24 aprile 2024
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Biografia di Al Pacino (Alfredo James Pacino)
Al Pacino (Alfredo James Pacino), nato a New York il 25 aprile 1940 (84 anni). Attore. Regista. Un premio Oscar, cinque Golden Globe, due Emmy Award, due Tony Award, un Leone d’Oro alla carriera, due David di Donatello. «Io non faccio l’attore: sono un attore. È diverso» • Nacque a East Harlem, quartiere di Manhattan, da due italoamericani di ascendenze siciliane (di San Fratello, in provincia di Messina, gli avi paterni; di Corleone, in provincia di Palermo, quelli materni). Quando, nel 1942, il padre chiese e ottenne il divorzio, abbandonando la famiglia, la madre, in forti difficoltà economiche, si trasferì col figlio nel Bronx, nel piccolo appartamento dei suoi genitori. «La mia infanzia è sempre stata un’avventura. Un miscuglio di Tom Sawyer, Huckleberry Finn e uno stile di vita uscito da un romanzo di Dickens. Passavamo il tempo a inseguirci per i tetti. A quell’epoca il Bronx era il paradiso dei tetti, territorio vergine e mescolanza di lingue e culture. Dovevo sentirmi molto sicuro di me, perché facevamo dei salti di distanza considerevole» (a Rocío Ayuso). «Mia madre mi portava al cinema poco più che poppante, a tre, quattro, cinque anni. Ricordo che mi portò a vedere Giorni perduti con Ray Milland. […] E ricordo che quel giorno imitai Milland nella scena in cui non riesce a trovare la bottiglia che ha lasciato da qualche parte quando era ubriaco e mette sottosopra la casa. A volte quando visitavamo i parenti mi dicevano: “Sonny, fai la scena della bottiglia”. Io la facevo e si mettevano tutti a ridere, e io pensavo: “Ma non è buffo, è tragico: il tipo sta male, è disperato, perché ridono?”. Dopo ho capito che era perché avevo cinque anni» (a Luca Celada). Fu allora – ha più volte dichiarato – che capì di voler diventare un attore. «Se la recitazione è una vocazione irrinunciabile, lo stesso non si può dire per lo studio. A 17 anni lascia la scuola, va a vivere al Greenwich Village e frequenta (per poco tempo in realtà) la High School of Performing Arts, mantenendosi nel frattempo con una grande quantità di mestieri diversi: fattorino, operaio, traslocatore. Viene ammesso allo Herbert Berghof, dove prende lezioni da colui che diventerà il suo primo mentore, Charles Laughton, che gli fa scoprire Joyce e Rimbaud. Partecipa con piccoli ruoli a vari spettacoli del Living Theatre e finalmente, nel ‘66, riesce a entrare all’Actors Studio, dove lega immediatamente con il suo secondo mentore, Lee Strasberg. […] Qui mette a punto il suo stile recitativo, incentrato soprattutto sul metodo Stanislavskij dell’immedesimazione completa» (Laura Antonella Carli). L’Actors Studio era all’epoca «un posto straordinario, dove potevi dar prova del tuo talento anche se eri povero. Se ti prendevano, era tutto gratis. A 25 anni non avevo il becco di un quattrino e non potevo pagare neanche un misero affitto. Fu la James Dean Foundation a trovarmi una casa. Oltre ai migliori insegnanti del mondo, l’Actors Studio mi diede un tetto, pasti caldi e perfino le scarpe». «Nel 1969 debutta al cinema con Me, Natalie di Fred Coe. Nel 1971 è già attore protagonista in Panico a Needle Park di Jerry Schatzberg: il ruolo è quello di un drogato che ha una relazione con una prostituta. Piccolo, capelli neri, sguardo duro ma anche melanconico, Pacino interpreta pochi film, ma in tutti riesce a mettere una sua impronta personale. Nel 1972 ottiene la sua prima candidatura all’Oscar con Il Padrino di Francis Ford Coppola, dove è il figlio di don Vito Corleone (Marlon Brando). Un anno più tardi lavora ancora con Jerry Schatzberg per l’ottimo Lo spaventapasseri, dove interpreta un ex carcerato che fa amicizia con un barbone (Gene Hackman). Sempre nel 1973 è il famoso poliziotto Serpico nel film di Sidney Lumet e viene candidato ancora all’Oscar, cosa che si ripeterà nei due anni successivi per Il Padrino – Parte II di Coppola e per Quel pomeriggio di un giorno da cani di Lumet. Maniacale come Dustin Hoffman – e per un certo periodo verrà paragonato al collega –, Pacino si trasforma nei vari personaggi risultando sempre convincente. Nel 1977 il primo passo falso: è protagonista di Un attimo, una vita di Sydney Pollack con Marthe Keller. Si dedica allora al teatro, e quando ritorna al cinema nel 1979 con … e giustizia per tutti di Norman Jewison viene di nuovo candidato all’Oscar. […] Nel 1980 è talmente realistico in Cruising di William Friedkin, dove è un poliziotto che indaga negli ambienti gay e si interroga sulla propria normalità, che cominciano a spargersi voci giornalistiche sulla sua possibile omosessualità. Il teatro comunque rimane la sua àncora di salvezza, e al cinema decide di tornarci con un film umoristico, Papà, sei una frana (1982) di Arthur Hiller. Dopo qualche disavventura, ritorna a un enorme successo di pubblico con il film Seduzione pericolosa (1989), un giallo di Harold Becker. Seguono nel 1990 Dick Tracy di Warren Beatty, che gli fa ottenere un’ennesima candidatura all’Oscar come non protagonista, e il ritorno con Francis Ford Coppola per Il Padrino – Parte III» (Pino Farinotti). «Pacino deve però aspettare il 1993 per ottenere un Oscar, […] per Scent of a Woman – Profumo di donna. È la toccante interpretazione di un non vedente, il tenente colonnello Frank Slade, a valergli la conquista della preziosa statuetta. Un riconoscimento dal retrogusto italiano, essendo il film un remake di Profumo di donna di Dino Risi, interpretato all’epoca dal grande Vittorio Gassman. Nello stesso anno torna a lavorare per Brian De Palma nel cult Carlito’s Way, mentre due anni dopo lo troviamo in Heat – La sfida. […] Una pellicola diretta da Michael Mann, che lo chiamerà nel 2000 anche per il bellissimo Insider, al fianco di Russel Crowe. Nel 1997 ritorna nell’universo del crimine italoamericano di New York con Donnie Brasco. […] È poi nel successivo Ogni maledetta domenica (1999) che Al Pacino, sotto la guida vigorosa di Oliver Stone, regala una delle performance più riuscite nella storia dei film sportivi. Perfettamente calato nella parte del manager Tony D’Amato, si cimenta in un monologo motivazionale che viene ancora oggi utilizzato dagli allenatori di vari sport per spronare i propri giocatori. Minori e di scarso successo i suoi successivi lavori degli anni Duemila. Ricordiamo Simone, Il mercante di Venezia» (Giacomo Aricò). Negli ultimi anni, oltre ad aver dato prova di sé sia nella regia cinematografica (Riccardo III – Un uomo, un re, Chinese Coffee, Wilde Salomé) sia in non banali produzioni televisive (Angels in America, Phil Spector, Paterno), è stato soprattutto impegnato a teatro. «È lì che ho cominciato: in teatro. Mi sento più libero, più vicino a quell’ambiente, e alla fin fine mi dà un piacere maggiore al momento di esprimermi. È solo un po’ più stancante. Insomma, sì, un bel po’ più stancante. Sei sempre sul filo del rasoio, ma ti tiene la mente occupata. Il mercante di Venezia è stato particolarmente sfiancante. Avevo già girato il film, poi l’ho interpretato a Central Park, e poi a Broadway. Proprio come un tempo, quando gli attori interpretavano due o tre personaggi e li ripetevano spesso e volentieri nel corso della loro carriera. Anzi, diventavano famosi proprio per la loro interpretazione di quel ruolo. Mi è sempre piaciuta quest’idea, ed è uno dei grandi vantaggi del teatro: più interpreti una parte, più la rendi interessante». Nel 2019 dovrebbe tornare nelle sale cinematografiche vestendo i panni di Jimmy Hoffa in The Irishman di Martin Scorsese, al fianco di Robert De Niro e Joe Pesci • «Al Pacino è uno dei più grandi attori della storia del cinema. […] Sappiamo di cosa sia capace, di quale vasta gamma di “maschere” sappia fare proprie, di quanto possa illuminare una scena con un sorriso o un cruccio, un ghigno o un eccesso. Un divo, sì, ma di New York, quindi non troppo assuefatto alle luci della ribalta e alla polvere di stelle del pianeta Hollywood. Un gigante ancora capace di tornare sulla terra, mettersi in discussione, misurarsi con i propri limiti» (Mauro Gervasini) • Alcuni anni fa la giornalista statunitense Cindy Adams rivelò, non smentita, che Al Pacino le aveva confessato di essersi prostituito in Sicilia negli anni Sessanta («Per mangiare e mantenere un tetto sopra la mia testa, decisi di vendere a una donna più anziana di me l’unico bene che potevo offrire: il mio corpo») • Nonostante le numerose relazioni attribuitegli (tra le altre, Diane Keaton, Madonna, Penelope Ann Miller), non si è mai sposato; ha però quattro figli, nati da tre donne diverse (una figlia da un’insegnante di recitazione, due gemelli dall’attrice Beverly D’Angelo, uno neonato). Per anni è stato fidanzato con l’attrice argentina Lucila Solá, di quasi quarant’anni più giovane. Da ultimo ha avuto una storia con la produttrice Noor Alfallah, classe 1993, già ex fidanzata di Mick Jagger, che lo ha reso padre all’età di 83 anni • Benché non fossero sposati, quando si sono lasciati lui ha accettato di pagarle 30 mila dollari al mese di alimenti, 110 mila dollari di bonus una tantum e 15 mila dollari all’anno per l’istruzione del bambino • I suoi film, li riguarda? «Li ho sempre guardati solo in fase di montaggio, finché si poteva cambiare ancora qualcosa, riparare un errore. Dopo, basta, non ne avevo più voglia, temendo di trovarci dei difetti. Ma recentemente ho cominciato a rivedere i miei vecchi film. Da solo eh, perché i miei figli non vogliono saperne». Nostalgia? «Un po’, perché rivedo sullo schermo persone che ho amato e non ci sono più. Ma la ragione vera è che li riguardo per imparare. Ci scopro cose che, all’epoca, non vedevo. Sono vecchio, ne capisco di più e quei film hanno per me un sapore nuovo» (Enrico Franceschini) • I vantaggi di invecchiare? «Dovrebbero essercene, vero? (ride, ndr) Forse è vero che a una certa età pensi di essere più saggio, ma non è vero niente» (Silvia Bizio) • «Non mi stancherò mai di ripeterlo: io sono completamente italiano. Dentro! L’Italia è la mia casa, la mia patria». «Credo di essere una persona divertente. Lo spero, almeno. Cominciai come comico: fu dopo che rimasi intrappolato nel dramma. Colpa del mio personaggio nel Padrino, che si è imposto su tutti gli altri ruoli della mia carriera, sul modo in cui mi ha visto il pubblico o l’industria del cinema da quel momento in poi. […] Il successo è fantastico. La cosa brutta è che si accompagna e si confonde con la fama». «Io ho ancora fame di vita. Ho un appetito per la recitazione che non accenna a diminuire. Cambio tecniche e stili, mi adatto via via a nuove situazioni. L’importante è continuare a farlo, lavorare, recitare» • «Come dicono tanti attori, spero di morire in scena. Non durerei comunque a lungo, se dovessi smettere».