il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2024
Le giravolte di Instagram: il social oscura la politica
In principio, non era così. In principio, nel 2016, Facebook – che al tempo non era ancora Meta – cercava strenuamente di difendere la libertà d’espressione. D’altronde era conveniente, meno moderatori e implementazioni degli algoritmi. Soppesando i rischi, prediligeva la notiziabilità del contenuto rispetto all’eventuale violazione degli standard della comunità. Se un politico dichiarava qualcosa di falso, bisognava oscurarlo o il fatto che avesse fatto quella dichiarazione era notizia? Nel dubbio, si decise era meglio farla circolare. Zero bavagli.
Poi, negli anni, la colata di fango iniziata con lo scandalo di Cambridge Analytica nel 2018 e culminata nell’assalto a Capital Hill nel 2021 con cinque morti e il ban di Donald Trump dai social, passando dalle accuse di interferenze russe, fake news sul morbillo e il timore di una incontrollata disinformazione, ha ricoperto le buone intenzioni. Oggi, quel che poi è diventato Meta, oscura tutti i contenuti politici. La settimana scorsa ha deciso di limitarne automaticamente la visibilità su Instagram (ma presto anche su Facebook) per proteggere – ha spiegato l’azienda – i propri utenti dalla sovrabbondanza di contenuti provenienti anche da account che non si seguono. La stessa Meta ha però pensato e progettato questa esposizione casuale ai contenuti sulle sue piattaforme. Evidentemente, non vuole gli porti più grane.
Il problema è che colpisce direttamente i contenuti giornalistici, che vivono di politica e temi sociali. Secondo alcune stime, il rischio è una riduzione della visibilità è destinata ad arrivare al 70-80 per cento. Di conseguenza, la riduzione della libertà d’informazione è una certezza. Le notizie tematiche che circolano sui social network non potranno raggiungere nuovo pubblico e neanche quello già fidelizzato visto che, secondo i meccanismi di queste piattaforme, minor circolazione dei contenuti determina una minore interazione e, quindi, anche una minore visibilità. Si è quindi in balia delle decisioni di Mark Zuckerberg, che sono spesso repentine, multiformi e senza regole univoche e fisse.
Tra il 2020 e il 2021, ad esempio, Facebook diede il via a una pesante campagna contro quella che riteneva essere disinformazione legata ai vaccini per il Covid. Milioni di account e post furono rimossi, i contenuti sottoposti al fact checking degli esperti esterni, quelli più critici nascosti. Per due anni. Solo a giugno del 2023 sono state ritirate le misure, a emergenza mondiale terminata. Stesso caos anche sulla guerra russo-ucraina: Meta ha prima annunciato la creazione di un centro operativo speciale che includeva madrelingua ucraini e russi per monitorare i contenuti e rispondere più rapidamente ai problemi, poi di avere intensificato i propri sforzi di verifica delle notizie, smantellando reti di account farlocchi. A marzo dell’anno scorso, però, Reuters aveva raccontato di una mail interna in cui Meta permetteva ai suoi utenti di “invocare violenza contro russi e soldati russi nel contesto dell’invasione dell’Ucraina”, violando i propri standard sull’incitamento all’odio. Un portavoce aveva spiegato di aver temporaneamente concesso queste forme di espressione politica come conseguenza dell’invasione russa, a patto che la morte fosse augurata agli “invasori russi” e non ai civili… Eccezione è stata fatta anche per gli elogi al battaglione Azov.
Più di recente, gli interventi legati al conflitto a Gaza. Sin da subito gli utenti palestinesi hanno segnalato l’oscuramento dei loro contenuti social, come già per gli scontri del 2021. Meta ha sempre negato, ha parlato di anomalie a livello mondiale, salvo essersi scusato per aver inserito la parola “terrorista” nelle biografie tradotte automaticamente degli utenti palestinesi che contenevano, appunto, le parole “palestinese” e un’altra che significava “lode a Dio”. Un rapporto indipendente aveva poi segnalato che, in generale, il social aveva moderato eccessivamente i contenuti in arabo e sotto-moderato quelli in ebraico.
E così arriviamo a oggi. Il social prova a risolvere il problema alla fonte. Certo non si tratta di un filtro definitivo (come vi spieghiamo nel box accanto, in una apposita sezione si può autorizzare con un clic la comparsa di questi contenuti), ma segna il punto di arrivo di una macchina che negli anni ha cambiato pelle e sembra aver ceduto alle pressioni di chi proponeva di tenere sotto controllo il dibattito pubblico tra aumento dei moderatori, potenziamento degli algoritmi, di esperti, board, regole sulle sponsorizzazioni. Fino a vere e proprie prese di posizione politiche, su cui nessuno può vigilare.
E cco come disattivare il bavaglio imposto e tornare a ricevere i contenuti.
1. Vai sul tuo profilo personale e clicca sull’icona del menu in alto a destra (le tre righe).
2. Nella barra di ricerca digita “Contenuti suggeriti” e clicca sul risultato. In alternativa vai alla sezione “Cosa vedi” sotto la quale compare la voce “Contenuti sugge r i t i ”.
3. Seleziona la voce “Co n te n u t i di natura politica”, è la quinta della lista.
4. Seleziona l’opzione “Non limitare i contenuti di natura politica delle persone che non segui”. Seguendo tutti i passaggi si ricominceranno a vedere i post che trattano di politica, economia e critica sociale, ma fino a quando la maggioranza degli utenti non farà la stessa operazione le notizie del Fa t t o rimarranno oscurate. Per aiutarci a diffondere i nostri articoli e aggirare così le restrizioni, basta condividere i post nelle storie. Bisogna ricominciare a usare il passaparola. Perciò, quando leggi un post del Fa t t o su Instagram ricordati di condividerlo nelle tue sto r i e .
LAURENT FERRANTE