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 2024  aprile 20 Sabato calendario

Biografia di Livia Pomodoro

Livia Pomodoro, nata a Molfetta (Bari) 21 aprile 1940 (84 anni). Giurista. Presidente del Tribunale di Milano. In magistratura dal 1965, dal 1991 al 1993 fu capo di gabinetto al ministero della Giustizia con Martelli e Conso. Ex presidente del Tribunale per i minorenni di Milano (1993-2007).
Titoli di testa «Mia sorella Teresa diceva che se il mondo fosse governato dalla bellezza, dall’eleganza e dalla raffinatezza non ci sarebbero più delitti, perché il delitto non è elegante».
Vita «Mio padre Vito, don Vito, era farmacista. Farmacista galenico. Preparava lui i medicinali. Mia madre Rosaria, donna Rosaria, era casalinga» [Paolo Bricco, Sole] • «Io e mia sorella gemella Teresa siamo nate nel 1940. Avevamo tre fratelli più vecchi, il primo, Giovanni, pilota, non tornò da una spedizione su Alessandria d’Egitto. Mamma sopravvisse al dolore perché eravamo nate noi [Pier Luigi Vercesi, Cds.] • «Eravamo una famiglia abbastanza numerosa: cinque figli di cui tre maschi; poi arrivammo noi femmine, io e Teresa. Padre farmacista. Ho avuto un’infanzia bella, nonostante sia nata in piena guerra. Ricordo vagamente il podestà. Un uomo duro e fanatico. Prese di mira papà imponendogli i turni di notte. Era un uomo intelligente, visionario, ospitale. Come poteva andare d’accordo con il fascismo? Certe volte tornava per cena e poi rientrava nella farmacia. Lo guardavo uscire stanco ma con il sorriso sulle labbra. Non era felice per quella imposizione» [Gnoli, Rep] • «Il mio primo ricordo in assoluto è una casa di campagna in una contrada di Molfetta. Gli inglesi la bruciarono, convinti che fosse la proprietà di un repubblichino. Noi eravamo in città e non potemmo difendere quello che era nostro di diritto. Malgrado questo episodio e la guerra sono stata felice e sa quando l’ho scoperto? Ero a Caracas, in missione. La sera andai a passeggiare sulla spiaggia e venni improvvisamente avvolta da centinaia di lucciole. Mi ricordai che Angelina, la nostra domestica, preparava con le lucciole delle coroncine che deponeva sulle nostre teste. Mia sorella e io sembravamo delle piccole regine, ma era solo lo stupore dell’infanzia». Poi «studiammo. Teresa prese lettere classiche e una specializzazione in archeologia paleocristiana» [Gnoli, cit.] • «Io volevo fare medicina. Mio padre mi dissuase perché non tolleravo la vista nemmeno di una goccia di sangue. Dopo la maturità classica a Molfetta mi iscrissi a fisica, per fare dispetto a lui» [Brricco, cit.] • «Mi iscrissi a biologia. Uno zio magistrato mi convinse a passare a legge» [Gnoli, cit.] • «Mi laureai in Giurisprudenza, senza convinzione, ma con 110 e lode e dignità di pubblicazione, perché quando decido di fare qualcosa ci metto l’anima. Partii per Ginevra con una borsa di studio e, tornata, sostenni l’esame per entrare in magistratura, carriera appena aperta alle donne» [Pier Luigi Vercesi, Cds] • «Io non ho scelto di fare il giudice: sono stata scelta. Volevo fare l’ambasciatore e forse anche il veterinario, tanto è vero che quando ero già alla Corte d’Appello mi sono iscritta all’università e ho anche fatto quattro esami, ma poi ho capito che non avrei avuto il tempo per le esercitazioni cliniche» [a Stefania Rossini, L’espresso] • «Entrai in magistratura a 24 anni, divenni magistrato effettivo nel 1965. Per un breve periodo fui assistente di Francesco Capotorti all’Istituto di diritto internazionale a Bari. Capotorti, che fu stretto collaboratore di Altiero Spinelli, lavorò con pochi altri alla stesura del progetto sul trattato dell’Unione europea. Erano uomini che inorridirebbero davanti all’attuale modestia di certe visioni» • «All’inizio della mia carriera in tutta la magistratura italiana eravamo appena 15 donne, solo due a Milano») • «La cosa che più mi interessava: lavorare nei tribunali. Giunsi a Milano nel tardo autunno del 1966. La città era avvolta dalla nebbia. Per un attimo fui presa dallo sgomento. Poi i ritmi della città mi assorbirono. Nei momenti liberi frequentavo i miei cugini: Giò e Arnaldo Pomodoro. La sera dormivo da un’amica di mia madre; il giorno lavoravo nel gruppo di Adolfo Beria d’Argentine. Avevo contatti anche con Luigi Bianchi d’Espinosa, allora presidente del tribunale di Milano. Furono due uomini probi. Quando d’Espinosa morì mi lasciò in dote, come segno di stima, la sua toga rossa» • «Siamo cugini. Per molto tempo loro coltivarono una reciproca incomprensione, ma quando Giò si ammalò, Arnaldo fece un grande gesto: alle Scuderie del Quirinale chiesero una sua opera da esporre all’ingresso di una mostra dedicata ai grandi scultori del Novecento; lui cedette lo spazio a Giò. Io, Teresa, Arnaldo e il suo compagno abbiamo passato molte estati di vacanza insieme a Tangeri. Andavamo in una spiaggia sull’oceano. Teresa, con il suo terzo occhio, ogni giorno perdeva qualcosa. Un giorno perdemmo lei, finché ci accorgemmo di una coda di marocchini in riva al mare che seguiva una donna avvolta da veli. Era Teresa: provava la parte di Elettra e non si accorgeva di essere diventata un’attrazione» [Vercesi, cit.] • Di Beria d’Argentine che ricordo ha? «Lo considero il mio vero maestro, e mi onoro di essergli stata amica. Era un uomo schivo e risoluto. I nostri rapporti si strinsero negli anni della contestazione». Che giudizio dà del Sessantotto? «Ne ho apprezzato il desiderio di libertà. Ogni giovane deve fare almeno una volta nella vita un’esperienza di rottura. Ma se questo deve significare buttare via tutto senza costruire niente di nuovo allora si cade nel fanatismo e nel pericolo». E il pericolo lei come lo visse? «Fu qualcosa di progressivo e minaccioso. Alla fine degli anni Settanta un po’ tutto il nostro gruppo, composto di gente che credeva nel riformismo, si ritrovò nel mirino del terrorismo. In una sequenza terribile Prima Linea assassinò Emilio Alessandrini e Guido Galli. Successivamente, in un covo delle Br, furono trovati dei documenti e una lista di nomi. Sul mio e su quello di Beria d’Argentine era stata fatta una croce. Cominciarono gli orrendi attacchi alla vita privata dei funzionari» [Gnoli, cit.] • Dal 1987 al 1991 è stata Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano. «Quand’ero giudice della famiglia mi costringevo a tour defatiganti per parlare con la gente: non insegnate ai vostri figli ad essere remissivi, ma a far valere le proprie ragioni con il cervello. Poi divenni capo di un gruppo di procuratori della Repubblica per i minori, ma i poliziotti telefonavano sempre a me. Le racconto una notte qualunque. Squilla il telefono: “Dottoressa, abbiamo trovato per strada una donna nuda, urla e ha un bambino in braccio, pare abbia fame”. Portatela in ospedale e prendete un panino per il piccolo. “Il bambino non mangia perché i genitori gli hanno detto di non prendere cibo dagli estranei”. Cercate il padre. “Suona il clarinetto in un locale notturno”. Andate a prenderlo e portatelo in ospedale. A quel punto, il bimbo azzannava il panino. Poi c’erano le Salomè...». Salomè? Chi erano? «Salomè era una bella prostituta siciliana. Si vendeva in piazza Diaz e anche in casa. Ci segnalarono che aveva partorito e “lavorava” in presenza del bambino. Mandai un appuntato per un sopralluogo. “La signora Salomè mi ricevette in abito da lavoro...”. In che senso? “Un corpetto con cui esercitava e nient’altro... C’era una culla con bimbo e la suddetta Salomè mi minacciò dicendo di riferire alla dottoressa Pomodoro che gliel’avrebbe fatta pagare”. Per alcuni giorni, alle 5 di mattina squillò il mio telefono: “Puttana, io ho finito di lavorare, adesso comincia tu!”. La convocai nel mio ufficio. C’era la coda, lei era la penultima. Una donna parlava bene di me, sostenendo che aiutavo la gente. Salomè intervenne: “Dopo non aiuterà più nessuno” e mostrò uno stiletto. La donna entrò e me lo raccontò. Chiamai i carabinieri, ma Salomè era scomparsa. Allora me la feci portare in ufficio: “O accetti di mandare a balia il bimbo e di vederlo solo quando non eserciti, o finisci in galera”. Accettò: il bambino tornò a casa quando cominciò ad andare a scuola e Salomè a fare una vita meno in prima linea» [Vercesi, cit.] • Nel 1991 Giovanni Falcone diventa direttore della sezione Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia. Lei è appunto capo di gabinetto del ministro Martelli. Racconta quei giorni con malinconia: «Quando tornavo a Roma, prima di me salivano a casa sempre i dodici uomini della scorta. A piedi, per le scale. Entravano. Controllavano. Verificavano l’ascensore. Io andavo su, ringraziavo e salutavo. Per ragioni di sicurezza, avrei dovuto rimanere tranquilla a casa. A quel punto, però, capitava che Giovanni mi telefonasse. Mi chiedeva se fosse tutto a posto e se loro, i ragazzi della scorta, fossero andati via. Io dicevo di sì. Scendevo. E raggiungevo lui e sua moglie, Francesca Morvillo, per andare a cenare o per andare ad ascoltare un concerto jazz. Di Giovanni ero amica. Con Francesca avevo una grande intesa. Ci accomunavano tante cose. Lei era una giudice minorile di grande intelligenza e umanità. Erano belle serate. La mia casa era dietro a Piazza Navona. Vicino all’hotel Raphael, dove abitava Bettino Craxi. Per questo la zona era piena di addetti alla sicurezza e di uomini dei servizi. Dopo un poco venne a trovarmi l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, informato da qualcuno di quelle mie piccole fughe alla ricerca di compagnia e normalità. Era arrabbiato. Mi disse che ero irresponsabile perché, con la mia imprudenza, mettevo in pericolo me e gli altri» [Bricco, cit.] Presidente Livia Pomodoro, lei era capo di gabinetto del ministro di Grazia e Giustizia quando la mafia trucidò Giovanni Falcone, la moglie Francesca e i ragazzi della scorta. Due mesi dopo toccò a Paolo Borsellino. Come visse quei mesi nel cuore dello Stato colpito dalla mafia? «Giovanni mi convinse ad accettare l’incarico. Il ministro Claudio Martelli voleva creare una direzione nazionale antimafia, una anticorruzione, una per le forze di polizia... gli serviva una persona competente. Tentennavo, Falcone mi telefonò: “Arrivo anch’io, lavoreremo bene insieme”. Accettai e furono anni durissimi. Alla 8 di mattina il presidente Cossiga mi tirava le orecchie se non avevo già letto i giornali. Martelli rimproverò me e Falcone di andare troppo spesso a colazione dal Presidente. Nella primavera del ’92 mi ruppi i legamenti della caviglia e fui costretta a muovermi in carrozzella. Ogni venerdì, Giovanni lasciava sul mio tavolo i dossier : “Se sono da te, sono più tranquillo”. L’ultimo maledetto venerdì disse: “Vado a pescare il tonno”. “Faresti meglio a riposarti” risposi, e partii per Milano con Liliana Ferraro, sua vice, che sarebbe stata mia ospite. La notizia ci travolse nel pomeriggio. Liliana partì per Palermo, io per Roma. Convocai dall’ultimo usciere al primo funzionario sul grande scalone. Dovevamo reagire. L’indomani partii per Palermo. Rimasi un’ora accanto alla bara, poi tornai al ministero. Qualche giorno dopo, Maurizio Costanzo mandò in onda la sua trasmissione da Palermo. Insistette perché vi partecipassi, ma gli chiesi di rimanere in platea. A un certo punto si spensero le luci e illuminarono me. Costanzo cominciò a farmi domande. Tornando in aereo, Martelli disse: “Quella scena rimarrà impressa nella memoria”. Sbarcati, ci venne incontro il Capo della polizia: “Dobbiamo metterla sotto protezione speciale”. Per due mesi rimasi reclusa nel ministero. Poi uccisero Borsellino. La notte lavorammo all’inasprimento del 41 bis, firmato sul cofano della macchina del ministro» [Vercesi, cit.] • A un certo punto lei è diventata un’esperta del diritto di famiglia. «Vedevo, ahimè, la progressiva distruzione del nucleo familiare. Si vagheggiava la creazione di legami comunitari, si parlava di libertà sessuale, ma era come vivere una certa immagine della realtà prescindendo dalla realtà stessa. Fu in quel clima che decisi di occuparmi del diritto di famiglia, di cui divenni grande esperta. Tutto questo è poi sfociato nel lavoro sui minori. Dal 1993 al 2007 sono stata presidente del tribunale per i minori» • Lei è madre del Codice di procedura penale per i minori, in vigore “intonso” da trent’anni. Come andò? «La guerriera che è in me ha lottato anche allora. Fu durante la prima esperienza al ministero con Virginio Rognoni e poi con Giuliano Vassalli. La riforma del Diritto penale era affidata alla presidenza di Giandomenico Pisapia, a me il Codice di procedura penale per i minori. Ritenevo che il Codice per i minori dovesse essere inserito in un capo di quello per gli adulti. Vassalli era contrario: “Livia, passerai alla storia, cosa vuoi di più?”. Non importava: ero convinta che così sarebbe stato meno efficace. Sbattei la porta e mi rintanai sulle colline dell’Oltrepò pavese. Ogni giorno sentivo il mio vice per far progredire il codice e, all’ennesima telefonata di amici che mi imploravano di cedere, scesi dall’Aventino e lo firmai» [Vercesi, cit.] • «Mi sono occupata di bambini e ragazzi per 14 anni. Mi chiamano ancora “la mamma d’Italia”» • «Ci sono magistrati più bravi di me, ma io ci ho messo questo sentimento di apertura per l’individuo. Per esempio ricevo valanghe di lettere di cittadini e rispondo a tutti. Se una persona che ha problemi deposita sul mio tavolo il suo sacchetto di sofferenze, lo prendo volentieri. I provvedimenti sono carte. Un buon giudice guarda all’uomo. A pensarci, non so perché non ho fatto il prete» [ad Anna Bandettini, Dd] • Nel 2007 diventa Presidente del Tribunale di Milano (prima donna della storia. Scelta all’unanimità, con una decisione ampiamente motivata. «Venni nominata mentre ero in vacanza con Teresa in Caucaso. Di lì a poco mia sorella sarebbe mancata e solo io sapevo della sua malattia. Il tribunale era una meravigliosa carcassa di nave con solo il timone. Mi rimboccai le maniche per riorganizzarlo e, il 20 agosto 2008, Teresa mi lasciò. Quella notte, disperata, ripensai alla nostra vita. Al mattino ero ancora più determinata: i sogni non possono morire. Mi gettai a capofitto nel lavoro e assunsi la presidenza dello Spazio Teatro No’hma, mantenendo in vita il progetto di Teresa» [Vercesi, cit.] • Ogni giorno tra le sei e le sette di pomeriggio smette la toga e diventa “direttore di teatro”, al No’hma, lo spazio che vent’anni fa la sorella gemella Teresa, scomparsa nel 2008, aveva ricavato da una ex-palazzina dell’acqua potabile: «Gli scultori Giò e Arnaldo Pomodoro sono miei cugini. Teresa fin da bambina disegnava sui muri della nostra stanza. Io la “coprivo” coi genitori, costretti periodicamente a ridipingere le pareti di casa» [a Bandettini, cit.] • «Esercitare la professione giudiziaria in qualche modo è fare drammaturgia» (ad Annalisa Sbisà) [Vty] • «Erano scettici, mi guardavano con disagio, adesso per loro sono un presidente teatrante. Ma non sanno che dentro di me mi sento una teatrante presidente» [a Bandettini, cit.] • Nel 2014, all’Argentina di Roma, in una serata dedicata all’Europa, ho recitato alla presenza del presidente della Repubblica. Prima e dopo di me sono saliti sul palco Giorgio Albertazzi, Valentina Cortese, Maddalena Crippa, attori veri e grandi». Che cosa ha recitato? «L’incontro immaginario fra Melina Mercouri e Angela Merkel. Si conclude con queste parole: “Però, signora Merkel, quando redarguisce, giustamente, i greci, quando pretende che rispettino gli impegni, quando ci chiede soldi... per cortesia si alzi in piedi”. L’ha scritto Alberto Meomartini» • Accoglie sempre il pubblico all’ingresso del suo teatro? «Ogni sera. Chi frequenta il teatro sa di potermi incontrare e parlare con me». Cena ancora alla fine dello spettacolo? «Sì, ma non ho l’abitudine dei teatranti di andare tutti insieme. Io torno a casa e mangio il mio brodino» [Elvira Serra, Cds] • Nel 2015 va in pensione. In cinquant’anni di magistratura si pente degli errori che ha commesso? «Posso patirli ma non pentirmi. Ogni decisione è stata vissuta da me con responsabilità. Da questo punto di vista, rivendico perfino gli errori, perché sono stati commessi in buona fede. Questo non significa autogiustificarsi. Quando alcuni miei colleghi si stracciavano le vesti perché la sentenza era stata rivista in Cassazione, io dicevo: meno male che ci si può correggere!». Quando ha chiuso la carriera di magistrato come si è sentita? «Sono stati anni un po’ difficili» [Gnoli, cit.] • Da allora si occupa continuamente del teatro • «Saluta gli attori, accoglie gli spettatori, organizza la stagione. Sta dietro le quinte. A volte, raramente, sale sul palco, prende la parola, diventa attrice: lo ha fatto, tempo fa, anche con una vistosa parrucca colorata» [Gianni Barbacetto, Fatto].
Amori Ci fu anche un marito? «Mi sono sposata nel ’79 con un collega. Colto, gran viaggiatore. Dieci anni dopo mi propose di ritirarci e passare gli anni successivi in giro per il mondo. “Non è il mio progetto”, risposi, e ci separammo senza drammi» [Vercesi, cit.]. Ha figli? «No, un po’ per scelta e un po’ perché mi sono sposata che non ero più molto giovane. Potrei dirle che ogni volta che ho risolto un caso su un minore mi sono sentita anche un po’ madre». Sa un po’ di retorica. «Lo ammetto, ma dopotutto mi piace anche pensare di essere stata materna oltre i legami di sangue» [Gnoli, cit.].
Titoli di coda «Se c’è un pensiero che mi spaventa è quello del dolore, perché penso che ogni essere umano sia difficilmente preparato a sopportarlo. In fondo sono un coniglio, una fifona» [Elvira Serra, Cds]