Domenicale, 28 aprile 2024
A scuola con i musulmani
Non faccio che ricevere e, per quanto posso, non faccio che leggere articoli o libri sulla scuola. Non è un tema nuovo, si capisce, ma mi pare che in questi ultimi tempi i prodotti si siano moltiplicati, e che la loro qualità sia spesso alta, cioè che gli articoli e i libri contengano di solito idee intelligenti sull’istruzione. Sono scritti raggruppabili grosso modo in due famiglie: (1) saggi sui problemi della scuola di oggi e (2) racconti in prima persona sulla scuola di oggi. Gli scritti della famiglia (1) sono pieni di osservazioni interessanti ma sono un po’ carenti nella pars construens: com’è comprensibile, perché l’istruzione è una cosa difficile, e di solito chi pensa di avere la ricetta giusta è un fanatico; ma tra fanatismo e costernazione bisognerebbe trovare una via di mezzo propositiva, e raramente si trova. Gli scritti della famiglia (2) formano un filone molto produttivo, pieno d’intelligenza e umanità, impostato per lo più sul registro ironico-satirico-surreale (da Ex cattedra di Starnone al delizioso Maestro Atomi di Maurizio Salabelle, a Quelli che però è lo stesso di Silvia Dai Pra’, al recentissimo L’orabuca di Savino Fiorella).
Estranei di Alessandro Gazzoli rientra nella famiglia (2): è il resoconto di un anno passato su una cattedra scolastica. Leggendolo, vengono in mente le Cronache scolastiche nelle Parrocchie di Regalpetra di Sciascia, e il paragone non deve sembrare eccessivo. Anche nel libro di Gazzoli un vero talento per il racconto e una notevole capacità di scrittura si uniscono a un’intelligenza esatta, lucida, non conformista, anticonformismo che si apprezza particolarmente perché gli studenti che Gazzoli si trova di fronte sono molto diversi da quelli che aveva di fronte Sciascia. Intanto sono più grandi, tutti o quasi tutti maggiorenni: Gazzoli insegna infatti in una scuola per adulti; e poi, per la gran parte, sono immigrati da Paesi musulmani: Pakistan, Marocco, Tunisia. Così il libro si sdoppia: da un lato è la cronaca tragicomica di un anno scolastico in un contesto sociale disagiato, con pagine molto felici non solo di descrizione dei caratteri ma anche di riflessione sul senso di fare scuola a questi scolari (come accade nei casi migliori, il racconto si mescola al saggio); dall’altro è il referto/analisi di questo disagio sociale.
Anche questa seconda anima del libro è interessante, e gestita con molto equilibrio (finito in mezzo ai barbari da incivilire, Gazzoli non li tratta come barbari ma neppure, come sovente accade, se ne innamora), e mette però anche voglia di discutere con l’autore perché giustamente, anziché limitarsi a descrivere, qui Gazzoli prova a interpretare, e l’interpretazione suona a volte un po’ affrettata. Si aspettava che le diciottenni maghrebine o pakistane, essendo dovute passare attraverso mille difficoltà, «in Paesi diversi da quello di origine (e dall’Italia), vivendoci a volte per periodi talmente lunghi da assimilarne abitudini, intercalari e usanze culinarie», si aspettava che queste ragazze avessero acquisito quell’uso di mondo che ci ha fatto diventare tutti tolleranti e cosmopoliti, e ansiosi di comprendere, anzi di accogliere tra noi il diverso, specie quando si tratta di un diverso umiliato, penalizzato dal destino. Invece Amna e Zineb e Marisol del diverso non ne vogliono proprio sapere, non sono per niente cosmopolite, e alle uscite pacifiste-mondialiste del professore («la difesa militare del suolo natale [è] un dovere non essenziale») reagiscono con lo sconcerto. Il professore è colpito, registra il dissenso con sorpresa; ma per tutto il libro non sembra mai mettere veramente a fuoco il fatto banale che non esiste una Realtà noumenica per attingere la quale occorre possedere le chiavi del Cosmopolitismo e della Ragione liberal-democratica, ma tante piccole ragioni fenomeniche tutte legittime in quanto riflettono differenti condizioni di vita (censo, fede, sesso, visione del mondo); ovvero che Amna e Zineb e Marisol pensano ciò che è logico pensare nella loro situazione: si diventa cosmopoliti leggendo Voltaire, non trascinando l’esistenza nelle periferie del Terzo Mondo.
Dato poi che il disagio deriva per lo più dalla religione, cioè dalle cattive idee che si accompagnano alla religione, cattive idee che fruttificano soprattutto nel cervello dei maschi, il discorso cade soprattutto sulle conseguenze non della religione in generale ma dell’Islam. Di fatto, lo spunto iniziale è proprio questo: «Si potrebbe cominciare così: con una studentessa siriana che inneggia a Hitler e all’eliminazione totale degli ebrei dalla faccia della terra (…). Mi ci vogliono alcuni secondi per capire che non si tratta di una battuta, né tantomeno del delirio di un’isolata negazionista o del lamento estemporaneo di un’antisemita repressa». Poi lo spunto viene un po’ lasciato cadere, riaffiora qua e là nel libro in pagine sospese tra il dramma e la commedia, e alla fine s’inabissa perché l’anno scolastico finisce, tutti vengono promossi e l’euforia dissolve la nebbia da scontro delle civiltà su cui il libro si era aperto. A me però leggendo Estranei è tornata alla mente una pagina in cui Allan Bloom ragiona sulle opinioni di Rawls intorno alla religione, e gli dà dell’illuso: Rawls parla con condiscendenza dell’affermazione di Rousseau secondo cui gli uomini che pensano che i loro vicini siano dannati non possono vivere in pace accanto a loro. La sappiamo più lunga di Rousseau; la nostra esperienza dimostra che il pluralismo delle credenze religiose funziona benissimo. Non c’è da preoccuparsi, basta soltanto rinchiudere pochi fanatici che costituiscono una minaccia evidente. Ma Rawls non sa che cosa sia la fede. Guarda i credenti intorno a noi senza tener conto del fatto che la religione è stata completamente trasformata, in parte come risultato diretto della critica dei contrattualisti e in parte come conseguenza della società liberale di cui sono stati gli ispiratori.
Rawls «non sa che cosa sia la fede». Neppure noi, naturalmente: noi atei o agnostici o cristiani secolarizzati. Invece lo sanno bene gli studenti musulmani del professor Gazzoli, e ancora meglio lo sanno le loro famiglie, i padri soprattutto. Come accennavo, il libro si chiude su un paragrafo solare, un lieto fine: dopo un anno passato nella stessa aula, grazie soprattutto alla dedizione di un insegnante illuminato, gli estranei adesso sono un po’ meno estranei, anche per il lettore. Però il lettore pessimista ricorda come il libro è iniziato, constata che il problema posto dalla «studentessa siriana» inneggiante a Hitler è rimasto inevaso, e ripensa con un po’ di preoccupazione alle parole di Bloom.