23 aprile 2024
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Biografia di Barbra Streisand (Barbara Joan Streisand)
Barbra Streisand (Barbara Joan Streisand), nata a New York (New York, Stati Uniti) il 24 aprile 1942 (82 anni). Attrice. Cantante. Compositrice. Regista. Numerosissimi premi ricevuti, in ambito cinematografico, canoro, televisivo e teatrale: tra gli altri, due premi Oscar, dieci Grammy, cinque Emmy e un Tony Award. Oltre centocinquanta milioni di dischi venduti nel mondo. «Sono un’attrice che canta» • Nata a Brooklyn in una famiglia ebraica di ascendenze russo-galiziane. Figlia di una segretaria scolastica con trascorsi da soprano e di un insegnante, rimase orfana di padre a soli quindici mesi ed ebbe poi un rapporto conflittuale col patrigno. «Mia madre aveva talento, e anche una bella voce. Ma non aveva temperamento. Nella vita bisogna combattere. Le chiedevo sempre: perché non hai lottato per i tuoi sogni?». «Mio padre era un uomo straordinario. Io non l’ho mai conosciuto, è morto quando avevo 15 mesi, ma è una delle persone descritte nel libro Leaders in Education. Ha insegnato a carcerati e a giovani criminali, scriveva poesie e disegnava album fotografici e voleva essere uno scrittore e un insegnante allo stesso tempo. Io mi scopro sempre più come lui. […] Mia madre non mi ha mai dato nessuna disciplina. Mio marito ogni tanto mi dice che sono come una ragazzina selvatica perché non ho imparato tante cose: non mi hanno insegnato le buone maniere, non abbiamo mai mangiato a cena insieme intorno a un tavolo, non abbiamo mai avuto una conversazione. Io mangiavo seduta su un vaso in giardino. Stavo seduta con la gamba sul tavolo. È stato molto difficile per me imparare che la gente non sta seduta con la gamba sul tavolo. Non so perché sono diventata così. Ricordo che quando avevo dieci anni ho fatto vedere io a mia madre come fumare una sigaretta, perché lei lo faceva in modo buffo. Non ho mai avuto regole. Non dovevo essere a casa a una cert’ora, andavo al teatro d’estate a 14 anni, raccontavo bugie quando studiavo recitazione e per non ferire i sentimenti dei miei insegnanti non dicevo che andavo in due diverse classi con uno pseudonimo. […] Ho scoperto la letteratura, Čechov e Turgenev e le commedie greche, a 16 anni perché volevo fare l’attrice. Andavo in biblioteca e leggevo di García Lorca e Medea e Giovanna d’Arco e sognavo di recitare quei personaggi» (a Silvia Bizio). «Prima del canto arriva la recitazione. All’età di 13 anni assiste a Il diario di Anna Frank, pièce di Broadway con Susan Strasberg. È un colpo di fulmine. Il sacro fuoco dell’arte inizia a farsi strada e decide che diventerà un’attrice» (Alice Penzavalli). In un’altra occasione, però, la Streisand ha dichiarato «che per il suo sogno attoriale è stato determinante un film visto a 16 anni, “un vecchio film con la grande attrice italiana Eleonora Duse” [evidentemente Cenere, unica pellicola interpretata dalla Duse – ndr], e tanto la colpì “l’economia della sua recitazione” che all’uscita del film si precipitò in biblioteca “per sapere tutto su quell’interprete straordinaria”. […] Nel 1960, appena uscita dal liceo ebraico del suo quartiere, la ragazza s’iscrive a corsi di recitazione serali, e li paga con lavori diurni da segretaria. Sono mesi incerti: appartamenti precari divisi con compagni di classe (nel 1963, già famosa, ne sposerà uno, Elliott Gould), soldi pochi, spese tante. È per bisogno, insomma, che decide di partecipare a una serata di “voci nuove” in un night del Village. Non ha mai preso una lezione di canto, la sua esperienza in pubblico si riduce alla partecipazione al coro della scuola a Brooklyn, […] ma evidentemente basta e avanza: la serata è trionfale» (Maria Giulia Minetti). «Fu il canto a darle la prima grande occasione. In particolare, la canzone A Sleepin’ Bee, con cui si presentò a un concorso per giovani talenti. La vittoria le spianò la strada verso il suo primo ingaggio professionale, all’età di 18 anni: un contratto di due settimane al Bon Soir, un club sull’8th Street. Fu un successo immediato» (Radhika Jones). «La carriera di Barbra – è adesso che si accorcia il nome – parte così, con una facilità stupefacente. Poche apparizioni al leggendario cabaret Bon Soir dell’Ottava Strada, ed è fatta. Dalla prima audizione, tutti le predicono un futuro miracoloso. L’ha raccontato lei stessa in un’intervista a Playboy: “Cominciai a cantare, e piacque, ma pensarono tutti che meritavo di più, che avevo un futuro a Broadway. Quando finii, Larry Storch, che recitava nei numeri comici del locale, mi disse: ‘Bambina, tu diventerai una stella’. Come nei film! E la ragazza di Tiger Haynes (interprete di musical, anche lui tra le attrazioni del locale, ndr) – Bea, si chiamava – venne da me e disse: ‘Bambina, hai il segno del dollaro scritto su tutto il corpo’. Non me lo scorderò mai”» (Minetti). «Nel 1962, quando ottenne il suo primo contratto discografico con l’etichetta Columbia Records, aveva 20 anni; nel 1963 vinse due Grammy con il disco d’esordio The Barbra Streisand Album. Fu allora che la sua carriera musicale ebbe inizio, intrecciandosi da subito con il mondo del teatro e della televisione. Sempre nel 1962 la Streisand debutta a Broadway in I Can Get It for You Wholesale di Harold Rome – con nel cast anche quell’Elliott Gould che sarebbe poi diventato il suo primo marito – e si aggiudica una candidatura ai Tony Awards. Due anni dopo, nel 1964, è protagonista del musical Funny Girl, e risale più o meno allo stesso periodo lo sbarco in tv: i duetti con Judy Garland durante lo show di quest’ultima sulla Cbs ricevono il plauso di critica e pubblico, e di lì a poco, nella seconda metà degli anni Sessanta, la Streisand diventa l’anima di quattro speciali trasmessi sempre dalla Cbs; per il primo della serie, intitolato My Name is Barbra, si accaparra un Emmy Award. Ma dicevamo: Funny Girl. Nel 1968 il musical diventa un film per la regia di William Wyler. È questo l’esordio cinematografico della Streisand, premiata con un Oscar, a pari merito con Katharine Hepburn» (Raffaella Oliva). La pellicola, «oltre a evidenziarne le doti canore, ne esalta l’eclettismo e la vitalità interpretativa, aprendole la strada di una brillante carriera» (Gianni Canova). «Da lì in avanti la Streisand interpreterà altri ruoli memorabili, che contribuiranno a trasformarla in un simbolo dell’emancipazione femminile negli Usa. Come dimenticare Esther, l’eroina di È nata una stella, pluripremiato lungometraggio del 1976 che, tra l’altro, le valse un secondo Oscar come compositrice della canzone Evergreen? O, ancora, Katie Morosky, la giovane ebrea appartenente alla Lega dei giovani comunisti che in Come eravamo, pellicola del 1973 di Sydney Pollack, fa capitolare con il suo fascino e il suo spirito progressista il bellissimo, ma conservatore, Robert Redford?» (Oliva). «Il forte carisma, la bruttezza ostentata dal profilo poco aggraziato e l’accentuato strabismo, l’energia canora e l’indubbio talento sono qualità che in breve la rendono una diva amata da pubblico e critica. Dalla metà degli anni ’80 si lascia tentare anche dalla regia, con esiti interessanti. Nel 1983 scrive, dirige e produce Yentl (1983), sorta di film-manifesto della sua personalità forte e decisa, in cui interpreta la protagonista, ragazza ebrea che si finge uomo per studiare il Talmud, non accettando i pregiudizi maschilisti. Dopo quasi un decennio gira il film successivo, il melodramma Il principe delle maree (1991), in cui è una psicanalista innamorata di un paziente dal misterioso passato. Nel 1996 dirige e interpreta la piacevole commedia L’amore ha due facce, in cui la storia sentimentale della protagonista combattuta tra orgoglio e gelosia è ben evidenziata da un’originale scelta tecnica di montaggio che privilegia il primo piano e dalle luci in chiave antinaturalista» (Canova). Tuttora attiva, negli ultimi anni ha recitato nelle commedie Mi presenti i tuoi? (2004), Vi presento i nostri (2010) e Parto con mamma (2012), registrato l’acclamato album di inediti Walls e scritto l’autobiografia My Name Is Barbra (Viking, 2023). Ad oggi frustrati, invece, i suoi progetti di nuove regie cinematografiche. «“Questo è l’incipit di un film su Sarah Bernhardt, se mai riuscissi a convincere qualcuno a realizzarlo”, dice, disegnando qualcosa nell’aria. “Si comincia con uno specchio, una mano entra nell’inquadratura, qualcuno sta cercando di mettersi l’eyeliner e s’imbratta. Bisogna cancellare e ricominciare daccapo. Non si sa nemmeno chi sia”. […] L’unico motivo per cui abbiamo tra le mani My Name Is Barbra, mi dice, è che non le hanno dato la possibilità di realizzare due film che aveva in progetto. No, quello su Bernhardt non c’entra, è un’idea nuova. Uno era un film sulla fotografa Margaret Bourke-White, basato su una sceneggiatura che stava sviluppando dal 1984. L’altro era Gypsy. “Avevo già tutto in testa, sa? Fotogramma per fotogramma. Come dovevano essere le canzoni”. Sondheim le disse che poteva dirigere o recitare, ma non fare entrambe le cose. “Gli ho chiesto se non gli fosse piaciuto Yentl. Lui mi ha risposto che gli era piaciuto, ma che questa era una parte più difficile”» (Jones). «Ci sono momenti in cui mi sento ancora ambiziosa e sogno di tornare alla regia e cantare in tutto il mondo. Altri in cui non desidero altro che starmene a casa a leggere in santa pace. […] Non è facile trovare i soldi per fare un film» • Nel 2015 ha ricevuto da Barack Obama la Medaglia presidenziale della libertà • Numerose relazioni all’attivo, tra cui quelle con Robert Redford, Omar Sharif, Nick Nolte, Jeff Bridges e Andre Agassi. «Tra i suoi spasimanti, un nome spicca tra tutti. Quello del principe Carlo. Il loro incontro risale alla metà degli anni ’70 e si dice che l’erede al trono d’Inghilterra non fosse rimasto indifferente al carisma dell’artista. “Se avessi giocato le mie carte”, ha rivelato la Streisand, “sarei diventata la prima principessa ebrea”» (Penzavalli). Divorziata dall’attore Elliott Gould, da cui ha avuto il figlio Jason, dal 1998 è sposata in seconde nozze con l’attore James Brolin. «Non c’è niente come la famiglia, la casa e l’amore. Per me ora sono le cose più importanti» • Nel 2018 rivelò che due dei suoi cani, Violet e Scarlet, erano il risultato della clonazione della sua amata cagna Samantha, morta a 14 anni nel maggio 2017 • «Sono una liberal irriducibile. In Europa direste una di sinistra» • Collezionista di opere d’arte • «Sono arrivata a Hollywood senza farmi aggiustare il naso, incapsulare i denti o cambiare il nome. Questo è molto gratificante per me» • «Un concentrato di (apparenti) contraddizioni. La diva decisamente etero diventata, già in tempi molto meno liberal dei nostri, un’icona gay. L’attrice che non ha mai nascosto i suoi difetti fisici diventata una star in grado di competere con le più belle del pianeta. La donna dal fascino atipico che è stata amata dai più desiderati sex symbol hollywoodiani. La crooner che più romantica non si può, interprete di classici supersoft come Woman in Love, che è anche un simbolo femminista, esempio trionfante di emancipazione e di capacità di imporsi col talento e col cervello» (Claudia Morgoglione). «È una di quelle mamme cattive che intimidiscono gli uomini e li incantano nella speranza d’aver trovato chi sappia guidare e dominare la loro vita. A volte sembra un travestito. Sempre può essere imitata e viene parodiata negli spettacoli di travestiti. Ha una voce antiquata e meravigliosa, una forza indomabile, una volontà da newyorchese. […] Cantante, attrice, regista, produttrice: soprattutto ostinata, imperiosa, comandante» (Lietta Tornabuoni). «I suoi lineamenti hanno un che di picassiano: naso e bocca extralarge, occhi ravvicinati e un po’ strabici. Eppure, quand’è davanti alla macchina da presa, il suo viso perfettamente imperfetto si riempie di dolcezza e sensibilità. Come Liza Minnelli, riesce ogni volta a bucare lo schermo» (Stefano Bianchi). «Una donna determinata, affascinante, simpatica, ironica, che tiene rigorosamente lontani da sé tutti i marchingegni del divismo» (Vincenzo Mollica). «Streisand ha padroneggiato l’arte di essere ebrea. Ha preso la sua ebraicità e l’ha trasformata in una metafora, che è la metafora dell’alterità» (Neal Gabler) • «Sono sempre stata orgogliosa della mia eredità ebraica. Non ho mai tentato di nasconderla quando sono diventata attrice. È essenziale per quello che sono» • «Io cerco l’eccellenza, non credo che la perfezione esista per davvero. Con l’età mi sono ammorbidita, sono più rilassata. Ogni tanto però me ne rammarico. […] Nel 1967 avevo fatto un concerto a Central Park e avevo dimenticato le parole di un paio di canzoni: ne ero rimasta così terrorizzata che non ho cantato per 27 anni, tranne che in qualche concerto di beneficenza. Ma ora sono molto rilassata, è il bello dell’invecchiare: non ho più tanta paura, nemmeno di dimenticare le parole» • «Non ascolta mai i suoi album né guarda i suoi film perché, come dice, “ci trovo sempre qualcosa da cambiare”. Quando le chiedo se pensa di essere troppo dura con sé stessa, o se sia questo a spingerla ad andare avanti, mi risponde: “Non direi troppo dura”. Pausa. “Sono molto dura con me stessa”» (Jones) • «Non mi piace la fama, la notorietà. Mi piace solamente il lavoro, il processo che porta alla creazione di qualcosa: un disco, un film, un abito, una casa, una relazione…» • «Ho sempre creduto nel caso e nel destino, ma soprattutto nella forza di volontà. Quando mi chiedono “Come sapevi che saresti diventata famosa?”, rispondo: “Perché lo volevo”».