di telecronaca, aiuta a scaldare la voce e a sciogliere la lingua, ti chiarisci le idee. Scherziamo anche molto. Ora mi regolo, perché nei primi anni finii in un qualche fuori onda di Striscia e passai qualche guaio serio» (a Renato Franco) • Ha raccontati che, prima di darsi alla politica, Berlusconi gli telefonava spesso per dare consigli: «Le luci, la scenografia. Anni fa mi rimproverò perché aveva notato che non mi spuntava la camicia dalla manica della giacca. Voleva pure far tagliare i baffi a Marino Bartoletti» (a Vittorio Zincone) • Con Giancarlo Dotto ha scritto Il mucchio selvaggio (Mondadori, 2006), una storia delle televisioni private e locali in Italia. «Quanto c’è di nostalgia nel vostro sguardo di oggi al passato della tv locale italiana, che è anche il vostro passato? “È indubbio che da parte nostra ci sia nostalgia e molto affetto. Sono storie surreali ma vere e spietate, anche se i personaggi più truci sono guardati con comprensione e tolleranza, perché si può forse ricostruire la storia del nostro Paese attraverso queste maschere da Commedia dell’Arte. Certo da allora molte cose sono cambiate: eravamo guardati con sospetto e anche boicottati. Certo, c’era anche abusivismo, doppio lavoro e persino follia allo stato puro: mi ricordo per esempio un addetto alla messa in onda di un’emittente romana, al secolo impiegato dell’Enpam, che aveva la mansione di infilare Vhs nel videoregistratore ad ogni cambio programma per 8/10 ore. Un lavoro già alienante di per sé, ma un giorno successe pure un imprevisto e il poveretto dovette restare negli studi tv per altre 5 ore oltre al normale orario di lavoro. Non c’erano i telefonini e l’uomo, preoccupatissimo per non poter avvertire la moglie del suo ritardo, usò la titolatrice elettronica e sul film in onda in quel momento apparve la scritta scorrevole “Amore torno a mezzanotte non ti preoccupare”» (a David Frati)